Benvenuti nella terra di mezzo

SOMMARIO:

  1. IN SINTESI:
    • I Temi del mese di Novembre
    • Le Previsioni che ne Conseguono
  2. ECONOMIA GLOBALE
    • L’Economia Globale a un Bivio
    • Benvenuti nella Terra di Mezzo
  3. DELOCALIZZAZIONI:  La finanza per le Imprese dell’Est Europa
  4. ECONOMIA ITALIANA:  L’Industria Italiana dopo 5 Anni di Crisi Rivede la Speranza

1. IN SINTESI

A. I TEMI DEL MESE DI NOVEMBRE


Le (poche, invero) nebbie autunnali non aiutano a chiarire del tutto se la situazione economica globale volga al meglio oppure al peggio, sebbene sia con tutta probabilita’ giunta ad un importante snodo: riusciranno i Paesi Emergenti a stare al passo con quelli piu’ avanzati? L’argomento e’ stato qui esplorato nell’articolo che segue denominato “La Crescita Globale e’ al Bivio”.
Qui accenniamo solo al motivo per cui non e’ facile rispondere: negli anni della crisi l’allineamento degli Emergenti ai Paesi OCSE era divenuto sperabile anche a causa della crescita dei prezzi di materie prime e commodities e anche a causa della crisi di questi ultimi. Da quando invece le economie dei Paesi Industrializzati hanno ripreso vigore, il divario e’ tornato a crescere.
La cosa si e’ immediatamente riflessa nei flussi dei movimenti globali dei capitali: il “reshoring” dei quali e’ sicuramente il piu’ significativo dei fenomeni in atto, con l’ovvia conseguenza che le Borse occidentali hanno mantenuto il ritmo della loro corsa al rialzo (uno dei piu’ longevi della recente storia economica) mentre sono calate dopo i terremoti di Agosto quelle degli Emergenti, in particolare quelle asiatiche .
Dunque anche gli investitori rimangono al bivio chiedendosi se l’Occidente continuera’ a far spiegare le vele alle Borse internazionali o invece la crisi degli Emergenti affossera’ tutto.
La nostra risposta -positiva- arriva nell’articolo che segue denominato “Benvenuti nella Terra di Mezzo”, ove si ipotizza una certa cristallizzazione dello status attuale che, entro certi limiti, e’ una buona notizia, anche se nessuno e’ in grado di prevedere quanto a lungo.
Per completare il quadro non si poteva non fare riferimento al nuovo spolvero di cui godono le economie dell’Est Europeo, anche a causa della progressiva omologazione a quelle dell’Europa continentale, approfondito anche a causa dell’attiva partecipazione al Forum Economico organizzato annualmente da Confindustria Romania (e del quale in fondo all’articolo denominato “Finanza e Industria nell’Est Europeo” si trova il link al video dell’intervento).
L’edizione di Novembre di Analisi e Studi si conclude con una sintesi dell’importante affresco fornito dal Centro Studi Confindustria, che dipinge finalmente un quadro positivo della situazione industriale italiana all’alba della prima ripresa economica dopo un quinquennio.

B. LE PREVISIONI CHE NE CONSEGUONO

Le conseguenze di quanto sopra portano a mantenere invariata l’aspettativa di ulteriori rafforzamenti del Dollaro quantomeno a causa dell’oramai probabile piccolo rialzo dei tassi d’interesse USA, quella di una certa stabilizzazione delle Borse Occidentali sui valori di picco gia’ raggiunti, sebbene la volatilita’ delle medesime potrebbe non essersi placata definitivamente, anzi!
E se le Borse dei Paesi emergenti non scenderanno ancora il quadro generale di “stand-still” sara’ completo, ma la cosa costituirebbe davvero una buona notizia, dal momento che le condizioni ci sono tutte perche’ l’economia globale consolidi la propria crescita e aiuti la progressiva normalizzazione geo-politica del Pianeta.
Questo potrebbe significare individuare ottime aspettative per l’anno 2016 e, forse, il definitivo addio alla stagione martoriata delle svalutazioni competitive denominata anche “guerra delle valute”, lasciando spazio libero e respiro finanziario a cio’ che il mondo necessita di piu’ per il prossimo anno: lo sviluppo delle nuove tecnologie (innanzitutto in campo sanitario) e il finanziamento delle medesime!
Potremmo tornare a vedere una nuova esplosione dei titoli della “New Economy” (come veniva chiamata all’inizio del millennio)?
Ad oggi nessuno puo’ dirlo, ma sul fatto che gli investitori professionali tenderanno a concentrarsi sui titoli azionari e tra questi sui tecnologici, ci sono pochi dubbi.
La storia economica potrebbe anche adagiarsi per un periodo in una situazione di relativo benessere, ma non bisogna confondere il risultato medio finale con l’andamento delle correnti profonde che la costituiscono: esse sono tutt’altro che tranquille. Ma anche questa sembra una buona notizia

2. ECONOMIA GLOBALE

A. LA CRESCITA ECONOMICA GLOBALE E’ A UN BIVIO

Dopo la crisi del 2009 ci eravamo abituati ad un costante travaso di capitali, risorse intellettuali e tecnologie dalle economie piu’ avanzate a favore dei Paesi Emergenti e, in particolare, a favore delle “tigri asiatiche” e dell’Oriente nel suo complesso.
La tendenza sembrava ineluttabile, in ossequio alla teoria delle “economie-mondo” di Fernand Braudel e come conseguenza del progressivo invecchiamento della popolazione del Vecchio Continente.
In parallelo peraltro la crescita mondiale sembrava aver definitivamente ripreso vigore dopo la prolungata stagione di stimoli monetari delle principali banche centrali del pianeta (prima USA, GB e Giappone, poi Cina ed Europa).
Addirittura si attribuiva buona parte del merito della crescita economica globale proprio alla combinazione vantaggiosa di basso costo della manodopera e travaso tecnologico a favore delle economie emergenti, risultante in un crescente grado di produttivita’ industriale rispetto a quanto in precedenza sperimentato nella storia delle economie piu’ mature.
Poi e’ arrivata la discontinuita’ della crisi estiva cinese, la paurosa fuga di capitali da quel Paese ma anche da buona parte degli altri Paesi emergenti, di poco preceduta da un vistoso calo dei prezzi delle principali materie prime e, conseguentemente, dell’energia.
La concatenazione degli eventi ha generato panico sulle Borse e tra gli investitori. Ma soprattutto aveva contribuito al diffondersi dei timori di una deflazione dei prezzi che avrebbe facilitato tanto l’avvento di una “recessione secolare” (teorizzata da Larry Summers ma condivisa da molti altri opinion leaders. Si legga in proposito quanto da lui pubblicato lo scorso anno: http://larrysummers.com/wp-content/uploads/2014/06/NABE-speech-Lawrence-H.-Summers1.pdf) quanto la possibile caduta nella c.d. “trappola della liquidita’ ” di keynesiana memoria, oltre la quale nessuno stimolo monetario avrebbe piu’ avuto effetto.

LAWRENCE H. SUMMERS
PRESIDENT EMERITUS
HARVARD UNIVERSITY

Sono pero’ passati pochi mesi e, durante il mese di Ottobre, le Borse (soprattutto quelle occidentali) si sono riprese mentre lo spettro di nuova recessione globale che si era paventato durante lo scorso mese di Agosto sembra essersi allontanato, sebbene il ritmo della crescita economica nei Paesi Emergenti rimane chiaramente compromesso dai recenti accadimenti e il livello globale delle scorte continui a salire, segnale tra i piu’ significativi del pericolo di una nuova recessione! (si legga in proposito un recente studio effettuato daGavyn Davies:  http://blogs.ft.com/gavyndavies/2015/11/01/global-growth-malaise-but-no-recession/).

GAVYN DAVIES
FULCRUM ASSET MANAGEMENT

Per giunta persino la crescita economica dell’America, che sembrava avviata verso un consolidamento e addirittura un’accelerazione, e’ stata invece rivista al ribasso con gli ultimi dati trimestrali disponibili, mentre le Borse celebravano la notizia della stabilizzazione che ne consegue.
Dunque il passo piu’ moderato al quale si muove l’Occidente e’ una buona o una cattiva notizia per il resto del mondo?
La rapida successione degli eventi piu’ recenti ha determinato una serie di dubbi e di dibattiti sui possibili sviluppi della situazione attuale, sicuramente poco chiara. Si tratta di vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto: le economie avanzate (Usa, Europa, Giappone) migliorano (salgono del 2,3% in media) con una performance piuttosto ordinata sebbene “dopata” dagli ingenti stimoli monetari, mentre il passo complessivo della crescita economica globale rallenta (ora si stima sia al 2,8%, in discesa dello 0,7% rispetto alle recenti attese del 3,5%) ma non inverte la direzione di marcia.
E’ evidente che la situazione dei Paesi Emergenti risente tanto della forza delle principali valute (Dollaro e Euro in testa) quanto della discesa dei prezzi delle principali materie prime e commodiities. Da questo punto di vista non e’ tra l’altro affatto chiaro come potra’ evolvere la situazione di quei Paesi dopo l’eventuale rialzo di fine anno dei tassi di interesse che la Federal Reserve intende introdurre per completare la “normalizzazione” interna agli USA. Questa dara’ ulteriore forza al Dollaro e amplifichera’ la deflazione dei prezzi delle commodities, le quali rappresentano il principale prodotto d’esportazione per tutti gli Emergenti, Cina esclusa, oppure e’ gia’ data per scontata dagli operatori economici?
La situazione dopo l’estate 2015 rimane dunque critica, in particolare in funzione della fuga dei capitali che si e’ verificata in quei Paesi, la quale, combinata con una strutturale discesa dei prezzi delle principali risorse naturali, ha avuto pesanti conseguenze deflattive e ha provocato la necessita’ di ridurre la leva finanziaria (il c.d. deleveraging) che si era invece ampliata esageratamente negli anni del loro boom economico (fino al 2009).
La Cina in particolare resta la quintessenza delle economie emergenti e al tempo stesso la patria mondiale dello “shadow banking” . Le ricadute del deleveraging tutt’ora in corso non si sono fatte attendere: molti progetti industriali sono stati rinviati sine die e questo ha contribuito alla mancata crescita (e in qualche caso alla riduzione) dell’output industriale del terzo mondo.
Quali sviluppi e’ lecito aspettarsi da una situazione globale cosi’ incerta?
La mancanza di una chiara prospettiva non autorizza necessariamente al pessimismo, cosi’ pure come la divaricazione degli andamenti economici tra Paesi Avanzati ed Emergenti non configura tecnicamente alcuna catastrofe, anzi: con l’eccezione dell’ultimo lustro l’Occidente e’ sempre stato la locomotiva della crescita economica grazie alla costante innovazione tecnologica e poi, a guardar bene, molte delle tendenze in corso quali la discesa costante del tasso di crescita della produttivita’ del lavoro e, nei Paesi dove la demografia non ha agito da contraltare, la conseguente discesa del tasso di crescita del Prodotto Interno Lordo, risalgono a periodi molto precedenti a quello attuale “post crisi” (si veda il grafico sottostante).

Oggi viviamo nell’era post-industriale dell’informazione e della conoscenza, che sta iniziando a premiare i Paesi Avanzati e sempre piu’ de-industrializzzati ben oltre quanto si potesse prevedere sino a ieri, nonostante l’esplosione della delocalizzazione produttiva!
Il fenomeno, invece di impoverire industrialmente ed economicamente i Paesi che lo hanno sperimentato, ha concentrato in essi buona parte della ricchezza prodotta nel mondo e determinato una costante riduzione dei margini associati alla domanda di prodotto industriale grezzo.
Si pensi, per fare un esempio pratico, alla decisa contribuzione al PIL americano fornita dalle performances economiche di aziende come la Apple, occorsa nonostante che neanche un loro prodotto venga assemblato in America!
Sebbene la riscossa della leadership tecnologica e finanziaria dell’Occidente fosse considerata piu’ o meno inevitabile nel tempo, sino a ieri si poteva pero’ presumere un andamento piu’ bilanciato dei fattori di crescita, quantomeno a causa del flusso costante di investimenti per la delocalizzazione produttiva a favore dei Paesi meno avanzati, cosa che li avrebbe aiutati a mantenere elevato il ritmo globale della crescita economica e lo sviluppo del reddito.
Il fatto che invece si arrivi ad un cosiddetto “atterraggio duro” nella divaricazione tra Paesi Avanzati ed Emergenti potrebbe ricondurre gli esperti a previsioni meno ottimistiche per il prossimo futuro.
La forte riduzione del tasso di crescita globale del reddito pro-capite puo’ infatti essere per molti versi considerata come un male minore per l’Occidente opulento (fatto salvo il caso in cui i flussi migratori divengano una vera e propria emergenza per quest’ultimo), ma e’ sicuramente un fatto relativamente grave per il resto del mondo, che contava su un ritmo piu’ elevato di sviluppo industriale per affrancarsi da buona parte dei problemi del passato e recuperare il gap tecnologico con le grandi potenze industriali.
Guardando indietro, la crescita della divergenza economica e della concentrazione della ricchezza, storicamente si e’ sempre associata allo scoppio di nuovi conflitti e alla nascita dei movimenti nazionalisti.
Lo scoppio di nuovi focolai bellici a sua volta puo’ determinare la contrazione del commercio mondiale e della coooperazione internazionale, due fattori che non gioverebbero alla crescita globale. (si legga in proposito un recente contributo di Nouriel Roubini: https://www.project-syndicate.org/commentary/europe-far-right-state-capitalism-by-nouriel-roubini-2015-10#fBWb6Jlj2qrQqUhz.01).

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NOURIEL ROUBINI
NEW YORK UNIVERSITY

Sono scenari che si spera possano venire evitati attraverso un’accurata concertazione delle politiche economiche e l’intervento degli organismi sovranazionali.
Anche la maggior capacita’ previsionale della scienza economica puo’ fare la sua parte, mentre i banchieri centrali di tutto il pianeta non hanno mai interagito cosi’ tanto come in questo periodo.
Pero’ si spera, per l’appunto, poiche’ di certezze ce n’e’ sempre e soltanto una…

B) BENVENUTI NELLA “TERRA DI MEZZO” !

Sono passati oramai molti anni dalla crisi dei mutui sub-prime che ha scatenato la piu’ grande recessione economica dal 1929 in poi e, se il mondo non e’ caduto una seconda volta in una spirale di depressione e deflazione, lo si deve soltanto a pochi, coraggiosissimi banchieri centrali, tra i quali spiccano uomini riservati e poco inclini allo spettacolo come Ben Bernanke per la Federal Reserve e Mario Draghi per la Banca Centrale Europea.

Il primo, forse anche a causa del suo approccio accademico, nel frattempo e’ addirittura stato sostituito nel suo incarico da un’abile passista in gonnella di nome Janet Yellen, il secondo pur avendo rischiato piu’ volte la cavezza a causa dell’eterogeneita’ dei fini cui deve rispondere il suo mandato, sembra ancora relativamente saldo in sella.

Le innovazioni e le scelte radicali nella politica monetaria cui costoro hanno dato vita, insieme a pochi loro colleghi della Bank of England, Bank of Japan e People Bank of China possiamo finalmente affermare che hanno letteralmente salvato il mondo moderno da una probabile catastrofe finanziaria di proporzioni colossali.

Prima del 2009 nemmeno i piu’ innovatori tra gli studiosi si erano messi nella posizione di proporre concetti estremi come i tassi d’interesse negativi, la stampa di nuova cartamoneta e il cosiddetto denaro dall’elicottero, il rifinanziamento a lungo termine alle banche commerciali e quel “whatever it takes” (a qualunque costo) che hanno fatto in pochi anni la differenza!
Ancora oggi che l’America e’ tornata ad essere la locomotiva della ripresa economica globale, che gli ingentissimi debiti pubblici dell’intero Occidente non costituiscono piu’ un incubo che incarta il mercato dei capitali e l’inflazione nonostante tutto non e’ schizzata in cielo a causa della massa di liquidita’ immessa nel sistema, ancor oggi esistono nutrite schiere di studiosi, investitori e operatori economici che restano scettici circa quelle scelte coraggiose. Oppositori e allarmisti di ogni risma che hanno duramente biasimato quei banchieri centrali e che continuano ancora a farlo, bollandoli come irresponsabili !
Oggi che l’America celebra il piu’ basso tasso di disoccupazione dagli anni del boom economico, che un continente vecchio come l’Europa sembra finalmente rivedere la fiducia degli operatori e la prospettiva di nuovi importanti investimenti strutturali, che la Cina sembra apprestarsi a superare in modo composto lo scoppio delle sue bolle speculative nella finanza e negli immobili, che il Giappone dopo un quarto di secolo di stagnazione sembra stabilmente impostato verso una nuova stagione di rilancio delle proprie industrie e delle proprie tecnologie, oggi possiamo sperare davvero che siamo finalmente approdati in quella “terra di mezzo” che ricorda le novelle di Tolkien, nella quale le opposte forze si equilibrano e si puo’ sperare di poter lavorare a una nuova impostazione economica globale, in assenza di grandi conflitti, allarmi epocali e incresciose emergenze.
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Quanto durera’ questa cosiddetta “Goldilock’s economy” ? (dal nome dell’eroina dei cartoni animati per bambini che preferisce un mondo incantato di magica moderazione).

Quanto tempo di vita resta a quest’immagine plastica di “still life” dell’economia reale e dei mercati finanziari dai contorni sfumati e dalle immagini patinate cosi’ composta che sembra gia’ trattarsi di un ricordo ?

Fino a quando l’Occidente potra’ indulgere ad assaporare questa situazione di mancato crollo delle Borse (dopo tanta corsa), di mancato default degli stragonfi debiti nazionali, di limitata inflazione (e quindi di non piu’ di deflazione), di moderata ripresa dell’industria reale, di rinnovato spolvero delle nuove tecnologie e di investimenti nelle start-up (che restano essenziali perche’ si rinnovi la linfa vitale del sistema produttivo)?
Innanzitutto occorre riuscire a prenderne buona nota: tra un annuncio e l’altro degli organi di informazione di massa non e’ per niente facile riuscire a cogliere l’orizzonte che si prospetta al di la’ del polverone degli eventi quotidiani, dei conflitti locali e delle contrapposizioni politiche e culturali. Non e’ scontato convenire sul punto di vista che ho appena descritto: molti temono ancora il peggio (per esempio al riguardo della difficile situazione delle Economie Emergenti) e pochi osservatori sono disposti a prendere atto della congiuntura di dorato equilibrio in cui, non sappiamo ancora per quanto, si e’ collocato il mondo in questo scorcio di anno.
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Vorrei pero’ andare oltre l’ovvia considerazione che la risposta a tali domande non puo’ conoscerla nessuno perche’ nessuno puo’ prevedere dove spingera’ il contrapporsi degli interessi e la relativa imprevedibilita’ degli eventi.
Vorrei dunque innanzitutto sintetizzare lo scenario in corso per provare ugualmente a immaginare quello successivo:
• Il tasso di disoccupazione e’ in discesa un po’ ovunque nel mondo, che marcia verso la speranza di una pieno utilizzo dei fattori produttivi;
• Nonostante cio’ non ci sono spinte soverchie verso un rialzo del costo di tali fattori, verso spirali inflazionistiche e nemmeno verso una nuova crisi dei Paesi produttori di materie prime e “commodities” (beni di prima necessita’);
• I mercati hanno spianato la strada al primo rialzo dei tassi di interesse (per ora solo in America) dopo circa un decennio;
• Il Dollaro sta conseguentemente riaffermando la sua supremazia;
• Le Borse non hanno reagito male alle dichiarazioni di prossimo rialzo dei tassi come si poteva invece pensare e la c.d.”forward guidance” (l’indirizzo palese e lungamente anticipato) che le Banche Centrali stanno imprimendo ai mercati alimenta la credibilita’ di queste ultime e, in ultima analisi, la stabilita’ del sistema;
• Nel frattempo tuttavia i rendimenti, sebbene in rialzo, sono ancora molto limitati e conseguentemente i debiti pubblici di mezzo pianeta restano sotto controllo e non ci sono elementi che lasciano presagire dal futuro aggiustamento danni rilevanti all’economia reale o forti limitazioni allo sviluppo economico dei Paese Emergenti.
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Come puo’ evolvere questa situazione? Vediamone le cause:
• La disoccupazione sta scendendo per diversi motivi (era alta, era trainata dalle discontinuita’ indotte dalla crisi dei settori piu’ maturi e dalle innovazioni tecnologiche, era figlia del “baby boom” degli anni cinquanta e sessanta). Il fatto che scenda percio’ fa il paio con la relativa maturita’ delle tecnologie, con il recupero della produttivita’ industriale (dopo la moria di aziende inefficienti che e’ conseguita alla crisi) e con la piu’ bassa pressione demografica. Dunque non si vede per quale motivo non potrebbe continuare a scendere per arrivare e poi restare a livelli ridotti rispetto al passato;
• Il prezzo di materie prime e commodities e’ calato negli ultimi tempi e non tende a crescere soprattutto a causa dell’incremento del volume di offerta, della riduzione dei costi di loro estrazione e produzione, della moderazione della domanda primaria di beni anche a causa della progressiva digitalizzazione dell’economia. Percio’ il loro prezzo limitato non sembra derivare da eccessi o speculazioni bensi’ da fattori di lungo termine;
• I tassi di interesse potrebbero salire perche’ sono rimasti a zero per un prolungato periodo di tempo, alterando l’equilibrio che vede remunerare almeno un minimo il risparmio accumulato o il credito erogato. La cosa ha giovato alla sostenibilita’ dei debiti pubblici, alla propensione agli investimenti e ai costi aziendali in generale, ma un limitato e tempestivo rialzo dei tassi potrebbe aiutare a consolidare una stabilizzazione delle aspettative e a maturare la convinzione che non cambieranno di molto sino a quando non interverranno forti motivi perche’ succeda;
• I mercati valutari non hanno potuto che prendere atto del differente punto del ciclo economico cui si trovano gli USA rispetto al resto del mondo e pertanto hanno premiato (ma non sopravvalutato) il Dollaro per i maggiori rendimenti offerti e per la miglior stabilita’ offerta, ma la forza di quest’ultimo potrebbe contribuire a mettere la parola “fine” alle c.d. guerre valutarie tra le altre divise, arrestando la deriva verso il palliativo delle svalutazioni competitive;
• Le Borse Valori hanno probabilmente gia’ assimilato il concetto del futuro rialzo dei tassi e cio’ nonostante viaggiano ancora a livelli decisamente alti rispetto alle medie storiche degli ultimi decenni: il loro relativo piccolo ridimensionamento che puo’ venire dalla futura manovra della FED puo’ addirittura preludere anche in questo caso ad una relativa stabilizzazione complessiva, sebbene la loro volatilita’, incrementata rispetto al passato, non si vede come potra’ venire ridimensionata nel breve periodo. Nessun concreto allarme dunque si puo’ tradurre in una mezza buona notizia, nonostante possibili futuri cedimenti.
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Ecco spiegate le ragioni per le quali il mondo potrebbe rimanere ancora a lungo in questa “terra di mezzo” cui e’ giunto dopo la maturita’ dell’era industriale e grazie ai benefici dell’era digitale.
E’ una pia speranza? Un’illusione da indigestione monetaria? Un esercizio di fiducia che cozza contro l’entropia crescente di un mondo sempre piu’ multiforme e multiculturale? E’ certo possibile. Ma, per le ragioni sopra esposte, l’equilibrio che l’economia globale potrebbe raggiungere e’ ancora molto fresco: godiamocelo, “per un giorno, un’ora, un attimo” (come diceva Eugenio Montale), prima di alimentare qualche nuovo mal di testa!

EUGENIO MONTALE
“POICHE’ LA VITA FUGGE”

https://poesiainrete.wordpress.com/2014/08/25/poiche-la-vita-fugge-eugenio-montale-3/

3. DELOCALIZZAZIONI

LA FINANZA PER LE IMPRESE DELL’EST EUROPA

Dalla Delocalizzazione al Marketing Territoriale

Nel corso dell’ultimo trentennio, mentre l’Occidente celebrava la propria ricchezza sviluppando in modo abnorme il comparto dei servizi e riduceva progressivamente quello manifatturiero, l’Oriente inaugurava la sua corsa verso l’industrializzazione attirando imprese occidentali a causa del minor costo dei fattori di produzione.
Anche a livello dell’Europa continentale nascevano vistosi processi di delocalizzazione che trasferivano la manifattura verso molte economie piu’ deboli, da quelle delle sponde del Mediterraneo a quelle dell’Europa orientale, dove le imprese europee hanno potuto migliorare i propri margini grazie a un piu’ basso costo del lavoro e le nuove fabbriche da queste costituite hanno aiutato la popolazione circostante nell’accrescere il tenore di vita.
La corsa verso la delocalizzazione insomma ha sicuramente aiutato la crescita economica globale e trasferito capitali e know-how in molti tra i Paesi piu’ poveri, contribuendo alla loro crescita.
La crisi di fiducia del 2008-2009 pero’ ha imposto un calo della domanda di prodotti industriali a basso prezzo, imponendo una pausa di riflessione all’intero processo globale di delocalizzazione industriale.
La crisi ha in qualche caso ha invertito la tendenza alla delocalizzazione delle unita’ produttive al di fuori dei Paesi con una piu’ antica storia industriale, anche perche’ il costo del lavoro nei Paesi di destinazione si e’ gradualmente accresciuto, riducendo il vantaggio originario.
Ma la crescita economica dei Paesi dell’Est Europa sembra testimoniare che il concetto di marketing territoriale sia stato meglio compreso da questi ultimi che dalle vecchie potenze industriali del resto dell’Unione, come l’Italia o la Francia, dove il confronto sindacale e’ rimasto piu’ acceso sulla difesa di elevati livelli di welfare, i quali senza piu’ alcun dubbio intaccano l’elasticita’ strutturale del sistema industriale e pesano sul livello oramai eccessivo del debito pubblico. Vediamo perche’.
E’ interessante notare che il principale vantaggio della delocalizzazione produttiva nell’Europa dell’Est, derivante da un piu’ basso costo del lavoro che pero’ e’ venuto progressivamente a ridursi nel tempo, e’ stato parallalelamente sostituito da altri vantaggi per chi investe nel manifatturiero in quei Paesi.
Parliamo di nuovi vantaggi, legati a situazioni di minor stratificazione storica, che hanno fatto si’ che, ad esempio, la forza motrice costi di meno, il cuneo fiscale rimanga ridotto, il prezzo dei capannoni industriali sia piu’ basso, la tassazione delle imprese piu’ leggera, talune normative regolamentari siano meno stringenti e la qualita’ delle risorse umane sia crescente.
Tutti fattori aiutano oggi l’espansione industriale (anche di matrice estera) in quei Paesi nonostante che il prezzo dell’ora lavorata continui a crescere perche’ nell’Est Europa l’espansione del salario medio e’ rimasto in linea con la crescita della produttivita’ e pertanto non ha intaccato l’attrattivita’ per gli investimenti produttivi ne’ lo sviluppo del Prodotto Interno Lordo.
Oggi sette anni dopo la peggior crisi da un secolo il mondo Occidentale sembra essersi ripreso dalla crisi di fiducia e, soprattutto dopo l’estate 2015 con le tigri d’Oriente che ruggiscono un po’ meno, l’intero Est Europa continua a restare attrattivo per la delocalizzazione industriale nonostante esso si avvii ad una progressiva omologazione con gli altri Paesi della Nato e dell’U.E.
Dal Credito Bancario al Mercato dei Capitali per le PMI
Negli anni successivi alla crisi le borse valori sono cresciute moltissimo, anche a causa degli stimoli monetari delle Banche Centrali, le imprese manifatturiere sono finalmente tornate ad investire e ad assumere, sebbene la domanda di prodotto non abbia mai piu’ raggiunto i livelli del 2007 e siano stati conseguentemente calmierati tanto il numero delle risorse umane utilizzate nel manufatturiero quanto il loro cedolino medio.
Tuttavia, mentre la ripresa economica ha fornito nuove speranze all’industria, il mercato del credito, che in passato aveva fornito la maggior parte delle risorse finanziarie per sostenere il processo di delocalizzazione produttiva, ha subito molti chock e ha ridotto la sua propensione all’espansione, nonostante le attese siano finalmente per il 2015 per una ripresa anche per quel mercato.

Se l’accesso al credito si e’ dunque ristretto, tutti si chiedono oggi con quali capitali sara’ finanziato lo sviluppo industriale dei prossimi anni e se i medesimi capitali saranno ugualmente disponibili ad Est come ad Ovest dell’Unione Europea.

L’utilizzo degli strumenti finanziari del mercato dei capitali resta infatti ancor oggi quasi esclusivo appannaggio delle imprese piu’ grandi e soprattutto e’ assai poco diffuso nell’Est Europa.
Le imprese di minori dimensioni si sono invece sistematicamente viste precluse le porte del mercato dei capitali e, conseguentemente, hanno pagato in pieno in termini di costi e di disponibilita’, la progressiva riduzione del credito bancario, dal 2008 in poi.
La crisi dei mutui subprime, la riduzione della liquidita’ di mercato non piu’ apportata da quegli intermediari finanziari che in precedenza acquisivano titoli cartolarizzati e scambiavano tra loro grandi quantita’ di derivati, nonche’ la necessita’ di svalutare molti attivi bancari, ha portato a restrizioni regolamentari e controlli piu’ frequenti da parte delle Banche Centrali, che hanno avuto l’ovvia conseguenza di scoraggiare l’erogazione di nuovo credito, soprattutto alle PMI che hanno subito la maggior penalizzazione dei criteri di assegnazione del rating, a causa del fattore dimensionale.
Nei Paesi piu’ ricchi (di risparmio gestito) nello stesso periodo si e’ sviluppato il mercato dei capitali al piccolo dettaglio, vale a dire il Venture Capital, il Private Equity, le Borse delle Piccole e Medie Imprese, il mercato dei Minibond aziendali, la Carta Commerciale e il Factoring.
Dai Paesi che hanno una storia industriale piu’ recente invece i capitali sono spesso fuggiti, anche a causa di un recente crollo dei profitti attesi derivante dal progressivo incremento di offerta di commodities e materie prime, con il risultato di prosciugare quello spazio del mercato dei capitali riservato alle PMI su cui potevano soprattutto contare le imprese presenti nell’Est Europa nel reperire nuove risorse per la crescita.
Dunque la finanza ha sempre avuto un rapporto difficile con l’industria di piccole dimensioni, difficolta’ che si e’ pero’ addirittura accentuata con il recente incremento delle regolamentazioni creditizie riguardanti i requisiti di capitale per l’erogazione del credito nei confronti delle PMI, senza che per queste ultime si espandesse in parallelo la disponibilita’ del mercato dei capitali.
Anzi, proprio nello stesso periodo in cui l’espansione economica avrebbe richiesto alle imprese giovani e di limitate dimensioni, di reperire nuove risorse di capitale, abbiamo assistito al rientro di grandi flussi dei capitali verso i Paesi piu ricchi, capitali che erano originariamente impiegati nei mercati emergenti.
Dove Andare a Reperire Capitali per la Crescita
Nel percorso di sviluppo industriale di ogni Paese e’ normale riscontrare nei suoi primi stadi una significativa quota di imprese di limitata dimensione. E’ un “passaggio obbligato” prima che arrivi il fenomeno della concentrazione di ciascun comparto industriale, a partire dalle aziende attive nei prodotti che si posizionano nello stadio piu’ maturo del ciclo di vita.
E’ altresi’ evidente che la riduzione della disponibilita’ di risorse di credito da poter destinare alla crescita delle imprese minori puo’ seriamente minacciare lo svuotamento del contenuto imprenditoriale dei Paesi dell’Est Europa o ridurre la nascita di nuove imprese.
Ad oggi il ricorso al mercato dei capitali da parte delle imprese dell’Europa Orientale e’ trascurabile (si veda la tabella relativa all’intervento del Private Equity) ed e’ concentrato in Serbia, Repubblica Ceca e Polonia.
Dunque il tema delle risorse per lo sviluppo e’ duplice: da un lato il mercato del credito si fa piu’ selettivo e dall’altro le fonti cui attingere capitale di rischio per le PMI sono ancora limitate.
Com’e’ possibile percio’ recuperare capitali per la crescita di un intero sistema-Paese? Le risposte sono varie e non delle piu’ facili:
– nell’incentivazione (anche fiscale) alla prosecuzione degli investimenti industriali di matrice estera e al reinvestimento degli utili,
– nell’incentivazione (anche fiscale) alla capitalizzazione delle PMI,
– nella crescita del grado di apertura internazionale dell’industria locale,
– con investimenti infrastrutturali,
– nello sviluppo dei mercati azionari locali votati alle PMI,
– nella possibilita’ di migliorare il rating complessivo di ciascun Paese anche attraverso l’emissione da parte di Enti sovranazionali di specifiche garanzie rivolte a chi investe nel rafforzamento delle PMI residenti in aree svantaggiate o le finanzia,
– nel favorire l’ingresso di investitori professionali di capitali.
Un ulteriore veicolo di finanziamento alle PMI dei Paesi dell’Est Europa potrebbe essere costituito da erogazioni di finanza agevolata per la ricerca e lo sviluppo tecnologico da parte di organismi europei.
Essi potrebbero sbloccare determinati investimenti che aiuterebbero ad alimentare la crescita dell’indotto nel Paese che riesce a lavorare per ottenerli, ovvero erogazione di idonee garanzie sulla base delle quali ottenere finanziamenti e/o capitali per specifici progetti (esempio: project bond da cartolarizzare successivamente o garanzie sul capitale investito dai sottoscrittori per I fondi di private equity internazionali.)
Il sistema bancario puo’ favorire questo processo guadagnandoci anche, ma il massimo sforzo non puo’ che provenire dai dirigenti e gestori di quelle imprese che, non disponendo di adeguate risorse finanziarie, devono adeguare i propri sistemi e riuscire competere con le imprese di Paesi piu’ maturi per aggiudicarsele.
Tra Finanza e Industria serve pero’ Volonta’ di Dialogo
Sicuramente il maggior tema dal punto di vista del reperimento di finanza per le PMI nel prossimo futuro sara’ la possibilita’ -a livello nazionale come a livello comunitario- di riuscire ad attivare l’interesse del mercato dei capitali per le PMI stesse, singolarmente o per gruppi, distretti, reti d’impresa o consorzi. Chiaramente il mondo si sta muovendo in quella direzione e non e’ pensabile che la finanza si avvicini all’industria soltanto quando quest’ultima e’cosi’ solida che non esprime quasi piu’ rischi per chi investe.
Altro importantissimo elemento perche’ si riesca ad avvicinare il mondo finanziario a quello industriale e’ quello, oramai datato ma sempre attuale, della necessita’ di rendere decisamente piu’ intelligibili a chi investe e finanzia, i dati aziendali di natura gestionale, contabile, finanziaria e strategica delle PMI.
Queste ultime non adottano in molti casi la pubblicazione trimestrale dei bilanci, non utilizzano sistemi informatici di controllo di gestione in grado di aggiornare in tempo reale la Business Intelligence e la Pianificazione Finanziaria e, soprattutto, restano spesso gestite a livello familiare senza un sistema codificato di valutazione e incentivazione delle risorse umane, ne’ tantomeno un moderno sistema premiante sulla base della creazione del valore per l’impresa.
E quando mancano elementi come questi ultimi aumenta anche la probabilita’ che quelle PMI non cresceranno nemmeno in seguito, perche’ non genereranno valore per chi ci investe e non attrarranno di conseguenza interesse, magari nemmeno tra i finanziatori!
Perche’, affinche’ i due mondi quello della finanza e quello dell’industria, arrivino a collaborare, occorre innanzitutto che ciascuno di essi abbiano voglia di comunicare!


http://www.confindustriaromaniatv.ro/intervento-di-stefano…/

4) ECONOMIA ITALIANA

L’INDUSTRIA ITALIANA DOPO CINQUE ANNI DI CRISI RIVEDE LA SPERANZA

Stavolta e’ un autorevolissimo Centro Studi Confindustria che lo afferma senza timore: il manifatturiero italiano ha iniziato a risalire la china! Cito letteralmente:
“Nonostante abbia dovuto arretrare di fronte all’avanzata cinese nelle fasce basse di mercato, il Paese ha ben difeso la specializzazione nei suoi tradizionali comparti di forza legati a moda e design, grazie alla maggiore produttività e all’innalzamento dei valori unitari. Sono comparti che comunque rappresentano appena il 14,5% dell’export italiano totale (dal 21,5% del 1991), a dimostrazione che la robustezza industriale del Paese si fonda sull’esistenza di un’ampia e articolata struttura industriale, che forma una solida piattaforma per il rilancio.
Rilancio che è cominciato nella seconda metà del 2014, con un passo dapprima titubante e poi più sicuro. Ma a velocità diverse: rispetto al punto di minimo e a fronte di un dato medio di +2,3%, a oggi le variazioni nella produzione vanno dal +70% dei motoveicoli, rimorchi e semirimorchi al +15% di farmaceutica, bevande, abbigliamento, macchinari e attrezzature, al +10% dei mobili e all’ulteriore calo del 3-4% di legno, prodotti in metallo, pelletteria e calzature. “
L’Italia resta ancora l’ottava potenza nella classifica dei paesi manifatturieri e mantiene un elevatissimo livello di manifatturiero. La sua quota sulla produzione manifatturiera mondiale è stata infatti del 2,5% nel 2014 tre volte la quota dello 0,8% della nostra popolazione sul totale mondo.
Quanto ai volumi di produzione, invece, la caduta dell’Italia è stata significativa sia dopo il 2012 (-1,9% la variazione media annua) che in precedenza (-5,3% annuo tra il 2007 e il 2012).
I volumi della produzione industriale nei confronti del picco pre-crisi sono comunque scesi significativamente: si passa dal -4,3% dell’alimentare al -53,7% del legno, con mobili, tessile e prodotti in metallo a -35% e la sola farmaceutica con segno positivo (+8,9%), essendo la media pari a -24%.
Tuttavia, l’industria italiana – conclude il CSC- pur ridimensionata, ha mantenuto tre importanti indicatori di vitalità e di forza competitiva: l’alta propensione a innovare, seconda solo a quella delle imprese tedesche (e nei processi perfino davanti); l’elevato tasso di investimento (doppio di quelli tedesco e francese e in linea con quello USA); la seconda posizione al Mondo per complessità di export (solo dietro, di nuovo, alla Germania).
Un bell’avvio di ripresa e una situazione generale delle imprese non troppo sconfortante. Adesso si tratta di decidere -di nuovo- se il bicchiere dell’economia italiana e’ mezzo pieno o mezzo vuoto…
Per un approfondimento ecco il link all’edizione integrale di “Scenari Industriali” di Novembre 2015 del CSC:

http://www.ilsole24ore.com/pdf2010/Editrice/ILSOLE24ORE/ILSOLE24ORE/

Online/_Oggetti_Correlati/Documenti/Notizie/2015/11/Scenari-nov15.pdf

Stefano L. di Tommaso