Aprile 2015

BENVENUTI NELL’ERA GLACIALE

 

 

SOMMARIO:


1) IN SINTESI :   I Controversi Temi del Mese di Aprile

2) MERCATI FINANZIARI :
a) Benvenuti nell’Era Glaciale dell’Economia !
b) Quanto Dura la Congiuntura?

3) FUNDAMENTALS E DINTORNI :   Alla Ricerca della Fiducia Perduta

4) APPROFONDIMENTI :  Dietro la Giostra dei Grandi Movimenti di Capitali

5) INFORMALIA:    Tra serio e faceto

 

1) IN SINTESI

I Controversi Temi del Mese di Aprile

 

Il Centro studi de La Compagnia Finanziaria segnala poco prima della Pasqua un gigantesco agglomerato di buone e cattive notizie capace di stordire chiunque le ascolti tutte insieme:

– verso la Russia si preparano nuove sanzioni ma sembrano essere meno efficaci che mai
– l’Iran prepara le sue atomiche e resta minaccioso con Israele come pure con il resto del mondo
– contro l’ISIS l’Occidente intende inviare truppe di terra
– il Dollaro rischia di scavalcare la parità con l’Euro, anche a causa del possibile rialzo dei tassi americani
– i Paesi Emergenti rischiano il collasso a causa della fuga dei capitali verso le valute forti
– la Cina entra in contrasto con gli U.S.A. per la creazione di un nuova e diversa Banca mondiale per lo sviluppo
– la Grecia potrebbe uscire dall’Euro (destabilizzandolo)
– la ripresa americana va a singhiozzo e subisce una nuova battuta d’arresto
– la ripresa europea si consolida e annuncia persino una non scontata ripresa dei consumi
– la disoccupazione in Italia non accenna a diminuire
– i deficit pubblici (in particolare quello Francese) si ampliano ma ci sono timori che la Banca Centrale europea non riesca a trovare titoli da acquistare senza rendimenti negativi
– tutti i gestori dei fondi pensione della Terra si chiedono su quali Asset Class potranno investire con prudenza e non trovano risposte
– le borse continuano a gonfie vele e addirittura c’è chi pronostica una ripresa dei prezzi immobiliari
– ciò nonostante i timori per lo scoppio della nuova bolla speculativa sui mercati si moltiplicano, proprio come è successo nel 2007 dopo il repentino aumento dei tassi di interesse americani.

Cosa succede dunque? Le cose vanno per il meglio o per il peggio? E se non andassero da nessuna parte?
Sebbene risposte certe non sia mai facile darne, il nostro pollice è all’insù ed è per spiegarVelo e circostanziarlo che Vi proponiamo una serie di quattro articoli che toccano la materia da diversi punti di osservazione.
Buona lettura e buona Primavera!

 

2a) MERCATI FINANZIARI

Benvenuti nell’Era Glaciale dell’Economia !

 

 

I segnali sono tutti estremamente positivi: borse sù (da inizio anno piazza affari è salita del 22%) , petrolio e gas giù (meno 50%, ma in dollari però), euro debole (meno 26% sul Dollaro), Banca Centrale Europea pronta ad innaffiare i mercati con liquidità a buon mercato, Piano Junker pronto per essere lanciato e Renzi che continua a sfornare a ritmo forsennato nuove manovre e piani di sviluppo!

Tutti gli elementi per una vera ripresa economica nazionale sembrerebbero stavolta essere sul tavolo, mentre gli echi dei disordini mediorientali e quelli delle sanzioni alla Federazione Russa non disturbano più di tanto i sonni degli investitori e delle multinazionali anglosassoni che tornano a investire o speculare sui cespiti aziendali e immobiliari svalutati del nostro Bel Paese.
A dire il vero però non è proprio tutto in ordine. Per una serie di motivi sono pochi gli Italiani che possono sperare in un miglioramento già quest’anno delle loro condizioni di vita.

E di ragioni ce ne sono a bizzeffe: il rientro dal deficit di bilancio, cioè la fine del rigonfiamento del nostro debito pubblico, continua ad essere rimandato agli anni a venire e dunque non è sopìto il rischio di bancarotta di Stato. Inoltre esistono numerosi fattori generali di incertezza: il rischio di un dollaro eccessivamente forte porta con sé il rischio di una nuova crisi finanziaria dei Paesi Emergenti, le riforme di Renzi ancora non sembrano aver scalfito il vero dramma nazionale: la sottooccupazione e la caduta conseguente delle retribuzioni salariali, e soprattutto i timori per un’ulteriore inadeguatezza del sistema previdenziale e di quello sanitario italiano costringono le famiglie a lasciare qualche denaro sotto la mattonella perché al peggio non c’è mai limite!

 

 

Ma cosa succede a livello internazionale? Succede che i timori di un sussulto repentino dei mercati si moltiplicano, specie oggi che la ripresa economica americana ha oramai più di un anno di vita ma non ha convinto nessuno davvero, prova ne sia la deflazione globale, che denota più offerta di denaro che domanda del medesimo. Ma allora le statistiche “mentono”?

Si e no. Tanto per cominciare esistono statistiche molto diverse tra loro a seconda che riguardino l’ultimo mese, o anno o decennio. E non vanno tutte nella stessa direzione. Inoltre ci siamo abituati a misurare sui consumi lo stato di salute economica, ma non sempre ciò è appropriato.

A volte i consumi riprendono solo perché sono rimasti compressi troppo a lungo. A volte persino quello della disoccupazione resta un numero illusorio: se il numero degli occupati sale ma il loro salario scende, teoricamente la disoccupazione migliora, ma il benessere della popolazione no. Lo stesso vale quando la gente smette di cercare un posto di lavoro: ciò accade per esempio in Italia, dove gli iscritti alle liste sono poco più del 13% della forza lavoro, ma è noto che nella penisola lavora poco più di un italiano su tre, contro quasi uno su due in Germania, ad esempio. Dunque la disoccupazione (formalmente) scende ma la povertà avanza.

Insomma, se misuriamo lo stato di salute di buona parte delle economie occidentali con il numero e il livello economico dei posti di lavoro, con le svalutazioni competitive e con i tassi di interesse invece che con i consumi nominali, allora dobbiamo dedurre che le stesse potrebbero passarsela meglio.

E persino negli U.S.A. dove viceversa la valuta (il Dollaro)si apprezza e la FED si prepara a rialzare i tassi (ma sarà poi vero?) la situazione non sembra assai migliore: quest’anno per molti motivi non è attesa una stagione dei dividendi societari tra le migliori, mentre i tassi a zero stanno mettendo in ginocchio il sistema pensionistico americano.

Tanti segnali di fumo della ripresa, quindi, ma poco arrosto. E come se non bastasse sappiamo per certo che a tavola non c’è posto per tutti. Quel che si profila perciò è un’epoca di squilibri da colmare, di dialoghi da far ripartire, di pace da perseguire, di deficit da tamponare, mentre il mondo gira sempre più a due velocità: da una parte c’è l’Asia, che tira molto più dell’Europa (ma ne compra i numerosi marchi del lusso) e anche più degli Stati Uniti. Dall’altra ci sono i Paesi del Mediterraneo, quelli dell’Africa, l’America del Sud e il Medio Oriente in genere, che non solo restano politicamente instabili ma anche progressivamente più poveri, man mano che i capitali volano in Asia e America, alla ricerca di opportunità più facili.

Per adesso la liquidità immessa nei mercati finanziari occidentali (ed in particolare in modo tardivo in quelli europei) li mantiene sotto doping, ma con il gelo dei tassi negativi e la brina delle vette cui essi sono arrivati già da un po’, si fa fatica a intravedere la tendenza economica positiva di fondo!

Se ciò fosse confermato dai fatti alla fine i profitti delle imprese potrebbero restringersi e le borse si sgonfierebbero, cioè nonostante gli stimoli monetari cadremmo tutti intirizziti nella più bieca delle trappole della liquidità.

Esistono al riguardo i monetaristi, i keynesiani e molte altre tribù di intellettuali che ritengono più o meno validi gli stimoli lanciati dalle banche centrali. Altri si concentrano sulla debolezza della demografia oppure sulla parte più deteriore della globalizzazione (industria delle repliche a buon mercato, plagi d’autore e banalizzazione di buona parte dei beni di largo consumo) per affermare che per un bel po’ i profitti delle imprese resteranno congelati a causa alternativamente del dollaro alto o della concorrenza asiatica. Nessuno però può negare che, nonostante tutto, una tiepida ripresa è in atto, da qualunque cosa essa dipenda, e se dovesse continuare così, in punta di piedi, a noi Italiani non dispiacerebbe affatto perché potrebbe dispensarci il tempo di cui abbiamo bisogno per risanare i nostri fondamentali.

E poi forse da cosa dipenda la glaciazione delle economie occidentali non ci importa nemmeno troppo saperlo, mentre risulterà essenziale sapere come fare per invertirne la deriva. Se non ci riusciremo noi vecchietti europei e noi stolidi mediterranei alla fine ci beccheremo una polmonite letale! E invece di partecipare alla giostra del disgelo economico (che prima o poi comunque arriva) noi rischiamo di restarcene sotto una bella coltre di malumore…

 

2b) MERCATI FINANZIARI

Quanto Dura la Congiuntura ?

 


L’allineamento favorevole degli astri tra svalutazione dell’euro, prezzo del petrolio e denaro a basso costo sta dando una spinta insperata alla ripresa economica italiana. Ma nessuno di questi accadimenti dipende dall’Italia.
Dal momento che noi Italiani non abbiamo meriti sorge perció spontanea una domanda: quanto durerà?

Se la causa del crollo dei prezzi di molte materie prime è da attribuirsi alla stagnazione secolare dell’Occidente, prevista da Rogoff e altri a causa del crollo di demografia e investimenti tecnologici allora essa sarà causa di una lunga deflazione che comporterà ulteriori svalutazioni competitive e durerà forse abbastanza da dare una spinta al manifatturiero e al turismo italico (Expo permettendo) e dunque anche di far rieleggere Renzi.
Ma anche in questo caso il ciclo favorevole potrebbe non tirare più di un paio d’anni, nel corso dei quali perché qualcosa migliori stabilmente bisognerebbe che questo governo si impegni a fondo nel ripulire la spesa pubblica dalle mille voci di spesa clientelare improduttiva e gettare le basi per una riduzione dell’imposizione fiscale.

Sui mercati invece è più difficile dire come andrà: l’eccesso di offerta sulla domanda di gas e petrolio potrebbe non bastare a placare gli “animal spirits” dei mercati e le tensioni politiche globali potrebbero alla fine fare la loro parte.

Ma non sarà stavolta la FED a tirare il collo alle borse con un rialzo dei tassi che con tutta verosimiglianza continuerà ad essere annunciato e poi posticipato almeno per buona parte del 2015 (la lezione di quanto accaduto nel 2007 dopo un repentino rialzo dei tassi dovrebbe essere stata ben metabolizzata).
Inoltre l’attesa (per ora infruttuosa) di un rialzo dei tassi americani favorirà necessariamente lo stock picking, favorendo quei titoli azionari che esprimono i maggiori rendimenti (quindi difficilmente quelli americani) ovvero quelli che possono vantare una minore rischiosità che perciò dovrebbero scontare gli utili attesi al più basso tasso possibile. Gli altri titoli potrebbero decisamente ridimensionarsi a prescindere dai presunti scossoni in arrivo a partire dalla prossima estate.

Dall’altro canto continuano ad accumularsi ovunque eccessi di finanziarizzazione delle economie asiatiche e sovraccarichi di posizioni speculative soprattutto sui derivati delle materie prime e delle energie che fanno come minimo pensare che la volatilità complessiva non si placherà, anzi!

Quel che però stavolta rende la situazione mondiale diversa dal solito è la dilagante deflazione che oramai non risparmia più nessuno e che potrebbe favorire ulteriori rialzi del dollaro, unitamente ad una crescita fuori misura dei debiti finanziari del mondo, a partire dalla Cina che in sette anni ha triplicato i suoi. Oggi il debito finanziario totale nel mondo viaggia al di sopra dei 200.000 miliardi di dollari, ben più di due volte il Prodotto a Globale Lordo!

Per questi motivi ciò che forse succederà è che i tassi potrebbero generalmente restare bassi abbastanza a lungo da consentire ai debiti pubblici di tirare un respiro di sollievo, il che non sarebbe un brutto regalo, soprattutto per i PIIGS come l’Italia, Paese che continua con i suoi inutili dibattiti politici interni a scansare le vere questioni di fondo: il welfare, la previdenza nel lungo termine e la sicurezza nazionale. Tuttavia il QE e le altre manovre finalizzate alla monetizzazione di tutto questo debito portano con se un importante prezzo occulto da pagare: la svalutazione implicita dei risparmi investiti in attività finanziarie emesse contro quel debito che si vuole monetizzare!
Il problema insomma sarà nel tempo trasferito ai pensionati, ai piccoli risparmiatori, ai programmi di assistenza sociale, ai sussidi ai più bisognosi e, ovviamente, ai Paesi Emergenti, i quali rischiano di veder scendere ancora i prezzi delle loro esportazioni a basso valore aggiunto.

Nessuno ci garantisce poi da un eventuale acuirsi della guerra fredda, la quale tuttavia nasce e si muove su basi così irrazionali che alla fine potrebbe anche sopirsi miracolosamente, in virtù di una ritrovata convenienza collettiva a mantenere eternamente bassi i prezzi dì commodities, metalli e energie.
Potrebbe, ma dipenderà soprattutto da ciò che accadrà a breve in Iran e Siria.

Oltre ciò la mia sfera di cristallo si annebbia e riflette un bellissimo cielo azzurro dal quale proviene all’orizzonte un messaggio: “Accontentatevi laggiù! Poteva andarvi molto peggio”!

 

3) FUNDAMENTALS & DINTORNI

Alla Ricerca della Fiducia Perduta

 

 

 

Sino a pochi anni fa quasi tutti erano pronti a scommettere che il mondo non si sarebbe mai più trovato di nuovo sull’orlo di una grande depressione come quella del 1929-39.

Gli economisti credevano di avere studiato gli strumenti per evitarlo e i politici credevano agli economisti. Alla fine gli unici che hanno fatto qualcosa sono stati i banchieri centrali. Tuttavia negli anni 2007-2014 la crisi dei mutui sub-prime ha scatenato, proprio nella stessa America che aveva subito la prima, una nuova importante recessione che ha avuto a livello globale caratteristiche e durata alquanto simili alla precedente.
Caratteristiche non esattamente uguali perché stavolta le banche centrali del mondo anglosassone e giapponese hanno fornito tempestivamente molta nuova moneta alle banche e ai mercati finanziari, evitandone il crollo, sebbene la decrescita economica ci sia stata ugualmente, la disoccupazione abbia morso una parte considerevole della popolazione mondiale e la riduzione della velocità della circolazione della moneta abbia trascinato le economie occidentali in una “trappola della liquidità” che ha portato i rendimenti delle attività finanziarie sotto zero inducendo la deflazione.

In Europa l’intervento della banca centrale è stato invece tardivo e le conseguenze pagate dalla popolazione sono state dolorose: i paesi periferici e più indebitati hanno sperimentato un’elevata disoccupazione che nel caso dei giovani ha toccato vertici inimmaginabili e poi una crisi della fiducia nei consumatori che non è stata ancora spazzata via.
Sono stati sette terribili anni nei quali il mondo ha reagito più o meno velocemente alla crisi finanziaria ed economica che si è propagata e poi si è riassorbita in funzione della velocità di ciascuna economia, bruciando tuttavia molta ricchezza, ritardando nei Paesi del Terzo mondo il riscatto dalla morsa della fame e l’alfabetizzazione digitale.
Oggi nella maggior parte dei paesi industrializzati la recessione sembra terminata ma l’economia non corre, i consumi non si sono ripresi con lo stesso vigore mostrato nei cicli economici precedenti e, soprattutto, la deflazione è arrivata persino alle roboanti economie asiatiche e non sembra affatto facile da eradicare, segno inconfondibile di un malessere non ancora estinto.

Cosa possiamo dedurne?
La crisi stavolta ha colpito in modo differenziato in funzione della forza e della ricchezza precedentemente raggiunte da ciascuna area del mondo, incrementando le disparità tra paesi ricchi e poveri nonché la concentrazione del potere finanziario in poche potentissime mani: si stima oggi che quasi il 42% della ricchezza finanziaria sia concentrata nell’1% degl’individui.
In secondo luogo gli strumenti effettivamente in mano ai governi e alle banche centrali si sono rivelati limitati anche a causa della scelta di non incrementare il debito pubblico che si era generato negli anni immediatamente precedenti alla grande crisi (nel timore di una serie si bancarotta di stato che ne potevano derivare) impedendo perciò l’applicazione di buona parte di quelle politiche fiscali anticicliche che John Maynard Keynes avrebbe suggerito, per privilegiare invece l’espansione della politica monetaria con il “Quantitative Easing” e l’azzeramento dei tassi di interesse.

Hanno fatto bene i governanti occidentali a incrementare l’offerta di moneta (che solo in minima parte si è riversata sull’economia reale) per limitare invece quelle politiche fiscali espansive che avrebbero potuto creare uno stimolo alla domanda?
Quale filosofia di intervento sarebbe stata la più corretta?
La risposta probabilmente risiede nelle teorie economiche e negli strumenti di analisi e di intervento che ne conseguono, i quali ovviamente si dividono e si divideranno sempre tra liberisti e interventisti, monetaristi e non, conservatori e assistenzialisti, ecc…
Il rischio che oggi corre l’intero pianeta è quello di una crisi di sfiducia generalizzata sul valore delle principali divise di conto e degli attivi espressi in esse, che si manifesta soprattutto nel fenomeno della deflazione.
Ma altre risposte non dipendono dalle teorie in voga: oggi è chiaro a chiunque che la scelta di ricorrere a politiche di austerità della spesa pubblica (invece che di selezione) proprio negli anni in cui la recessione mordeva di più è risultata ex post folle ed infondata, aggiungendo alla sfiducia nel futuro quella nelle istituzioni nazionali e sovranazionali che dovrebbero orientarlo.

Nel nostro Paese quasi per assurdo l’ammontare dei risparmi e dei depositi bancari è cresciuto proprio mentre le risorse disponibili scarseggiavano di più. Ma a ben vedere c’era della logica nel comportamento collettivo: la crisi di sfiducia nell’assistenza pubblica (previdenziale-sanitaria) e persino nell’istruzione e nella sicurezza forniti dalla mano pubblica ha obbligato le famiglie a “mettere fieno in cascina” nell’eventualità di tempi peggiori.

Un recente articolo de Il Sole 24 Ore ha aperto uno squarcio sul mondo del risparmio in Italia: possediamo una ricchezza finanziaria di oltre 3800 miliardi di Euro e addirittura di quasi 10000 miliardi se si include la ricchezza investita in immobili: cinque volte il debito pubblico! E quasi due volte se ci si limita al risparmio investito in strumenti finanziari.
Basterebbe trovare il modo di dirottare verso le imprese soltanto il 2,5% di quest’ultimo aggregato per poter colmare per intero il “buco” di circa 100 miliardi di Euro che si è creato nella disponibilità di credito industriale dopo la grande crisi.
Perché oggi quei cento miliardi non vanno alle imprese?
I motivi sono numerosi (a parte le spesso inutili regolamentazioni che riguardano l’esercizio del credito o il collocamento di titoli azionari nei confronti del pubblico risparmio). Principalmente essi riguardano la preferenza verso altre “Asset Class” e la preferenza verso altri Paesi del mondo data la poca trasparenza dei bilanci di società italiane.
È cioè sempre e comunque un problema di aspettative (deboli e disilluse della possibilità che nel nostro Paese si determini un clima più favorevole per il business).

Anche i veri effetti delle politiche monetarie espansive dipendono fortemente dalle aspettative dei mercati finanziari: se nutrono fiducia nel futuro essi fioriranno e gli investimenti si amplieranno, generando un effetto di ulteriore crescita. Al contrario un’attesa di ulteriori difficoltà potrà determinare una restrizione delle scommesse sul futuro è di conseguenza il perdurare dell’attuale situazione di tassi di interesse negativi.
Gli economisti dibattono inoltre a proposito della c.d. “mano invisibile dei mercati” sono essi in grado di stabilizzarsi autonomamente o necessitano un deciso intervento dei governanti? Io propendo per la seconda ipotesi ma ci sarebbe prima bisogno di sapere che questi ultimi esprimano autorevolezza e possano a loro volta riuscire a ispirare fiducia. Altrimenti è meglio che non facciano nulla…

 

4) APPROFONDIMENTI:

Cosa c’è dietro la Giostra dei Grandi Movimenti di Capitale

 

 

 

L’interpretazione di ciò che sta avvenendo sui mercati finanziari nelle ultime settimane si presta ad approfondimenti e sinanco a dietrologie che avevamo dimenticato dai tempi dei romanzi di John LeCarrè e della guerra fredda.

Innanzitutto i fatti:

A.
mentre la banca centrale dell’Euro-zona lancia (e sembra con successo) il proprio stimolo monetario e lascia che i propri tassi d’interesse precipitino in territorio negativo, il dollaro invece si rafforza, i capitali si spostano rapidamente verso gli U.S.A. che offrono invece rendimenti bassi ma decisamente superiori e addirittura progettano di aumentarli ancora, nonostante che da più parti venga misurata anche oltreoceano un’inflazione negativa, o quantomeno estremamente bassa (non esistono fonti univoche al riguardo).

B.
Il dollaro forte azzera completamente per il resto del mondo (eccetto gli U.S.A. appunto) il vantaggio che si sarebbe ottenuto con il calo dei prezzi di petrolio, gas e molte altre materie prime e commodities, denominate quasi tutte in dollari. Questo porta indubitabilmente acqua al molino dell’America e la toglie con violenza ai progetti di sviluppo di molti Paesi Emergenti, nonchè alla Russia, fors’anche alla Cina, ma non la toglie necessariamente all’Europa, dove le borse brindano all’ennesimo rialzo e l’economia sembra riprendersi più rapidamente di quanto si poteva sospettare.

C.
Anche la svalutazione dell’Euro è stata assai più repentina di quanto chiunque avrebbe previsto. Magia dei mercati o mani forti a pilotarne i corsi? Se aggiungiamo che in contemporanea sono comparsi numerosi focolai di guerra (o quantomeno un gelo artico che si è sparso nelle relazioni internazionali tra le principali nazioni del mondo economicamente sviluppato) dove quasi sempre si intravvede uno sfondo di forte confronto tra Americani, Russi, Cinesi e Paesi Mediorientali (con addirittura accentuate dialettiche persino con lo Stato di Israele) ecco che viene da pensare che pesanti interessi siano in gioco in questo preciso momento.

Cosa succede dunque? Chi tira le fila delle marionette nello spettacolo appena descritto?
Rispondere “gli Americani, ovviamente” può non essere così scontato, né corretto nell’analisi, e nemmeno tanto prudente.
Perché se da un lato è vero che la situazione comporta facili guadagni per i medesimi, nonché l’ennesima riaffermazione della loro supremazia internazionale nel battere moneta di riferimento che consente poi cospicui vantaggi nel commercio mondiale dell’energia e delle principali materie prime, sull’altro piatto della bilancia bisogna porre il fatto che questa forza ha l’indubbia capacità di aggregare opinioni, popoli e nazioni per contrastarne lo strapotere, la politica internazionale e sinanco le filosofie sottostanti.

L’emergere della supremazia a stelle e strisce su tutte le altre nazioni del mondo non potrà che creare nel tempo conseguenze rilevanti, nonché screditare le principali istituzioni sovranazionali (che perdono parallelamente in credibilità) e persino la condivisione del concetto stesso di democrazia, cui sempre più spesso di aggiunge l’aggettivo “imperialista”.

Ci sarebbe perciò molta geopolitica nell’analisi dei movimenti di capitale, ma questo potrebbe non bastare ancora. Se proviamo a “seguire il denaro” come faceva dire a “Gola Profonda” William Goldman, l’autore del film “Tutti gli Uomini del Presidente” a proposito dello scandalo Watergate, troviamo tracce fresche di sangue non soltanto nel confronto tra i principali operatori internazionali per la supremazia nel campo degli investimenti immobiliari, di quelli tecnologici, energetici, militari e nel controllo delle grandi “utilities”, sino anche al settore medico e farmaceutico.

E qui il panorama si frastaglia, poiché le èlites internazionali, quell’un percento della popolazione che controlla quasi il 42% di tutte le ricchezze del mondo, non sono necessariamente colorate a stelle e strisce.
Tra i più grandi detentori di ricchezze e potere economico troviamo numerosissimi tedeschi, francesi, sudamericani, cinesi, russi e, ovviamente, arabi. Sono tutti perte di un grande complotto capitalistico? Probabilmente no. Se invece ci poniamo una domanda più semplice potremmo avvicinarci alla verità (senza sperare mai di averla esaurita): hanno interessi convergenti tra loro?
Forse verrebbe da dire di si.

Con la progressiva concentrazione dei capitali in poche forti mani nemmeno i governi nazionali sono più i veri protagonisti, mentre quelle controverse e misteriose figure dei banchieri centrali proseguono nel ricavarsi un ruolo che nella storia hanno avuto in pochi persino tra i grandi capi religiosi.
Il denaro insomma più che mai sta forgiando il volto del pianeta, lo sta modellando a suo piacimento, orientandone non soltanto i redditi e gli investimenti, ma sinanco le opinioni!
E lo schierarvisi contro non soltanto rischia di essere privo di effetti pratici, ma soprattutto rischia di essere un esercizio di incomprensibile teorizzazione. Il benessere collettivo, come diceva Socrate, non può che provenire dalla sapienza, così come ogni tentativo di migliorarlo può solamente provenire dalle coscienze.

 

5) TRA SERIO E FACETO:

Stanotte ho sentito alla televisione che il nuovo governo per far fronte alla crisi disporrà come prima misura il dimezzamento del numero dei parlamentari, dei loro emolumenti e dei loro assistenti, con abolizione dei loro vitalizi e degli altri privilegi. Poi sono caduto dal letto, mi sono svegliato, e sono tornato alla triste realtà…

 

Stefano L. di Tommaso