Newsletter Giugno 2014

LA RIPRESA È GIÀ FINITA?

 

 

 

SOMMARIO:

1) IN SINTESI: “col fiato sospeso”
2) LO SCENARIO MACRO: a) “traslazione laterale” b) “borse a rischio?”
3) UN OCCHIO ALLA GEO-POLITICA: a) “l’asimmetria democratica dell’Ucraina” b) “la questione tedesca”
4) INFORMALIA: “Un ingegnere, un commercialista ed un economista…”


1) IN SINTESI:

“COL FIATO SOSPESO”

Con il fiato sospeso per le quotazioni da capogiro che essi hanno raggiunto, i mercati guardano ancora con fiducia alla liquidità che le banche centrali continuano (e continueranno) ad immettere in circolo, la quale inevitabilmente sostiene le quotazioni borsistiche e tiene bassissimi gli interessi dei titoli pubblici, ma sanno che non potrà durare in eterno.

Per vari motivi i profitti futuri di molte imprese occidentali sono forse entrati in una zona di rischio, che fa temere possibili crolli delle borse, possibili rialzi dei tassi o, quantomeno, un prolungato periodo di maggiore volatilità dei mercati.

La storia nel frattempo va avanti e sembra quasi che ritorni una contrapposizione tra Est o Ovest del mondo suggellata da una traslazione generalizzata di ciascuno verso Oriente: gli USA cercano di nuovo stabili alleati al di qua dell’Atlantico, l’Unione Europea guarda sempre più all’Europa dell’Est e alle tensioni mediorientali. La Russia difende i suoi confini meridionali e a sua volta guarda con fiducia alla Cina. Ma annuncia anche un rinnovato Patto di Varsavia, stavolta con Bielorussia, Kazakhstan e forse qualche repubblica della via della Seta.  Tensioni e polarizzazioni che non promettono niente di buono, in un contesto di debole ripresa economica globale.

Eppure le Borse si mostrano da tempo molto più gagliarde dell’andamento generale dell’economia, ponendo con ciò un dubbio sistemico: stanno soltanto anticipando una ripresa che le statistiche ancora non rilevano oppure sono sospinte dall’eccesso di liquidità? Certo è che gli italiani sono tornati a risparmiare. Si stima che essi risparmieranno circa 190 miliardi di euro nei prossimi 3 anni. Questo porterà soldi alle imprese e alla Borsa. Le imprese potranno emettere bond, sebbene questi andranno sempre di più a sostituire un credito bancario in ritirata. Ma se anche fosse vero che tanto nuovo denaro affluirà alla Borsa in cerca di guadagni, con la scure del Rating che rischia di calare ancora una volta sul debito pubblico italiano, certo non si può pensare che lo scenario resti magicamente idilliaco per sempre!


2) LO SCENARIO MACRO:

A) “TRASLAZIONE LATERALE”

Il mondo economico nella sua interezza sta vivendo un’empasse storica come non se ne vedeva una da un bel po’ di tempo.

Con il fiato sospeso per le quotazioni da capogiro che essi hanno raggiunto, i mercati guardano ancora con fiducia alla liquidità che le banche centrali continuano (e continueranno) ad immettere in circolo, la quale inevitabilmente sostiene le quotazioni borsistiche e tiene bassissimi gli interessi dei titoli pubblici.

Ma gli operatori e gli analisti colgono benissimo la contraddizione insita in questo lungo idillio tra mercati finanziari ed autorità politiche e monetarie, perché sanno che non può durare in eterno.  Così i medesimi coltivano una crescente apprensione perché la ripresa economica che tutti aspettavano nel 2013 si è affacciata solo timidamente (Italia a parte, zavorrata da scarsa produttività, debito e spesa pubblici oltre ogni limite).

Quella ripresa che avrebbe dovuto lanciarsi al galoppo nel 2014 e ha invece solo rallentato nel primo trimestre, lasciando spazio a perplessità di ogni tipo sulla reale possibilità che si materializzi. Cioè che il sistema industriale globale produca più profitti, le innovazioni tecnologiche generino nuova ricchezza e speranza e possano riprendere vigore i gettiti fiscali nazionali, che oramai da un decennio stentano a sostenere il welfare, cioè la previdenza sociale e il supporto del pubblico alle classi disagiate.

A dire il vero il problema di quando arriva davvero la ripresa è vecchio di almeno un quinquennio, esattamente da subito dopo che il mondo è stato colpito da una recessione globale. Una ripresa che a tutt’oggi è quasi nulla al netto della crescita demografica e delle sovvenzioni ai paesi in via di sviluppo, e che perciò da sola non sarebbe forse mai arrivata se Stati Uniti, Inghilterra e Giappone non avessero preso l’iniziativa dei forti stimoli monetari denominata “Quantitative Easing”.

Così, per necessità, si è generato il fenomeno del QE (cioè la stampa più o meno velata di nuova cartamoneta), che però ha reso più ricchi coloro che potevano permettersi di investire sui mercati finanziari (sono infatti quasi cinque anni che crescono) e prospetticamente più poveri coloro che, vivendo dei propri salari dovranno accettare prima o poi di pagare un po’ più cari i beni di prima necessità. Come sempre, dietro nobili fini (quali l’uscita dalla recessione mondiale), v’è l’uso di mezzi non sempre altrettanto nobili (come la guerra delle monete, oggi sordidamente in atto) e qualche occulto secondo fine.

Da ciò sono anche nati i movimenti “no-euro”, perché se esistono paesi che tendono a svalutare le loro divise monetarie per rendere le proprie esportazioni più competitive, di conseguenza  l’industria europea -che invece utilizza una divisa che specularmente si rivaluta- soffre e licenzia.

Ma se una parte del mondo perde competitività (come giustamente fa notare l’economista tedesco Otmar Issing, secondo il quale la Germania stessa per “tenere botta” sta smantellando le riforme strutturali del decennio scorso, per compiacere le sinistre della Grosse Koaltion e a causa di una valuta troppo forte) e se dall’altra parte del mondo il continente asiatico, con la Cina in testa, ha esagerato nell’allentare i cordoni del credito pur di finanziare la crescita, allora i profitti futuri di molte delle imprese occidentali sono forse entrati in una zona di rischio, che fa temere possibili crolli delle borse, possibili rialzi dei tassi oppure, quantomeno, una maggiore volatilità dei mercati.

Nel frattempo è immancabilmente azzurro il cielo dei cartoni animati che vengono proiettati a Wall Street come a Piazza Affari, ed il mantra che tutti ripetono (banche centrali comprese) è l’esatto opposto: la stabilità dei mercati non è a rischio e i debiti pubblici sono sotto controllo (perché i tassi resteranno artificialmente bassi molto a lungo).

In realtà le quotazioni restano alte ma non crescono più. Anzi oscillano parecchio, con mani forti che impediscono scossoni e tanti quattrini in circolo per acquistare ciò che altri vendono. Ma il punto è che nessuno vende e compra l’intero mercato: tutti seguono le quotidiane onde al rialzo o al ribasso dei singoli settori economici e delle singole aziende, delle singole nazioni o delle grandi macro-aree del mondo, e l’oceano nel suo complesso resta piuttosto calmo. Dunque per adesso non si coglie alcuna tendenza di fondo, fatta salva quella globale verso tassi di interesse eccessivamente bassi a causa della deflazione strisciante.
 

Questo scivolare avanti senza particolari alti e bassi è quel che in gergo finanziario si chiama “movimento di traslazione laterale” (nel tempo).

Tuttavia l’analisi tecnica insegna che oltre l’angolo di ciascuna traslazione laterale si accumulano forze che alla fine dirompono, sebbene non sia facile asserire quando.

Nel frattempo però i debiti pubblici salgono (il debito di buona parte dell’Euro-Zona, infatti, è ancora sui livelli che fino a poco tempo fa venivano considerati insostenibili: Grecia 175,1% del Pil, Italia 132,6%, Portogallo 129%, Spagna 93,9% -dati Eurostat relativi al 2013) i sistemi pensionistici soffrono, anche a causa dei rendimenti innaturalmente bassi, e le svalutazioni competitive non durano in eterno (prima o poi il Dollaro dovrebbe riprendersi), procurando nel frattempo mal di pancia e rivolte di piazza a coloro che le subiscono (i Paesi dell’Euro-zona). Il dato è ancor più drammatico se consideriamo il livello globale di indebitamento delle principali economie del mondo:

 
Non sappiamo perciò se la debole ripresa economica mondiale sarà presto di nuovo soffocata dalla debole domanda dei consumi o finalmente dispiegherà le sue nuove ali con la ripresa degli investimenti che potrebbe conseguire al prolungato periodo di stimoli monetari , ma una cosa è certa: all’appuntamento con la prossima recessione il mondo intero si presenterà con almeno il 20% di debiti in più rispetto al 2008 e con divise valutarie probabilmente tutte sopravvalutate a causa della monetizzazione in atto di quei debiti. Anche se è ragionevole pensare che di una prossima recessione sia al momento impossibile parlare (perché da tutti considerata un’ipotesi politicamente assai scorretta).

A questo servono oggi gli interventi di stimolo monetario delle Banche Centrali, a traslare nel tempo la necessità di risolvere il problema del debito, nella doppia speranza di  una ripresa della crescita globale e della monetizzazione dello stesso!


B) “BORSE A RISCHIO ?”

Nemmeno l’andamento negativo del Prodotto Interno Lordo italiano ha spinto sino ad oggi all’ingiù Piazza Affari. Il PIL è stato fortemente negativo per buona parte del 2013, poi sembrava aver ripreso speranze nell’ultimo trimestre dello stesso anno ed è invece di nuovo tornato in area negativa (-0,1%) nel primo trimestre 2014, a dispetto della buona performance fatta registrare invece dalla Spagna (+0,4% sull’ultimo trimestre del 2013). Dunque le previsioni di crescita del PIL italiano per l’anno in corso sono state da tutti riviste al ribasso, attestandosi in media ad un magro (e secondo me persino improbabile) +0,5%  per la fine dell’anno.

Ciò nonostante la Borsa italiana ha segnato un +14% da inizio 2014. È segno che l’economia di carta continua a prevalere su quella reale? La scienza economica sancisce che nel lungo termine dati macroeconomici e i listini borsistici si influenzano sempre a vicenda. Tuttavia, nel recente passato e sino ad oggi il filo rosso che li dovrebbe collegare ha avuto evidentemente minor peso nel giudizio degli investitori.

Ad esempio dal 2000 al 2013, l’incidenza della variazione del Pil su quella dell’indice di Borsa Ftse Mib si è assestata a livelli di correlazione assai ridotti: meno del 39%. La dinamica dell’economia italiana sulla Borsa però non è mai indifferente. Anche perchè, se è vero che nel corso del 2013 il PIL è calato dell’1,9% e il Ftse Mib è cresciuto del 16,5%, tuttavia negli ultimi mesi la congiuntura è migliorata e le aspettative relative al governo Renzi sono salite. Un trend sicuramente sfruttato dal mercato azionario italiano il cui indice FTSE MIB è giunto a fine Maggio a 21792, come si vede dal grafico sottostante:

 
In generale il Pil incide sempre sulle dinamiche di Borsa ma mai come questa volta tale incidenza può essere stata alterata dagli interventi di politica monetaria ultra espansiva delle banche centrali. Negli Stati Uniti c’è da tempo buona corrispondenza tra l’andamento di Wall Street e l’incremento degli asset della Federal Reserve. Dal settembre 2012, quando Bernanke ha annunciato il terzo allentamento quantitativo, gli attivi sono passati da circa 2.800 miliardi agli attuali 4.200. L’ennesima valanga di liquidità, ha spinto l’S&P500 fino al massimo storico di 1.900 punti. In America, infatti, rileva molto più che altrove il cosiddetto effetto ricchezza: avere fatto salire i prezzi degli asset finanziari ha permesso alle famiglie» di sentirsi, più ricche. Gli stessi fondi pensione ne hanno beneficiato e l’effetto si è trasferito dall’economia di carta anche quella reale.

Quegli effetti si sono visti anche in Giappone dove il 4 aprile 2013, la Banca centrale ha annunciato una politica espansiva da circa 1.400 miliardi di dollari. Una cifra enorme che ha provocato nel 2013 il rialzo dell’indice Nikkey 225 di circa il 57%. Il prodotto interno lordo è cresciuto invece solo dell’1,6%. Ora, come in Italia, anche in Giappone i mercati attendono le riforme strutturali: maggiore flessibilità sul mercato del lavoro e norme sull’immigrazione. Però, nel primo trimestre 2014 il Pil del Giappone è salito dell’1,5%. Insomma, seppure le Borse anticipano la congiuntura, il dato del Prodotto interno lordo non pare così correlato al listino.

Guardando al passato dunque non si può pensare di usare le aspettative di ripresa per predire i corsi azionari, anzi. Gli esperti sottolineano che più che dalle riforme di Renzi e della Merkel, in Europa le Borse dipenderanno soprattutto dalle mosse di Mario Draghi. L’ipotesi di intervento monetario del 5 Giugno potrà aiutare a mantenere e casomai leggermente accrescere l’attuale sovraperformance delle Borse del Vecchio continente, ma difficilmente la amplificherà. Viceversa l’ennesimo rimando di azioni incisive da parte di BCE (presumibilmente suggerite dalla componente tedesca del Board della BCE) per finanziare la ripresa degli investimenti, potrebbe provocare un vero e proprio crollo delle quotazioni.

La Germania non ha ancora deciso esattamente cosa fare, riflette Alessandro Fugnoli di Kairos nel suo settimanale “Il Rosso e il Nero”. «Violerà in giugno un tabù di terza categoria, quello di far divenire negativa la remunerazione dei depositi bancari presso la BCE, ma prima di violare un tabù di seconda categoria, il Qe, vorrà stare a vedere gli effetti della prima violazione. Se non basterà ci sarà una Long Term Refinancing Operation in autunno. Se ci vorrà dell’altro allora verso fine anno avremo il Quantitative Easing». Per manovre straordinarie come i listini se le aspettano oggi, insomma, i tempi potrebbero anche essere lunghi, nella peggior tradizione europea, sebbene gli ultimi dati statistici indichino che nel primo trimestre di quest’anno la Germania sia entrata in deflazione.

D’altra parte tanto di qua come di là dell’Atlantico le vette cui sono giunti i listini azionari hanno dato luogo a numerosissime quotazioni in Borsa di azioni che hanno poi clamorosamente sotto-performato, come si può vedere dal grafico sotto riportato. E questo è più che un segnale. È  la tipica situazione da bolla speculativa!
 

                                       
3) UN OCCHIO ALLA GEO-POLITICA :       
                   
 A) “DOV’È IL RIGORE ?”

Il problema principale del nostro Paese è sempre più chiaro che risiede nella sua competitività, nella capacità di attrarre capitali e investimenti, nella sua capacità di rinnovarsi per tornare ad essere un luogo dove è proficuo svolgere attività di impresa. Ad oggi tuttavia, all’alba dei primi 100 giorni di governo Renzi, ancora non si sono visti interventi capaci di riqualificare il Paese.

 Cito al riguardo letteralmente Oscar Giannino:

“La spesa pubblica corrente (non quella totale) era a quota 412 miliardi di euro nel 1992, 548 nel 2001, 686 nel 2007, 757 nel 2013. Unico rigore è stato l’incremento della pressione fiscale. Non solo: nel documento di programmazione economica pubblica (il DEF) si diceva chiaramente che senza i tagli che ancora stiamo aspettando dal Cottarelli alla spesa pubblica, la spesa corrente salirà inevitabilmente a 811 miliardi di euro nel 2017 e le entrate (cioè le tasse) a 842 miliardi! Ma dei 32 miliardi di euro di tagli previsti dal Cottarelli nel 2014 ne sono stati decisi meno di 3, di cui 700 milioni a carico delle Regioni tutti ancora da definire. E i 15 miliardi di tagli alla spesa previsti nel 2015 sono già stati tutti impegnati, tra estensione strutturale del bonus di 80 euro, ampliamento ai pensionati/incapienti, finanziamenti ad ammortizzatori sociali eccetera. Quindi ad oggi non esiste nessuno spazio per sgravi ulteriori a imprese e lavoratori autonomi senza tagli aggiuntivi. Si possono capire le semplificazioni post voto e l’orrore della politica per i numeri concreti, ma negli anni alle nostre spalle lo Stato ha speso e dissipato, e l’unico rigore che ha praticato è stato quello per redditi e consumi dei contribuenti stremati per l’enorme aumento delle imposte, centrali e locali.”

La domanda è corretta: dov’è il rigore? La risposta potrebbe risultare maligna.
 

B) “L’ ASIMMETRIA DEMOCRATICA DELL’UCRAINA”

Probabilmente i “benpensanti” dei Paesi occidentali, nel valutare il conflitto etnico che si sta sviluppando in Ucraina, ragionano in modo “asimmetrico”!

Hanno imposto pesanti sanzioni economiche sulla Russia (che si manifesteranno presto sulla bolletta del gas e spingeranno sull’acceleratore dello shale gas americano) volte a ritirare le truppe schierate al confine est dell’Ucraina, là dove la popolazione che vuole distaccarsi dal governo di Kiev lo ha dimostrato con un referendum nel quale l’89% ha dichiarato di voler l’indipendenza per diventare, poi, di fatto, un Paese satellite della Russia. Ed era già successo in Crimea, memore parte dell’ex Ucraina.

Apparentemente da un punto di vista economico, a quelle popolazioni converrebbe agganciarsi alla Ue (come vorrebbe il governo di Kiev) e non alla Russia; ma evidentemente sono veramente troppi gli Ucraini dell’est e del nord che la pensano diversamente.  Tra l’altro la Russia ha da tempo ritirato le sue truppe dal confine con il solo risultato che l’esercito di Kiev oggi è libero di sparare alla gente, facendo vittime tra la popolazione filo-russa. Perciò i “benpensanti” dell’Occidente appoggiando il governo “ufficiale” applaudono a coloro che sparano sulla popolazione che manifesta.

Il principio dell’autodeterminazione dei popoli ha avuto valore quando si è trattato dei Balcani oppure quando le Hawaii hanno votato per diventare il 50° degli Stati Uniti d’America (pur essendo, geograficamente, un arcipelago della Polinesia). Per gli Ucraini dell’est, invece, i referendum sull’autodeterminazione sono illegittimi. I governi occidentali nell’appoggiare i neonazisti ucraini anti-russi hanno firmato un patto col diavolo. Oggi gli USA devono riuscire a destabilizzare l’intera regione, dai balcani fino all’Oriente, esercitando un’inutile pressione sulla regione ex-sovietica ottenendo soltanto di ricompattarla e di spingerla ad accordi come quello sul gas per la Cina !  Ciò che però non ha senso è che l’UE disinformi i suoi cittadini per assecondare pedissequamente un’annessione suggerita dagli USA.

È la seconda volta che l’arma dei referendum popolari fa comprendere al mondo che Putin è come minimo un intelligente monarca. È la seconda volta che al mondo appare la vera natura (violenta e pericolosa) di quella fazione neonazista che noi popoli della NATO stiamo sponsorizzando in Ucraina, apparentemente impegnata nella lotta per la libertà del proprio Paese.

In realtà è l’esatto opposto: il precedente presidente ucraino aveva ottenuto una schiacciante maggioranza elettorale (più che non Berlusconi alle ultime politiche) ed è stato ribaltato da un colpo di mano che ha imposto un leader sponsorizzato dall’UE (leggasi: dai Tedeschi) e dagli Americani.

In quel Paese però non è andata come in Italia, dove il bombardamento mediatico sulla diffamazione sistematica di Berlusconi è stato sufficiente a convincere l’elettorato che l’aver ottenuto in regolari elezioni popolari una maggioranza assoluta “non contava”. In tutto il mondo quando un leader politico ha vinto le elezioni, se non è socialmente pericoloso lo si lascia governare fino a fine mandato, oppure fino a quando questi ha una maggioranza in parlamento (la magistratura casomai interviene a fine legislatura). In Ucraina buona parte del popolo si è invece rivoltato contro le misure che reprimevano le “minoranze” etniche, invocando “protezione” dai russi. Questi ultimi si sono immediatamente attivati ma poi, stufi di essere accusati di “fare indebite pressioni” hanno ritirato le loro truppe dai confini e hanno dato al mondo occidentale una lezione di democrazia modello Svizzera, suggerendo i referendum popolari, il cui esito è noto a tutti.

Quello che non ha senso oggi è che la stampa continui a rovesciare la rappresentazione della realtà affermando che gli uni sono gli eroi della “liberazione” e gli altri sono schiavi dell’Orso sovietico, che gli uni lottano per l’autodeterminazione e gli altri sono asserviti al potere russo. I veri separatisti sono coloro che sono andati illegittimamente al governo (cioè senza che nessuno li abbia votati) e che di fronte alla sconfitta dei due referendum hanno inviato truppe nelle regioni “dissidenti” compiendo una sorta di strage etnica nei confronti di quella parte della popolazione ucraina che è di etnia russa! È come se lo Stato in Italia avesse inviato l’esercito in Alto Adige dopo aver varato misure restrittive sull’uso della lingua tedesca.

La teoria occidentale secondo la quale i due referendum popolari sarebbero nulli si basa proprio su questo: nessuno può decidere autonomamente la secessione dalla propria nazione. E saremmo anche d’accordo, ma quando la prospettiva volge alla guerra civile e vengono represse le etnie “non ortodosse”, allora chi può autorizzarla invece?

È difficile rispondere se le informazioni ci giungono decisamente distorte…
 


C) “LA QUESTIONE TEDESCA”   
 
               
Da più parti si solleva l’idea che la crisi dell’Europa derivi da una precisa volontà egemone della Germania, che vorrebbe dar seguito alla federalizzazione dell’Europa dopo averla ridotta in povertà e che sarebbe stata d’accordo nel farlo con gli USA.

A parziale prova di ciò potrebbe bastare il ricordo di quel che accadde nel 2010 in Grecia: Deutsche Bank, Bayeren Landesbank e Landesbank Baden-Württemberg rifiutarono di concedere prestiti alla Grecia e altre banche tedesche rifiutarono di acquistare titoli emessi dalla Postbank riuscendo in tal modo a costringere la Grecia ad accelerare la privatizzazione delle sue partecipazioni statali, valutate in almeno € 50 mld.

Una commissione fu mandata da Bruxelles ad Atene a stilare la lista delle aziende da mettere sul mercato: la prima fu la OPAP azienda che gestiva il monopolio del gioco d’azzardo, seconda la Hellenic Petroleum depositaria del monopolio della raffinazione. Il denaro ricavato fu investito per pagare gli interessi sul debito contratto con l’FMI, perciò il debito greco d’improvviso divenne appetibile e gli Hedge Fund statunitensi si aggiudicarono una parte del debito greco.  La Germania non stette a guardare e, oltre a ottenere un bel guadagno in conto capitale sui titoli pubblici costrinse la Grecia ad acquistare le sue armi. Senza scostarci troppo dal vero potremmo affermare che la Germania ha usato metodi simili con Slovenia, Polonia, Romania, Ungheria, Slovacchia.

L’austerity che ci è stata imposta negli ultimi anni dalla Germania potrebbe essere considerato un secondo elemento di valutazione, insieme con il deciso attacco ai welfare nazionali: difficile pensare nessuno sapesse che subito dopo l’effetto recessivo generato, i debiti pubblici dei Paesi più deboli sarebbero cresciuti invece di ridursi, così come è difficile pensare che Mario Monti, docente di economia alla Bocconi, non lo comprendesse.

Si pensi inoltre all’interessi di aprire l’Unione Europea a nuovi mercati dell’Est che creano forti aggravi ai bilanci di Bruxelles e danno benefìci principalmente ai Paesi dell’Europa continentale! Gira ad esempio voce che i principali movimenti politici ucraini siano sponsorizzati da CDU e CSU oltre ad un sostegno finanziario erogato al nuovo governo dell’Ucraina senza passare per l’Europa. Anche se in Europa c’e resistenza al centralismo interventista europeo, i paesi deboli dell’UE restano afflitti da proteste sociali, disoccupazione, crescita del debito, speculazione, corruzione e non hanno mezzi per arginare gli interessi della Germania.

Secondo i fautori del “complotto” tedesco-americano, gli stati che hanno aderito all’UE esclusa la Gran Bretagna, hanno di fatto accettato che i loro bilanci pubblici siano approvati dalla commissione Europea, a sua volta egemonizzata dalla Germania nel decidere dove e quando spendere. Altro adagio dei fautori del “complotto” riguarda la natura dell’Euro, che sarebbe stato sin dall’inizio a rischio di “rottura” dell’Unione monetaria, per poi essere destinato a una forte rivalutazione contro Dollaro, alimentando un progetto geo-politico servito prima ad attirare capitali in territorio tedesco e poi a indebolire i paesi concorrenti abbassandone la competitività.

Tuttavia di recente qualcosa è cambiato: sebbene la Merkel sia stata tra le più accese sostenitrici della “rivoluzione” ucraina, nonché determinata nell’invocare l’applicazione di sanzioni alla Russia, ha subito cambiato atteggiamento quando le è stato notare che danneggiare l’economia per compiacere Washington è diverso dal fare la voce grossa per fare bella figura ai summit. Obama perciò a causa della Germania ha detto qualche giorno fa ai cadetti di West Point : “non siamo riusciti a isolare la Russia”. Mosca ha ringraziato la Germania facendo sapere che le forniture di gas all’Europa non subiranno alcuna variazione. Dev’essere per questo che il commissario europeo per l’energia Guenther Oettinger ha dichiarato per la seconda volta in due settimane che “la Commissione Europea non intende imporre restrizioni agli investimenti russi nel settore energetico europeo”.

Cosa succederà nei prossimi mesi? Se la Germania continuerà con un’agenda mercantile filo-russa, allora inevitabilmente gli USA stringeranno la morsa.  E alleati storici come l’Italia torneranno di colpo ad essere importanti?
                             

4) INFORMALIA :

“L’INGEGNERE, IL COMMERCIALISTA E L’ECONOMISTA…”

Un ingegnere, un commercialista ed un economista concorrono per lo stesso lavoro.

L’intervistatore chiama l’ingegnere e chiede: “Quanto fa due più due?” questi risponde “quattro”. L’intervistatore chiede “Quattro, esattamente?”. L’ingegnere guarda l’intervistatore incredulo: “Si, quattro, esattamente”.

Successivamente l’intervistatore chiama il commercialista e gli fa la stessa domanda: “Quanto fa due più due?”. Il commercialista risponde: “In media, quattro. Prima delle tasse però”. 

Infine l’intervistatore chiama l’economista e gli pone la stessa domanda: “Quanto fa due più due?”. L’economista si alza, chiude la porta a chiave, abbassa le tapparelle, siede accanto all’intervistatore e chiede a bassa voce: “Dipende. Ma lei quanto vuole che faccia?”.

 
Stefano L. di Tommaso