Febbraio 2015
MA LA RIPRESA, SI VEDE?
SOMMARIO:
1) IN SINTESI: Ma la ripresa, si vede?
2) MERCATI FINANZIARI:
a) In bilico tra Timori e Prospettive
b) Il Quantitative Easing non può risolvere tutti i problemi
3) FUNDAMENTALS E DINTORNI: Guerra delle Valute
4) APPROFONDIMENTI: Contraddizioni e Polarizzazioni
5) INFORMALIA: (Senza Parole)
1) IN SINTESI
Ma la ripresa, si vede?
Il Centro Studi di Confindustria rivede all’insù le previsioni sull’andamento del PIL italiano nel 2015, arrivando a stimare una crescita del 2% e la disoccupazione che non scende ma si stabilizza. Non migliora invece la competitività delle aziende italiane né le riforme introdotte da questo governo sembra ne abbiano un merito.
È solo un rimbalzo tecnico, causato da fattori esogeni e destinato a durare al massimo un paio d’anni, al termine dei quali tutto potrebbe tornare peggio di prima.
Expo 2015, euro debole, stimoli monetari, petrolio, gas e materie prime e traino dell’economia americana, tassi di interesse ai minimi, la crescita attesa nel commercio internazionale insieme a qualche investimento strategico che i capitali stranieri potranno effettuare nel nostro Paese sono i fattori che ne costituiranno principalmente la ricetta. In pratica una congiuntura favorevole e niente più.
L’Italia non sembra invece imboccare la strada delle riforme che contano davvero, quelle della flessibilità del mercato del lavoro e della pubblica amministrazione, gli incentivi e la meritocrazia nell’erogazione dei contributi alla ricerca scientifica e tecnologica, il marketing territoriale per incentivare l’insediamento e il rafforzamento di siti per la produzione industriale, lo sfoltimento degli oneri e cavilli burocratici.
Di tutto questo non sembra di poter riscontrare traccia nei pur numerosi interventi di questo governo, mentre non si intravede neppure l’auspicato calo della pressione fiscale che porterebbe con sé anche un aumento dell’occupazione e del reddito disponibile. Anzi: la spesa pubblica per il prossimo triennio è prevista in aumento e di solito ciò vuol dire che è probabile che la tassazione cresca ancora di più, tanto per la mancata volontà di effettuare tagli significativi agli sprechi di Stato quanto per gli effetti perversi sul gettito fiscale della riduzione dei salari medi netti degl’Italiani.
La ripresa insomma noi cittadini qualunque rischiamo di pagarla cara in termini di reddito, welfare e occupazione, di vederla vagamente soltanto nelle regioni settentrionali del nostro Paese (le più industrializzate) e di averne percezione soltanto sulle statistiche (di Trilussiana memoria)…
(In dettaglio)
2a) MERCATI FINANZIARI
In bilico tra timori e prospettive
Per tutto lo scorso anno abbiamo visto stagnare le principali economie del mondo, mentre com’è noto i mercati finanziari sono andati benissimo, lasciando crescere una pericolosa divaricazione tra economia reale ed economia “di carta” che ha alimentato due bolle speculative che oggi rischiano di esplodere come è accaduto nel 2008: quella della sopravvalutazione delle valutazioni aziendali implicite nei corsi espressi dalle borse e quella dell’eccessivo ribasso dei tassi d’interesse che ha portato troppo in alto il valore dei derivati e quello dei corsi obbligazionari.
Questa divaricazione preoccupa economisti, investitori e gestori del risparmio sino a far presagire loro un intervento delle stesse autorità monetarie affinché essa non crei nuovi terremoti sui mercati quando dovesse ridimensionarsi.
Tuttavia non è semplice sgonfiare i mercati evitando di vanificare buona parte degli sforzi fatti per sostenere la capitalizzazione del sistema bancario occidentale e turbare profondamente gli attuali delicati equilibri raggiunti.
Nessuno lo vuole davvero, insomma, tuttavia restano vive le preoccupazioni e si teme che la situazione possa nutrire gli appetiti di qualche “animal spirit” della speculazione internazionale,che volesse provare a cavalcare il ribasso delle borse e la fragilità dei mercati dei titoli pubblici con la quasi-compiacenza delle banche centrali, così come è già successo sul mercato petrolifero con la benedizione del principale Paese produttore di greggio.
Nel prosieguo del 2015 perciò il lungo idillio creatosi tra mercati finanziari e banchieri centrali rischia seriamente di infrangersi, a causa di possibili shock esogeni che troverebbero un sostrato di timori e diffidenze degli investitori, soprattutto quelli di lungo termine come i fondi pensione ed assicurativi, da tempo in imbarazzo a continuare a scommettere sugli attuali livelli dei corsi. Come si vedrà poco oltre, tali scossoni non sono tuttavia così probabili bensì solamente possibili, anche perché numerosi fenomeni temuti potrebbero non arrivare affatto (il rialzo dei tassi americani, la risalita dei corsi del petrolio, l’arresto della crescita economica internazionale, il default di stato di alcuni Paesi deboli, eccetera).
Comunque vadano le cose tuttavia, per una molteplicità di fattori il 2015, almeno per la sua prima parte, sarà probabilmente ricordato come l’anno degli investimenti in Dollari.
Fuori degli Stati Uniti d’America infatti si aggirano infatti conflitti bellici e instabilità politica, deflazione, il timore del crollo delle materie prime e infine la guerra tra le valute, prime fra tutte quelle che sono deliberatamente spinte al ribasso dalle banche centrali degli stessi Paesi emittenti, per aumentarne la competitività all’export.
Tutto questo potrebbe non favorire forse la crescita economica mondiale ma per l’intanto pone sotto una surreale luce dorata il giardino dell’eden dei mercati a stelle e strisce, relativamente immuni da molti dei problemi che affliggono il resto del globo. Ottima ragione per comprare biglietti verdi ma anche e soprattutto titoli del tesoro americano, che offrono rendimenti decenti o quantomeno “non negativi” e sono troppo liquidi per subire importanti e repentini shock di prezzo.
Anche i timori di un rialzo dei tassi da parte della Federal Reserve sono per ora tacitati dalla discesa dei prezzi di gas, petrolio e altre commodities. Un ribasso che rischia di non esaurirsi in un giorno e che determina quindi uno stabile effetto deflattivo. In questo scenario non v’è perciò al momento il rischio di inflazione e dunque nemmeno quello del pronosticato rialzo dei tassi americani, almeno sintantoché il Dollaro resterà forte.
Se si immunizzano gli effetti opposti della progressiva svalutazione della divisa in cui sono espressi, sono forse i titoli azionari giapponesi quelli che potrebbero comportarsi meglio, dal momento che gli stimoli all’economia e gli investimenti infrastrutturali di Shinzo Abe daranno finalmente qualche effetto, insieme a ciò che egli ha promesso in campagna elettorale: una progressiva diminuzione delle tasse aziendali per i successivi due anni. Ciò dovrebbe accadere in Giappone con una certa probabilità anche perché di pari passo lo Yen è volutamente tenuto debole, per favorire le esportazioni e monetizzare sempre più il debito pubblico.
A causa dei contrasti nord-sud dell’Europa e nonostante il Q.E. di Draghi abbia riscosso applausi a scena aperta, l’economia nel nostro continente non andrà invece molto meglio degli scorsi due anni, sebbene ci sia almeno un comparto -quello delle banche- che dovrebbe decisamente beneficiare dell’incremento di liquidità e degli acquisti di titoli da parte della B.C.E.
Sul fronte opposto sono candidati a ulteriori ribassi i titoli e i corsi delle principali materie prime industriali, quelli dei Paesi Emergenti che ne esportano la maggior quantità, e i titoli obbligazionari con più basso Rating, a causa del prevedibile ritorno degli investitori a preferire nel 2015 lidi più sicuri, in ragione del fatto che l’economia globale è indubbiamente più farcita di debiti che non nel passato, senza contare il citato sentimento di diffuso di timore di nuovi shock finanziari, che potrebbe riprodurre gli effetti del recente disastro del 2008.
Nonostante ciò sia relativamente improbabile il solo fatto che ne esista il pericolo spinge gli investitori a cercare di rifuggire dai rischi e ad effettuare manovre conservative, auto-realizzando in parte le loro stesse aspettative.
Questo stesso motivo, oltre a quelli strettamente geo-politici, fa pensare che le quotazioni dell’oro e di altri beni-rifugio potrebbero non si fermarsi ai livelli attuali, quantomeno per il fatto che esse sono computate contro Dollaro (che salirà ancora). Il combinato disposto di timori e prospettive potrebbe farne intorno alla fine dell’anno la vera protagonista tra le “asset class” d’elezione dei “Money Managers”, soprattutto se dovesse materializzarsi un’ulteriore caduta di fiducia verso i mercati finanziari periferici.
2b) MERCATI FINANZIARI
Il Quantitative Easing non può risolvere tutti i problemi
Molti commentatori l’hanno scritto che il Quantitative Easing non risolverà un bel niente dei problemi che abbiamo in Europa e concludono dicendo che sarà solo un grosso regalo alla rendita finanziaria.
Esistono inoltre problemi tecnici che fanno sì che la manovra possa risultare più o meno efficace, tra i quali la contestualità di altri stimoli allo sviluppo economico.
Certo negli Stati Uniti d’America la stessa operazione ha effettivamente portato dei frutti, ma ricordiamoci che è arrivata sollecitamente, è durata un quadriennio e la cura monetaria è stata somministrata in dosi da cavallo!
Perciò ai detrattori che vedono numerose fregature insite in questa manovra rispondo che nelle loro obiezioni c’è un fondo di verità ma anche che esse non sono tutta la verità.
Per spiegarlo occorre raccontare i fatti: dopo la crisi del 2008 la liquidità disponibile nell’Euro-Zona si è palesemente ridotta creando problemi oggettivi all’economia reale. La gente ha iniziato a guadagnare meno e a perdere soldi in conto capitale perché gli immobili sono scesi di valore e gli investimenti si sono bloccati. L’economia reale è perciò scivolata in recessione, più o meno forte in funzione della solidità di ciascun Paese, del fatto che lo Stato le tasse le ha richieste ugualmente (anzi: in misura crescente) e soprattutto in funzione della capacità di diversificare le vendite su mercati di sbocco extra-continentali che hanno avuto meno problemi. L’Italia per questi motivi si è presa la peggiore delle recessioni e il più alto effetto di disoccupazione indotto, cosa che a sua volta ha depresso i consumi interni.
La rigidità dei fattori produttivi di fronte alla crisi dei redditi ha inoltre provocato una fuga generalizzata dei capitali dal nostro Paese che ha accentuato la caduta degli investimenti e del gettito fiscale.
Da quel momento le banche hanno subìto un doppio effetto: da un lato hanno perduto ingenti somme in conto capitale per insolvenze sui crediti e dall’altro hanno ampliato i loro redditi e azzerato la concorrenza tra loro a causa degli interventi di finanziamento a tasso agevolato promossi dalla B.C.E. che le ha sostenute in vari modi facendo fare loro facili profitti sui titoli pubblici acquistati.
Sebbene tutto ciò dovesse necessariamente accadere, a quel punto si è creato un divario: da una parte l’economia reale ha continuato a soffrire e dall’altra si è creata un’enorme bolla di liquidità sui mercati finanziari che non si è riversata sulla prima perché i criteri per prestare denaro bancario si sono per forza decisamente ristretti.
Le banche centrali insomma nell’immettere liquidità hanno per necessità favorito le banche) e gli altri intermediari finanziari (gestione del risparmio, parabancario, investment banking, private equity, ecc…) ma non hanno neppure lavorato alla soluzione della necessità di lubrificare anche l’industria ed il commercio. Non hanno potuto/voluto alimentare gli investimenti infrastrutturali e non hanno potuto alimentare direttamente le casse degli Stati sovrani che hanno continuato ad accrescere il loro debito in virtù dei costi della classe politica stessa e della base di consenso di quest’ultima: il welfare che era più sostenibile come forma di perequazione nei confronti delle classi più deboli quando i bilanci pubblici erano più sani. L’uso indiscriminato delle sovvenzioni e il mancato ridimensionamento della spesa pubblica (che ha poggiato su una tassazione crescente) ha invece spiazzato sempre più l’economia reale e con essa le basi reali del benessere di buona parte del sistema economico occidentale.
Un problema che nessuna manovra monetaria può risolvere !
Possiamo affermare dunque che il trasferimento di liquidità al sistema delle banche non si trasmette facilmente all’economia reale ma resta pur sempre una misura necessaria per vari scopi: a) contrastare la radice del problema che si è scatenato nel 2008 (distruzione di massa monetaria e crisi di fiducia), b) consentire ai soggetti “migliori” di trovare più risorse finanziarie, c) aiutare a “monetizzare” il debito pubblico, riducendone i rendimenti e annacquandone il valore finale, cosa quantomai necessaria quando l’alternativa a ciò consiste nella bancarotta di Stato.
MORALE: è vero che la riduzione dei rendimenti finanziari comporta un impoverimento delle rendite e delle pensioni private, ma è anche vero che la recessione economica non possono vincerla le sole banche centrali. Come dimostrano numerosi studi infatti la ripresa arriva davvero solo quando la gente riprende fiducia sulle sorti dell’economia, mobilita e investe capitali e li fa tornare in patria, occupando più persone e, alla lunga, paga più redditi da lavoro e un maggior gettito fiscale (che viene anche redistribuito ai cittadini più poveri).
Questa fiducia nel futuro non potranno mai crearla da sole le banche centrali, sebbene possano fare cose che vi contribuiscono, come è già successo in America.
Per certo peró notiamo due o tre aspetti irrinunciabili della crisi e delle cure che ne conseguono:
1) Dopo la crisi nulla è come prima: qualcuno vince e altri perdono, qualche azienda sopravvive e altre chiudono o cambiano radicalmente;
2) senza un incremento della base monetaria in circolazione le cose sono sempre più difficili;
3) se gli Stati nazionali vanno in bancarotta si interrompe la redistribuzione di ricchezza da essi praticata e arrivano le grandi depressioni, più difficili da contrastare;
3) se parallelamente alle iniziative delle banche centrali il sistema politico e quello industriale non si adattano e non si elasticizzano agli alti e bassi dell’economia, la ripresa anche se arriva resta lentissima e insufficiente a vincere la crisi di sfiducia che genera fuga dei capitali e discesa dei prezzi (altrimenti detta deflazione).
3) FUNDAMENTALS & DINTORNI
Guerra delle Valute
Poco prima del grande meeting di Davos, il World Economic Forum, abbiamo assistito all’ultimo di una serie di colpi di scena -l’improvvisa rivalutazione del Franco da parte della Banca Nazionale Svizzera- che non è che la continuazione della più grande kermesse degli anni post-crisi 2008: la guerra delle valute, governata dai più autentici protagonisti della storia economica recente: i banchieri centrali.
Innanzitutto bisogna dire di costoro che si tratta in genere di ottimi intellettuali, persone straordinarie che, apparentemente svincolate dai tranelli e dalle logiche di breve periodo della politica, appaiono ai nostri occhi infinitamente migliori dei vari Obama, Cameron, Merkel, Renzi, Abe, eccetera.
Sicuramente essi giocano una partita a lungo termine molto più sofisticata di quella dei loro colleghi politici, molto più concettuale e scientifica, sebbene non sarei poi così sicuro della loro totale indipendenza dalle grandi lobby di potere internazionale!
Dall’anno in cui si è scatenata la crisi delle cartolarizzazioni dei mutui “sub-prime” ed è partita la Grande Crisi del XXI secolo in cui noi italiani stiamo ancora vivendo, i banchieri centrali sono divenuti i veri protagonisti della scena internazionale, surclassando dittatori, capi di stato, veline e calciatori, il papa stesso e molti altri tra i protagonisti del moderno mondo occidentale.
Lo hanno fatto da veri VIP, dicendo talvolta solo una mezza parola, accennando sommessamente ad un’intenzione, concertando tra loro un teorema esoterico oppure un veto, sempre con molta discrezione. Cosa che ha ulteriormente innalzato il loro prestigio. Persino il Fondo Monetario internazionale è stato messo in ombra dall’attesa per le loro decisioni!
Sino a qualche giorno fa e per un intero lustro gli operatori del mercato finanziario hanno riconosciuto loro grande credibilità! Poi con la manovra improvvisa della banca centrale svizzera qualcosa è cambiato.
Gli osservatori hanno notato anomalie e tempismo assai sospetti, senza risposte precise al riguardo.
Se volessimo restare ai fatti: la SNB con questa manovra -non nel suo solito stile- ha spiazzato tutti, forse nel timore di qualche evento eccezionale o anche solo prevedendo un Q.E. in grande stile, che in effetti ha avuto successo ma ha depresso ulteriormente il corso dell’Euro. Oppure (non troppo diversamente da quanto sopra) la SNB non crede più nella solidità della divisa comunitaria e se ne è voluta svincolare.
Lo SF nel rimanere a cambi fissi con l’Euro stava infatti parallelamente scendendo nei confronti di Dollaro e Oro, minando con questo la sua capacità di fornire al resto del mondo la certezza di essere una moneta-rifugio. Questo dicono i fatti.
Ma c’è anche chi afferma l’opposto: la Svizzera sta programmando il suo ingresso in Unione Europea in ossequio alle grandi lobby d’affari che prima vogliono vedere le PMI elvetiche arrivare a quel fatidico giorno in difficoltà, a causa della rivalutazione del Franco, per poi avere un ottimo argomento al prossimo referendum popolare e far votare alla popolazione l’ <<annessione>> all’U.E. Teoria estrema, ovviamente.
Certo è che quell’episodio ha rischiato di insospettire analisti e investitori circa quel che “bolle in pentola”!
E potrebbe appannare la figura eroica che i media hanno costruito intorno al moderno banchiere centrale.
Guardando la cosa da una diversa angolazione potremmo invece sostenere che le banche centrali sono divenute oramai così potenti da ignorare le conseguenze (talvolta drammatiche) delle loro iniziative.
Il punto è peraltro che la saga della guerra delle valute sembra ben lungi dall’essere terminata, dal momento che il Dollaro non potrà lasciarsi rivalutare all’infinito e l’Euro potrebbe anche non tenere botta ai colpi che gli arriveranno dai guai di Grecia e Italia. Non solo, ma il Giappone ha tutta l’intenzione di insistere nel monetizzare buona parte del suo debito e può farlo perché esso è detenuto principalmente al suo interno, mentre la Cina si è stufata di lasciare che il Renminbi rimanga vassallo degli USA e vorrebbe anch’essa praticare una nuova espansione monetaria, dal momento che l’immissione di moneta alimenterebbe il sistema bancario ufficiale a discapito di quello “ombra” (che da quelle parti si è sviluppato troppo)!
Anche le montagne russe delle quotazioni del petrolio hanno contribuito a rendere estremamente sdrucciolevole il terreno per gli investitori che oggi non a caso privilegiano le monete-rifugio. Sono in molti ad affermare che già a fine anno l’oro nero potrebbe recuperare il valore considerato “di equilibrio” di $80 al barile. Se però tutti questi non sono che dei segnali di una nuova stagnazione globale allora ne vedremo delle belle, dal momento che altre espansioni monetarie saranno ancora necessarie e nuovi scivoloni dei corsi di cambio tra i Paesi che si alternano nell’esercizio si succederanno.
Ma perché? Perché le banche centrali non si coordinano tra loro? Cosa determina una più o meno lunga saga di svalutazioni “competitive” tra i Paesi principali? Quasi certamente una risposta plausibile è lo sfasamento temporale tra i cicli economici, unito alla sottostante esigenza di monetizzare progressivamente i singoli debiti pubblici, avendone ridotto quasi a zero i tassi d’interesse e poi progressivamente annacquandone il valore, meglio se nel frattempo attraverso l’immissione di liquidità anche i consumi vengono rilanciati, come è successo negli U.S.A.
Cosa importa se la rincorsa della crescita e la mancata pianificazione internazionale dell’economia può alimentare gli squilibri con i Paesi emergenti, l’emissione di gas-serra, il prosciugamento delle risorse energetiche e alimentari? Temo di non avere risposte valide ma è possibile affermare che l’attuale corso della storia dipenda fortemente dall’eccesso di debiti che i principali governi hanno contratto negli ultimi decenni, i quali vanno smaltiti in qualche modo per evitare che trascinino il mondo sviluppato in nuova depressione.
Sotto una diversa luce si potrebbe invece immaginare una spiegazione di questi fatti impostata come il seguito della “teoria del complotto”: poche importantissime èlites nel mondo orientano gli eventi per guadagnare cifre clamorose alla roulette dei cambi e delle borse valori, magari un istante prima di una nuovo grande conflitto mondiale.
Speriamo che non sia così, certo è che da questo momento in avanti rivedrei le strategie di investimento puntando (con parsimonia) a favore dei titoli azionari delle grandi banche internazionali: con i prossimi eventi infatti queste ultime o saltano o raddoppiano!
4) APPROFONDIMENTI:
Contraddizioni e polarizzazioni emergono dall’ultimo bollettino del F.M.I.
Il mondo moderno sta evolvendo silenziosamente e in modo subdolo verso pesanti contraddizioni e lascia spazio a una sempre maggiore polarizzazione degli eventi:
– il crescente divario fra ricchezza e povertà (prova ne è l’importante studio di Piketty: “Capital au XXIme siècle”),
– lo scontro lacerante e sanguinario tra sistemi politici ideologico-religiosi e sistemi capitalistici,
– la guerra fredda ripresa di recente tra Occidente e Russia (e forse presto anche tra Occidente e Cina, Occidente e India),
– le borse valori con quotazioni sempre più stellari, alimentate da nuova moneta immessa dai banchieri centrali ma disancorate dall’economia reale. Esse scontano oramai soprattutto gli utili futuri delle grandi corporations multinazionali, delle banche internazionali e delle mega-utilities che lavorano per costituire stabili rendite di posizione,
– i tassi di interesse nominali oramai sotto zero ma con spread crescenti per i finanziamenti di nuova erogazione, per cui i tassi di interesse reali invece crescono oltre ogni limite perché crescono le aspettative di rischio del credito e quelle di ulteriore deflazione mietono nuove vittime, riflettendo la scarsità di attese degli investitori odierni nei confronti del futuro a livello globale.
Al tempo stesso la monetizzazione in atto dei debiti pubblici occidentali (ivi compreso quello giapponese) è solo appena iniziata e continuerà a disturbare a lungo l’oceano valutario agitandone i cambi e spostando interessi e investimenti verso i Paesi ricchi, oggi preferiti da tutti coloro che hanno accumulato grandi ricchezze: cioè lontano dai BRICS e dal terzo mondo!
È questo il quadro sconfortante che sembra emergere dietro la filigrana della diplomazia dall’ultimo bollettino del Fondo Monetario Internazionale, lasciando intendere piuttosto chiaramente che tali contrasti non potranno che frenare la crescita economica globale e, con essa, la speranza dei Paesi più poveri di riscatto dalla fame e dalle malattie.
D’altra parte l’evoluzione del mondo occidentale necessita l’individuazione di un nuovo punto di equilibrio, dopo che quello precedente é stato perduto con il confronto acceso tra gli integralismi religiosi e la crescente “laicità” (o corruzione) di chi vi si oppone, dopo lo shock dell’ultima crisi economica e finanziaria e con l’avvio dei numerosissimi focolai di scontri armati tanto in Asia quanto nel Mediterraneo, sù verso nord fino quasi alla Russia stessa, dopo la germanizzazione dell’Unione Europea nutrita al fuoco del crescente distacco britannico e del penoso doppiogiochismo francese, alimentata dall’oggettiva constatazione che i governi dell’Europa periferica sono stati (o sono tutt’ora) corrotti o inconcludenti.
Un nuovo punto di equilibrio non è ancora ad oggi dato di scorgerlo all’orizzonte, però. E c’è chi si chiede quanto lontano sia. Sarà un punto di equilibrio globale o un insieme instabile di punti di equilibrio tra interessi parziali e locali? La differenza potrebbe risultare assai ampia.
È in questo crepuscolo degli dei, forse all’alba di un nuovo mondo dominato da economie titaniche e sconvolgimenti finanziari, che l’Olimpo greco ha partorito il topolino Syriza, sinistra estrema ma contraddittoria, forse alleata con la destra anti-europea e rappresentata da posizioni decisamente non allineate con l’Europa, anzi: filo-russe. Un vero concentrato di esplosivo (seppur di limitata quantità) in seno al più vetusto tra i club dei potenti: quello continentale.
Difficile dire perciò come può evolvere la situazione generale, quanto gravi potranno risultare i conflitti di interesse che nascono dalle contraddizioni e dalle disparità nel mondo.
Certo è impossibile abbassare la guardia, lasciare che gli eventi travolgano i governi e limitarsi a restare fideisticamente in attesa della Divina Provvidenza.
Aiutati che Dio ti aiuta, si diceva una volta. E sembra scritto apposta per l’Italia post-moderna, sempre più lacerata a sua volta da contraddizioni e disparità tra settentrione e meridione, tra welfare smisurato e disavanzo pubblico, tra giovani e adulti-anziani, tra occupati e non-occupati (circa un terzo contro i due terzi del totale), tra italiani cosmopoliti e ignoranti provincialissimi, tra cittadini politicizzati (circa la metà della popolazione attiva) e veri sudditi di una Casta politica sempre più vorace.
Forse l’Italia ce la farà anche stavolta in extremis, forse ce la faranno soltanto i cittadini che possono permettersi di lavorare e guadagnare anche oltre confine. Forse le piazze si accenderanno e i forconi riprenderanno ad agitarsi. Una cosa è però certa: con un tale cupo orizzonte difficilmente riusciremo a goderci e a profittare dell’imminente ripresa economica, del ritorno degli investimenti stranieri. Difficile che essa si trasformerà in incremento dell’occupazione, moralizzazione della pubblica amministrazione, ammodernamento delle risorse turistiche e innalzamento del reddito disponibile.
Cinque anni dopo la grande crisi del 2008 il mare costiero italiano insomma è ancora agitato, non solo per i problemi interni ma anche perché è agitato anche il bacino del Mediterraneo, perché sono anche gli Oceani dei quattro continenti ad essere a loro volta agitati.
Il mondo intero sta uscendo dalla crisi ma resta in subbuglio, evidentemente alla ricerca di nuovi equilibri.
Chissà se tutto ciò potrà alla fine produrre una crescita morale e culturale della nostra lacerata società civile, e verrà archiviato come uno scomodo periodo di transizione. O se invece prima di rivedere la luce della civiltà dovremo attraversare nuove barbarie, nuove violenze, nuove povertà (come già è avvenuto nel secolo scorso alla fine della “belle èpoque”)?
Certo né l’economia né la finanza internazionale sono mai state autonome dalla Storia. Esse non possono prescindere dalle sorti complessive dell’umanità, nemmeno quando vanno molto bene. Figuriamoci quando arrancano!
5) TRA SERIO E FACETO:
Con simpatia e fiducia
Stefano L. di Tommaso