La rivincita dell’occidente

SOMMARIO:

  1. IN SINTESI: I Temi del Mese
  2. MERCATI FINANZIARI: Le Ragioni di una Nuova Stagione di Q.E.
  3. ECONOMIA REALE: La Fragile Ripresa dell’Economia Italiana
  4. AUTOMOTIVE & DINTORNI:
    • Le Conseguenze dello Scandalo VW per l’Industria Europea
    • Apple e Google nel Mercato dell’Auto
  5. APPROFONDIMENTI: Cautela e Ripresa Potrebbero Scongiurare un Nuovo Autunno Caldo

1. IN SINTESI

I Temi del Mese

L’economia italiana ha iniziato a correre, non quanto quella spagnola che concludera’ l’anno al ritmo di un fantastico +3% e oltre, ma comunque piu’ di quanto gli osservatori internazionali avrebbero mai detto, con stime interne che rivedono la crescita annua a quasi un +1%. Il resto d’Europa cresce anch’esso, anzi piu’ del nostro Paese.

Le ragioni della riscossa sono molte e abbastanza convincenti. Ma restano dubbi di fondo sul risanamento dei nostri conti pubblici, che impediscono di passare senza riserve sul fronte degli ottimisti.
Il resto del mondo invece, America e Inghilterra escluse, deve fronteggiare non pochi problemi, primo fra tutti il crollo generalizzato dei prezzi delle risorse naturali, per non parlare della fuga dei capitali verso un Dollaro sempre piu’ egemone.

Le borse negli ultimi mesi non hanno brillato, come peraltro ampiamente previsto gia’ dall’inizio dell’estate, ma soprattutto oggi sono in bilico tra prospettive deludenti della crescita economica globale e il desiderio degli investitori di restare alla larga da titoli obbligazionari oramai privi di reddito. I timori di un ulteriore tonfo sono diffusi, in parte giustamente alimentati da una sempre crescente volatilita’ dei corsi, ma le cose potrebbero andare molto diversamente se dovesse intervenire una nuova stagione di facilitazioni monetarie.

L’America spadroneggia e inquieta il resto del mondo non soltanto per la forza del Dollaro, ma anche a causa della crescente dominanza tecnologica delle imprese a stelle e strisce che, insieme a quelle del vecchio continente, sono le uniche che possono seriamente beneficiare del ritorno alla crescita dei consumi.

Se ne puo’ dedurre una probabile tendenza del Dollaro ad apprezzarsi nel prossimo mese, un andamento piatto dei rendimenti e una giostra sempre agitata delle Borse, su una linea di fondo che potrebbe calare ma non sprofondare, anzi: nell’ambito dello scontato saliscendi in programma per questa stagione potremmo anche annoverare degli ottimi rialzi!

2. MERCATI FINANZIARI

Le Ragioni per una Nuova Stagione di Quantitative Easing

Per discutere su dove andra’ il mondo nel prossimo trimestre non c’e’ forse niente di meglio che leggere qualche statistica. L’Ocse per esempio, nella sua “Valutazione Intermedia” – il rapporto di aggiornamento tra i due Outlook semestrali – resta prudente sulla crescita dell’Italia (+0,7% contro il +0,9% indicato dal Governo) ma solleva perplessita’ sul quadro internazionale. Le prospettive di crescita globale «si sono indebolite negli ultimi mesi», e in particolare sono peggiorate ulteriormente per molte economie emergenti», aggiungendo che «è atteso un rafforzamento della crescita nel 2016, ma con forti dubbi sul potenziale». Per il 2015 l’OCSE prevede ancora una forte crescita globale (al 3% , cioe’ solo 0,1% in meno rispetto alle stime di maggio) ma in un quadro piu’ controverso. Come dire che per il 2016 le carte sono ancora tutte da giocare.

Proseguendo nella lettura del rapporto, la ripresa Usa si rafforza, con un Pil previsto a +2,4% nel 2015 cioe’ +0,4 punti da giugno (ed e’ probabilmente sottostimata). Identica la prospettiva OCSE per la crescita del Pil nel Regno Unito. La crescita dell’area euro migliora, «ma meno di quanto atteso» ed è stimata a +1,6% nel 2015 (+0,1% rispetto alle previsioni di giugno), principalmente a causa del fatto che la moneta unica europea non si e’ svalutata come ci si attendeva.
L’andamento del Giappone è «erratico». La dinamica in Cina è «difficile da valutare», ma la crescita viene comunque rivista al ribasso (+6,7% quest’anno, -0,1 punti rispetto alle precedenti previsioni, ma sempre che i dati statistici forniti dalla Cina siano corretti, altrimenti sara’ molto inferiore!). Rivista al ribasso anche la stima per l’India, che resta pero’ la prima della classe con +7,2% quest’anno. Anno da dimenticare per gli altri BRIC: Brasile (-2,8% nel 2015) e Russia sono «in profonda recessione».

Il 2015 segnerà inoltre il quinto anno consecutivo di rallentamento del ritmo globale di crescita. La conclusione dell’OCSE e’ che il rischio maggiore (leggasi: quasi una certezza) è un rallentamento maggiore del previsto della Cina che, se associato a turbolenze sui mercati finanziari (che invece e’ gia’ in atto)potrebbe avere gravi ripercussioni sull’economia globale: un modo diplomatico per dire che le previsioni per il 2016 sono tutte a rischio. Nessun accenno alla deflazione globale, e appena una sfumatura sulle sorti dei molti Paesi Emergenti che vedranno decisamente ridotti i propri introiti derivanti dalla vendita di risorse naturali.

Uno studio dell’Economist di questa settimana delinea la difficile posizione degli USA, sempre piu’ egemoni nell’economia e nella tecnologia, anche militare, ma sempre meno importanti per effetto di una crescita demografica che ne riduce il peso a favore di Cina e India. La tentazione e’ forte per gli stati egemoni (America, Cina, Giappone, Germania e Russia) di manovrare al fine di restare anche nei prossimi anni nelle proprie posizioni mentre il loro peso a livello demografico non potra’ che continuare a scendere, eccezion fatta per la Cina.

L’OCSE lancia in proposito un monito interessante: un rialzo dei tassi di interesse non potra’ che gettare ulteriore scompiglio nei mercati finanziari, sottintendendo che le “gravi ripercussioni” di cui sopra saranno soprattutto provocate da chi lo fara’ per primo (la Federal Reserve of America).
Il monito fa il paio con la sensazione diffusa tra gli operatori finanziari circa il fatto che, con le stagnanti prospettive globali, i mercati non potranno che infilare nuovi consistenti perdite, sino a quando non si saranno riallineati alle aspettative di rendimento dei fondi pensione.

Ma inizia a diffondersi il pensiero che esiste un’alternativa a questo scenario: il dispiegarsi di nuova liquidita’ proveniente da prossimi Quantitative Easing (o dal rafforzamento di quelli gia’ in corso, Banca Centrale Europea in testa) quale ponte ideale tra lo stallo economico del terzo mondo (che minaccia seriamente la crescita globale) e la ripresa non inflattiva dell’Occidente.

Esso deriva dall’ipotesi di un concerto delle banche centrali che ruota attorno ad un semplice assunto: se e’ troppo pericoloso per gli equilibri globali tirare su i tassi in America, perche’ allora non abbassarli nel resto del mondo rimpiazzando -con la stampa di nuova cartamoneta- i capitali che ne sono fuggiti ? Magari fornendo un aiutino monetario alla fragilita’ di troppe economie emergenti e al finanziamento dei loro ingenti debiti.
La BCE potrebbe agire per prima, dato l’obiettivo di cambio e di inflazione oramai clamorosamente mancato, ma anche una ringalluzzita Banca Centrale del Giappone, nuovamente in cerca di una svalutazione competitiva e della progressiva monetizzazione del proprio debito. Ma anche quella della Cina, paese che resta ingabbiato tra prospettive economiche stagnanti e un eccessivo indebitamento del comparto privato, che pone a rischio la stabilita’ del sistema.

Quella di una nuova stagione di QE e’ percio’ un’alternativa credibile, neanche tra le peggiori, sebbene comporti piu’ che mai la necessita’ di un deciso coordinamento internazionale, oggi non scontato. Nessuno sa se potra’ funzionare quale antidoto ad una altrimenti quasi scontata stagnazione globale, ma sono in molti a scommetterci!

3. ECONOMIA REALE

La Fragile Ripresa Economica Italiana

E’ parecchio che si confrontano le idee dei pessimisti “a prescindere”, dei teorici della “ripresa per i fondelli”, molto comuni tra i detrattori dell’attuale governo, con quelle di coloro che oscillano tra un inguaribile ottimismo e la normale presa d’atto delle statistiche economiche delle ultime settimane.
Aggiungerei che, almeno tra i miei contatti, i primi sembrano prevalere sui secondi, diffidando fortemente della validita’ dei dati positivi diffusi negli ultimi giorni.
Hanno ragione? Probabilmente no, ma vediamo perche’ :
– Le vendite al dettaglio dei beni di largo consumo nei supermercati e nei discount mostra un +2,5% nel primo semestre 2015. Il dato non e’ facilmente “addomesticabile”, dal momento che e’ riscontrato dai fatturati delle principali catene della GDO:
– Le immatricolazioni di auto nuove in Italia riflettono decisioni di spesa nel budget familiare che sono probabilmente state a lungo rinviate negli scorsi anni, ma questa volta volano: fanno +15% nello stesso periodo, e senza nessuna campagna di rottamazione. Un bel salto che poteva non esserci se il clima economico non fosse migliorato:
– Per gli elettrodomestici si vede invece una crescita a meta’ strada tra le autovetture e il largo consumo : stimano +7% nei primi 8 mesi:
– Persino le compravendite di abitazioni registrano una crescita nell’anno, sebbene più’ moderata: +1%:
– Ma il dato che puo’ convincere piu’ di ogni altro e’ la crescita dei finanziamenti alle imprese: un bel +17% fino ad Agosto che, data la scarsissima propensione delle banche alla riapertura generalizzata dei rubinetti anche a causa della discesa dei tassi e degli spread, non puo’ che riflettere una risalita degli investimenti produttivi. Vera chiave di volta per la comprensione della situazione.
Allora dobbiamo credere alla ripresa?
La questione e’ controversa. Perche’, come una rondine non fa primavera, cosi’ un rimbalzo come quello osservato nella spesa per consumi e investimenti (ben superiore alle stime di crescita del Prodotto Interno Lordo di meno dell’1%), non significa necessariamente per il Bel Paese l’uscita dal tunnel in cui si e’ infilato da un trentennio. Anzi: ancora una volta, parte della ripresa e’ finanziata a debito e con il deficit statale, in aumento entrambi.
La cosa non rassicura nessuno, ma vi sono altri importanti elementi da considerare, che vanno a controbilanciare positivamente le aspettative:
– Si sa che la competitivita’ nazionale dipende moltissimo da se e quanto rapidamente le imprese piú efficienti guadagnino quote di mercato rispetto a quelle meno efficienti. E’ uno dei pochi risvolti positivi dell’ecatombe di imprese degli ultimi anni, ma e’ migliorata;
– Il nodo delle riforme strutturali viene al pettine. L’efficienza allocativa, infatti, é ostacolata dalle frizioni di una legislazione incerta e complessa. Riforme come il jobs act permettono al principale fattore produttivo, il lavoro, di spostarsi dalle imprese poco efficienti verso le migliori;
– La ripresa della produttivita’ del lavoro, sebbene inizialmente causata dalla crisi, oggi puo’ aumentare grazie agli investimenti industriali e dei miglioramenti infrastrutturali a lungo rimandati. Da notare che contemporaneamente e’ migliorata persino la disoccupazione, che di norma viene contrapposta alla produttivita’;
– Infine, non meno importante, la discesa dei costi dei principali fattori produttivi (il lavoro, l’energia, le materie prime, il denaro) genera profitti e, in ultima analisi, benessere.
Insomma, ci sono buone ragioni per credere ad una temporanea ripresa economica, basata sul sollievo dei consumi interni, sul ritorno delle imprese ad investire e sul miglioramento delle condizioni di competitivita’ delle imprese.
Non migliora invece la situazione dei conti pubblici nazionali, con un debito pubblico che continua ad espandersi ed una classe politica che non rinuncia ai propri numerosi privilegi.
La cosa, a lungo termine, non puo’ che degenerare, con il rischio che il peso della macchina pubblica si rimangi i progressi che il Paese puo’ fare nel comparto privato dell’economia e lo faccia ripiombare nella crisi appena vissuta.
Anche perche’, per coloro che non lo ricordassero, la presenza dello Stato nell’economia in Italia supera ampiamente il 50% del totale del Prodotto Interno Lordo !

4.A AUTOMOTIVE e DINTORNI

Le Conseguenze dello Scandalo VolksWagen sull’Industria Automobilistica Europea

Superato lo shock della notizia dei test d’inquinamento truccati da Volkswagen (SI VEDA L’IMMAGINE ESPLICATIVA), tutti gli osservatori si chiedono oggi quanto lo scandalo che ha travolto il suo vertice e le sue finanze potra’ finire con il generare importanti conseguenze negative anche all’intero comparto manifatturiero automobilistico europeo e quanto anche il nostro Paese potra’ riserntirne.
Riporto qui il collegamento ad un autorevole articolo al riguardo:
http://www.wallstreetdaily.com/…/volkswagen-emissions-scan…/
La questione, piu’ che legittima, riguarda, solo in Italia, le possibili minori vendite di circa 3.200 aziende che ruotano attorno all’automotive, impiegando nel 2014 circa 275.000 persone e generando 88 miliardi di euro di ricavi, il 30% dei quali realizzati direttamente in Germania.
Senza contare l’indotto dei servizi, alle aziende e al personale dipendente.
Con il trasferimento all’estero di fatto dell’ultima casa automobilistica italiana, l’immenso comparto nazionale della produzione di componenti per l’auto aveva trovato in quelle tedesche il suo maggior sbocco commerciale.
Oggi si teme che il piu’ che probabile forte calo delle vendite del gruppo tedesco VW, il primo produttore al mondo di autoveicoli, possa generare una decisa deflazione dei prezzi nel mercato dei componenti e dei ricambi, con effetti di compressione dei margini e di svalutazione dei magazzini che non tarderanno a farsi sentire anche per le imprese italiane.
Da notare che in Germania il settore automotive da’ lavoro direttamente a quasi 800.000 persone, e genera circa il 20% del totale dell’export tedesco. Con l’indotto siamo a ben oltre il doppio.
Oggi, dopo che l’inchiesta ha avuto il suo esito con l’ammissione di frode da parte del gruppo VW, ci sono fondati timori che anche il gruppo BMW possa aver approfittato delle “distrazioni” degli enti governativi preposti al controllo dei gas di scarico, gettando un’ombra funesta ad un’intera generazione di motori Diesel e loro componenti che e’ stata sviluppata nei distretti europei dell’automobile.
In Italia, dove gli investimenti esteri sono in totale molto pochi, due tra i più grandi insediamenti tecnologici a capitale straniero riguardano il settore automobilistico e sono l’Italdesign Giugiaro (acquisita da VW per il 90% nel 2010) che da’ lavoro a circa 1000 dipendenti e la struttura in cui General Motors fa ricerca sui motori diesel, che da’ lavoro a 650 ingegneri. E questi sono solo una piccola parte dei posti di lavoro a rischio.
La preoccupazione per l’intero settore non nasce soltanto dai danni, diretti e indiretti, che il gruppo VW potra’ fronteggiare in America per sanzioni, costo dei richiami, minori vendite e minor credibilita’ della qualita’ che esso esprime, bensi’ soprattutto dal fatto che lo scandalo, nato in U.S.A., arrivera’ indubitabilmente ad estendersi quantomeno al nostro vecchio continente, con il rischio che si estenda anche a tutto il resto del mondo. Le conseguenze in tal caso risulterebbero incalcolabili.
Non solo: come si accennava, la questione delle emissioni nocive non affliggera’ soltanto le vendite delle autovetture VW, bensi’ con ogni probabilita’ l’intero comparto dei veicoli con motorizzazioni Diesel, fortemente sviluppato in Europa (53% delle vendite) e assai meno in America (20%).
Cio’ potra’ anche favorire l’impulso dei consumatori verso auto piu’ ecologiche come quelle elettriche (dove Apple e Google stanno per lanciare le loro vetture innovative), ma soprattutto tornera’ a vantaggio delle vendite di vetture ibride (tra le quali molte asiatiche) a benzina, con indubbi vantaggi per l’industria automobilistica americana e un deciso vantaggio per i tradizionali fornitori di componentistica di quest’ultima.
Prima pero’ di recitare il “de profundis” della principale industria automobilistica al mondo, occorre fare mente locale sul fatto che la gigantesca sanzione richiesta dalle autorita’ americane (18 miliardi di dollari) anche nel caso fosse irrorata al 100% (e si sommasse percio’ allo stanziamento iniziale di VW per 7 miliardi di dollari volto al richiamo di tutte le vetture incriminate) corrisponderebbe piu’ o meno all’ eccedenza di cassa della VW (24 miliardi di dollari), in contrapposizione per esempio alla posizione finanziaria netta negativa di quasi 6 miliardi di dollari della FCA. Fosse capitato a quest’ultima, dunque, sarebbe stato molto diverso. E’ inoltre probabile che le minori vendite VW e le maggiori spese di quest’ultima per il richiamo di tutte le auto in circolazione potra’ comportare oneri ben superiori alla liquidita’ di quest’ultima, ma e’ tutto da vedere se il durissimo colpo accusato sara’ stato anche mortale!
Con ogni probabilita’ nel prossimo futuro si assistera’ ad un rapido riallineamento dell’intero settore verso nuovi standard di emissioni nocive e verso una filosofia di prodotto probabilmente piu’ americana di quanto non fosse in precedenza.
Ma la corsa ad un adeguamento verso diversi standard e impostazioni alternative non potra’ che favorire l’industria automobilistica americana (e forse anche quella giapponese), generando un handicap naturale per quella europea, quantomeno a causa dell’eccessiva propensione al motore diesel di quest’ultima.
I complottisti potranno forse vedere in tutto cio’ l’ombra di oscure manovre finanziarie volte a favorire i soliti americani e magari a impedire la fusione del secolo (tra FCA e GM) , ma i realisti non potranno che prendere atto del fatto che anche nei settori industriali piu’ tradizionali, sono gli standard dei Paesi tecnologicamente piu’ evoluti quelli che inevitabilmente vengono poi adottati da tutti gli altri !

4.B AUTOMOTIVE e DINTORNI:

Apple e Google nel Mercato dell’Auto

Ridefinire i business ricchi e obsoleti. Ecco in cosa stanno specializzandosi i nuovi protagonisti di quella che una volta poteva chiamarsi “l’industria”, colossi come Apple, Google e Tesla, che per farlo possono contare su risorse virtualmente illimitate.
Il punto di partenza dell’operazione di “ridefinizione” e’ ovviamente l’appetibilita’ del settore, cosa che almeno nell’industria dell’auto sembra non mancare.
Quello di arrivo e’ il vantaggio netto che i nuovi entranti possono vantare sugli “incumbent”, cioe’ sui dinosauri, che rimangono ancorati a logiche e vincoli del passato. Vantaggio che, se i primi sono intelligenti, andranno a spartire con i consumatori, aggiungendo dunque anche un tocco di utilita’ sociale ai lauti profitti che possono trarre dall’aggressione.
Il passaggio cruciale pero’ sta nel disporre dei mezzi per riuscirvi, dal momento che le risorse finanziarie e il salto tecnologico da mettere in campo devono risultare davvero ingenti. A pena non riuscire e venire presi per poveri illusi se la “ridefinizione” del business non si mostrera’ assolutamente radicale.
E questo significa iniziare con l’investire in tecnologia molti, anzi moltissimi miliardi di dollari, per poi proseguire in territori inesplorati sopportando forti perdite iniziali e attraendo i migliori cervelli, sino ad arrivare a cambiare le regole obsolete di quel mercato (ad esempio: niente piu’ vendite bensi’ car sharing e noleggio urbano), sino a raggiungere dopo anni di sforzi finalmente il punto di pareggio, che si trasformera’ in una vittoria assoluta solo quando i vecchi concorrenti saranno davvero stesi al tappeto e nuove piu’ elevate barriere all’entrata dei concorrenti saranno state poste in essere.
Tutto sommato e’ geniale e puo’ funzionare. Ma qui puo’ anche cadere l’asino. E’ tutta sulla reale radicalita’ dell’innovazione infatti che si gioca il successo dell’aggressione a dinosauri industriali del secolo scorso come General Motor, Fiat Chrisler, Toyota, PSA-Citroen, Volkswagen, eccetera: riusciranno gli ingenti investimenti e il forte salto tecnologico a far decollare la nuova era del trasporto privato?
Sarebbe stato piu’ difficile rispondere ex ante se non fosse che i recenti eventi (qualche dinosauro che invece di concentrarsi sul mercato pensa solo a mangiare il suo simile, una normativa che stringe sulle emissioni nocive e, soprattutto, qualcuno che viene colto sul fatto con i dadi truccati) hanno provveduto a fornire una vera manosanta al rinnovamento che Apple, Google e Tesla vorrebbero vedere sul mercato dell’auto, scatenando cambiamenti delle regole del gioco (ecologia, sicurezza, automatismi, economia, durata) in un business che si era fatto piu’ che centenario.
E a supporto dei nuovi muscolosi entranti c’e’ anche un altro “sponsor” ufficiale: il mercato finanziario, il quale, (sin che dura) sembra piu’ che mai pronto a scommettere sulle aziende fortemente innovative, viste come unico antidoto per combattere lo spettro della deflazione, che poi non e’ altro che la trasposizione monetaria della caduta delle aspettative per il futuro.
Niente di meglio, per rialzare i prezzi e fornire nuove prospettive, che dare la speranza di grandi profitti e grandi innovazioni che puo’ provenire da qualche rivoluzione tecnologica basata sulla riduzione dei danni all’ambiente.
Ben vengano dunque i nuovi “dei” del digitale. Che cadano pure a terra i titani del passato endotermico, affinche’ i consumi si riprendano, l’ambiente ci guadagni e chi ci investe sopra…pure!
Pero’ non possiamo fare a meno di notare che, come era gia’ successo in passato con i telefonini dei finlandesi, le batterie dei giapponesi, l’aeronautica europea, le armi pesanti dei russi e la meccanica fine dei tedeschi, la questione non e’ poi solo industrial-finanziaria, ma assume anche un’importante connotazione geopolitica.
Come al solito la svolta epocale sara’ infatti soprattutto colorata a stelle e strisce, mentre gli inseguitori del gruppetto di testa stanno tutti altrove nel mondo.
Magari in Paesi con elevati sistemi di welfare, oppure in quelli che detengono grandi giacimenti di petrolio e gas i quali valgono sempre meno Dollari.
E’ probabile infatti che, colpite da sanzioni, guerre valutarie e nuova normativa stringente, le aziende automobilistiche del passato non potranno che finire sul lastrico non riuscendo a rilanciare sulla sfida dell’innovazione.
Per non parlare dei (molti) poveracci lavoratori di quelle industrie “mature” che subiranno la “ridefinizione” delle regole del mercato: probabilmente buona parte di essi si aggiungeranno a quella maggioranza degli iscritti ai sindacati e alle liste di mobilita’ sociale che andranno a riscuotere presso la previdenza sociale, a causa degli inevitabili tagli e licenziamenti.
Ma tant’e’. E’ cosi’ che gira il mondo! Cosi insegna la storia che si vincono le battaglie: con la forza ed il denaro, certo, con la strategia e il coraggio, sicuro. Ma anche con qualche bello scandalo e qualche spintarella normativa e geopolitica che non guasta per accelerare gli eventi e indebolire decisamente gli avversari!
Difficile giudicare se cio’ sia un bene o un male. E’ quello che succede e, sebbene il rimescolamento delle carte possa scuotere gli equilibri del passato a favore degli sfidanti che trasudano dei profitti recentemente realizzati nel mondo digitale e che si trovano nella condizione di cavalcare gli eventi perche’ non ne subiscono danni patrimoniali, risulta sempre difficile affermare che il mondo dovrebbe opporsi al cambiamento e pensare che senza i recenti scandali esso non sarebbe sopraggiunto ugualmente.
Magari pero’ non in modo cosi’ repentino e violento come rischia invece di accadere…

5) APPROFONDIMENTI

Cautela e Ripresa Potrebbero Scongiurare un Nuovo Autunno Caldo?

Il momento economico risente molto dell’ansia dei mercati finanziari, riflessivi perche’ indecisi tra l’attesa di una nuova recessione globale e le confortevoli prospettive di crescita del prodotto lordo del mondo occidentale, almeno fino a tutto il 2016.
Tuttavia settimana dopo settimana appare sempre piu’ chiaro che, con il calo generalizzato dei prezzi delle materie prime, non accenna ad arrestarsi la deflazione nel mondo.
La cosa guasta i sonni dei governanti di molti Paesi Emergenti, ma stimola la ripresa economica di quelli ricchi, dal momento che in questi ultimi la deflazione importata abbassa il costo di materiali, energia e altri fattori di produzione, piu’ di quanto riesca a danneggiare il prezzo dei beni e servizi finali di cui sono prevalenti produttori ed esportatori.
Il timore di un nuovo letale crollo generalizzato dei listini di borsa pero’ ancora incombe.
E potrebbe guastare la festa della ripresa economica occidentale, oltre che minarne alla base i fondamenti del sistema economico, impostato sul capitalismo di mercato.
Quel timore e’ alimentato fra l’altro dall’oggettiva probabilita’ di due fatti : il probabile calo degli utili societari dovuto almeno in parte alle ridotte performances delle multinazionali occidentali sui mercati emergenti e inoltre l’oggettiva necessita’, prima o poi, di un rialzo dei tassi di interesse, anche se esistono molte ragioni a favore del “poi”.
Quest’ultima necessita’ deriva dalla constatazione che con il consolidarsi della ripresa economica delle principali economie del mondo, i tassi d’interesse “reali” non potranno restare troppo a lungo in territorio negativo.
Se si riuscira’ a scongiurare la prospettiva di un nuovo crollo dei mercati finanziari, allora l’attuale tendenza deflattiva non potra’ che generare stimoli al rinnovamento economico e tecnologico dell’Occidente, creando le premesse per un lungo periodo di moderata crescita globale, caratterizzata da pochi pericoli di surriscaldamento dell’economia e basse tensioni inflattive.
Una prolungata cuccagna, apparentemente.
Se invece il controllo sui mercati finanziari “estremi” (come quelli dei derivati, del credito “ombra”, eccetera) non si fara’ particolarmente intenso, il rischio di nuovi default destabilizzanti resta molto elevato, tanto piu’ alla luce del fatto che, pochi anni dopo la crisi dei mutui “sub-prime”, l’intero settore del credito al consumo sta tornando a esplodere, con il rischio che le cartolarizzazioni “facili” arrivino a minare definitivamente la credibilita’ dei ratings.
Nel frattempo resta abbastanza improbabile che quest’anno assisteremo ad un nuovo “autunno caldo” di prezzi e tensioni sociali, e ancor piu’ difficilmente l’economia mondiale sara’ strattonata dal riemergere di importanti conflitti armati. Con un po’ di ottimismo si potrebbe pensare ad una progressiva maturazione della ripresa economica globale, limitata ma anche stabilizzata, mentre i problemi che il calo dei prezzi delle materie prime sta vivendo genera indubbia pressione sui Paesi Emergenti ma li costringe anche a cercare piu’ velocemente la strada della modernizzazione.
I veri rischi per l’economia globale nel prossimo futuro continuano a risiedere nella sostenibilita’ dei debiti pubblici, nella credibilita’ delle autorita’ monetarie, nella capacita’ organizzatiiva di nazioni e continenti nel regolare l’inquinamento globale, i flussi migratorii e l’ordine pubblico.
Niente di nuovo sotto il sole, peraltro…

Stefano L. di Tommaso