Newsletter di Agosto 2013

IL CIGNO NERO

                                           
In sintesi:

L’economia italiana è a un bivio importante, a causa del debito pubblico ma non solo: la contrapposizione fra i due principali partiti e la prolungata recessione lasciano poco spazio all’ottimismo e, se il downgrading delle società di Rating dovesse proseguire, saremmo presto incapaci di collocare sul mercato le prossime emissioni di titoli di Stato, nonché molta della raccolta finanziaria delle imprese nazionali, sprofondando in un vortice di mancanza di risorse di stampo “greco”!
Di fronte a questa prospettiva la domanda è ovvia: potrà mai cambiare qualcosa? Un cigno nero potrà comparire all’orizzonte? La risposta è molto legata alla progressiva finanziarizzazione dell’economia perché quasi tutti gli Stati del mondo hanno accumulato grandi debiti e perché Shinzo Abe ha preso la guida del Giappone e imposto un ritmo più serrato all’allentamento delle politiche monetarie di tutto il mondo, che presumibilmente proseguirà a lungo!
Di conseguenza tutti si chiedono quali effetti potrà avere l’elettrostimolazione monetaria cui assistiamo e se essa potrà minare alla base le radici del capitalismo.
Pur non potendo nessuno al mondo rispondere con certezza (nessun economista, nessuno storico, nessun sociologo…) la ricetta del Premier Giapponese sembra -almeno per il suo Paese- magicamente avere effetto, by-passando in un colpo solo l’infinito dibattito in corso.
Potrebbe essere lui il “cigno nero”? 

 

 

Nel dettaglio:

All’inizio dell’ennesima estate di crisi per il nostro Paese, di “empasse” per l’Italiano medio e per moltissime delle nostre Imprese, nel timore di risultare ripetitivo, ho voluto provare ad allargare gli orizzonti  e ho iniziato a chiedermi -e a chiedere ai miei amici su FB- non più cosa succederà il mese prossimo bensì, in definitiva: in quale direzione siamo diretti nell’arco di almeno un quinquennio?
Duole prendere atto del fatto che molte tendenze attuali dell’economia italiana ed europea, tratteggiate in passato anche dal sottoscritto con nomi esotici come “Japanification” (da me riportata già nel Luglio 2012),  “Credit Crunch” (ahimè da molti anni prima), “L’ora dei Capitali” (nel 2007) e, più recentemente: le “Guerre Valutarie” e il “Minsky Moment”) sebbene siano già in atto, in assenza di decise manovre del Governo e del Parlamento (circa le quali oramai esprimo tutto il mio scetticismo), andranno avanti ancora a lungo a manifestare appieno i loro effetti, senza particolari cambiamenti di rotta.

Ciò avviene attraverso:
– la fuga dei capitali dall’Italia, assai comoda per chi li riceve, a partire dagli Svizzeri,
– la conseguente desertificazione dei commerci e della finanza a casa nostra,
– la deindustrializzazione del Bel Paese e la conseguente disoccupazione che monta,
– la probabile stasi del sistema bancario e assicurativo,
– il calo generalizzato del gettito fiscale e la “grecizzazione” della nostra economia,
– l’incapacità dunque dello Stato di mantenere il suo ruolo di redistributore di ricchezza e la conseguenza che esso amministrerà sempre meno i servizi essenziali come la difesa, la sicurezza, l’istruzione, la giustizia, la previdenza e la sanità, impiegando sempre più il proprio budget nella spesa corrente.

Questo gli Italiani lo comprendono bene.
La delegittimazione delle istituzioni e l’imbarbarimento della nazione sono già in atto, accentuate oggi dalla povertà che avanza: su questi temi le previsioni sono ahimè facili perché non si vede nulla che possa invertire la tendenza!
Casomai la questione aperta è proprio quella: puó davvero cambiare qualcosa? Salterà fuori qualche bella discontinuità positiva? Potrà apparire una schiarita prima che la nostra generazione si sia esaurita  senza un “ricambio naturale”?
Comparirà cioè all’orizzonte un “cigno nero”?
Questo termine proviene dal titolo di un saggio dell’epistemologo ed ex trader di borsa Nassim Nicholas Taleb, esperto di origine libanese di “scienze dell’incertezza”. Taleb sostiene che le banche e le imprese commerciali sono molto più vulnerabili agli eventi pericolosi perché molti di essi sono imprevedibili. I modelli economici sviluppati spesso non danno la quantità delle reali perdite a cui questi enti sono esposti.
Come pure le possibili discontinuità potrebbero avere caratteristiche positive, anzi: poiché normalmente il mondo va avanti e difficilmente indietro, queste ultime sono più probabili.
La sua tesi è che quasi tutti i grandi eventi della Storia provengono dall’inaspettato.
E questo nonostante l’uomo tenda a convincersi che tutti gli eventi sono spiegabili col senno di poi.

 


I PROBLEMI ATTUALI

La situazione -triste in Italia- non è molto migliore a livello globale, visto che lo scenario di consenso tra gli economisti prevede:
– un rallentamento generale dell’economia mondiale con forti rischi per i Paesi più deboli
– un calo generalizzato del tasso di piena occupazione nei Paesi industrializzati
– una graduale migrazione dei centri di potere economico e finanziario verso i Paesi Asiatici
– la continuazione di una certa volatilità dei mercati borsistici e delle materie prime, sebbene restino intonati al rialzo
– i tassi di interesse solo lievemente crescenti
– la necessità di continuare con le misure straordinarie di riversamento della liquidità sul sistema finanziario per compensare il suo prosciugamento dovuto alla prolungata recessione
– la possibilità che di conseguenza anche le “guerre valutarie” proseguano a lungo.
In teoria le Banche Centrali dovrebbero agire in modo “anticiclico” calmierando i mercati quando c’è pericolo di inflazione e pompando liquidità quando la recessione prosciuga quella disponibile, strozzando la spesa per i consumi, ma anche quella per investimenti e infrastrutture.
Oggi però, dopo una lunga serie di interventi di liquidità e una ancor più lunga stagnazione economica, intervengono anche forti dubbi sulla validità del lassismo nelle politiche monetarie.

Tra gli economisti più conservatori vengono rispolverati concetti come “financial repression”, deficit” (di bilancio) e “debasement” (delle principali valute):

1) Financial Repression

è una tecnica finalizzata a “rubare” valore dalle tasche dei risparmi dei cittadini per portare nelle tasche delle nazioni debitrici attraverso rendimenti reali negativi, al netto dell’inflazione. Sofisticata e invisibile ai più, potrebbe costituire l’effetto finale del Quantitative Easing, visto come strumento inflazionistico utilizzato per lenire la disperata esigenza di liquidità che rallenta il ritorno allo sviluppo economico.
Consiste nel lasciare che i tassi divengano negativi al netto dell’inflazione, occultandone la vera misura e abbassando il più possibile i rendimenti dei titoli di Stato (riducendo tanto l’onere dello Stato per qs.ultimo quanto il valore effettivo del suo debito residuo).
Poiché non costituisce una scelta dei risparmiatori, bensì una subdola imposizione dei governi, essa è chiamata “repressione” o “imposizione” o “monetizzazione del debito pubblico”. Se sia peggiore la monetizzazione o il default del debito medesimo lo lascio giudicare ai lettori.

2) “Deficit”
è il disavanzo dei conti dell’anno di una nazione: se esiste vuol dire che i politici hanno speso di più di quanto hanno avuto e che non potranno che colmare il divario con nuove tasse o con la bancarotta di Stato. Si tende a spiegare che lo si fa per favorire il Welfare e la Cassa Integrazione Guadagni, ma sappiamo bene che il grosso delle spese pubbliche non risiede nelle politiche sociali!
La verità è probabilmente l’altra: quando il deficit corre, i nostri politici stanno applicando sulle nostre teste una nuova tassa regressiva (che pesa di più ai più poveri) che per un po’ resterà occulta.

3) “Debasement”
è il concetto più sfuggente e al tempo stesso più potente: quello di sottrarre gradualmente valore dalla divisa monetaria (l’Euro, il Dollaro, lo Yen, ecc…), tanto attraverso l’inflazione strisciante quanto con la “guerra delle valute” (la gara a chi svaluta di più per restituire competitività alle esportazioni).
Apparentemente ciò aiuta l’economia, ma poi fa inesorabilmente crescere il costo di un chilo di pane.
È il motivo (sano) per il quale i popoli del Nord Europa sono da sempre contrari alle politiche di Draghi in BCE: se la medesima “stampa” denaro senza che i conti pubblici dell’area Euro vengano risanati, stiamo solo rimandando i problemi!


L’ILLUSIONE MONETARIA E LA SCHIAVITU’ DEI CONSUMI

Negli anni recenti ci siamo tutti sentiti dei Principi Rinascimentali in sella alla loro nuova carrozza, oppure degli Imperatori Romani comodamente seduti sul loro Trono imbottito in pelle davanti al Circo Massimo (il piccolo schermo) ad applaudire via internet giocolieri e (finti) gladiatori. In realtà stavamo solo sognando e cercando di dimenticare i problemi.
Ma se poi ci tocca lavorare tutto il giorno per pagare le bollette allora comprendiamo che non siamo i signori del nostro destino, bensì piuttosto degli schiavi, ben vestiti e ben drogati dai media, fino a credere che le margherite si sfoglino da sole nella valle verde dei nostri televisori.
Sebbene nessuna forma di schiavitù sia eterna, la pura verità è che oggi viviamo in un mondo Occidentale che vede minati i propri principi di base, i nostri diritti fondamentali di libertà e autodeterminazione, a favore di poche potentissime èlites che riescono a guadagnare denaro e potere da questa situazione.
Le quali, ovviamente, cercano per i loro capitali un rifugio sicuro nella parte più remota del resto del mondo.
Eppure, chi esporta capitali, per quanto odioso ai piu, non ha oggi tutti i torti: in un certo senso le sue aspettative di “messa in salvo” dei capitali si autorealizzano quando la fuga dei capitali dai nostri territori ne determina l’impoverimento.
Ma per chi resta a casa, l’ “illusione” che ce la caveremo ancora una volta e che noi abbiamo scelto da soli le nostre droghe quotidiane (poichè dietro l’angolo c’è sempre la ripresa) va avanti senza alcun fondamento logico!


LA REALTA’ E L’IMMAGINAZIONE

sebbene la storia ci insegni che le discontinuità e i “cigni neri” ci siano sempre, possiamo ragionevolmente ritenere che un vero ribaltone delle attuali tendenze possa arrivare in caso di discontinuità delle condizioni generali, vale a dire con qualche forte evento o con un colpo di stato? Non necessariamente, anche se -sì- molto probabilmente.
Certo, dopo almeno un decennio del dilagare di ció che è stato battezzato il “Rinascimento Digitale” (che ha dato luogo a più di un sommovimento politico o di qualche “primavera araba”), la cosa che mi stupisce di più è la diffusa inconsapevolezza della gente e la straordinaria lentezza con cui gli eventi oggi sembrano accadere.
La probabile realtà è che siamo piombati in un nuovo Medioevo nel quale siamo tutti vittime di teorie economiche sbagliate e ancora di qualche ideologica illusione, per cui  -se non succede niente di nuovo- tireremo a campare forse molto a lungo, invece di guardare in faccia la realtà di una sempre minore autodeterminazione e provare a reagire con vigore!
Molte delle cause per le quali una civiltà soccombe oppure prospera sono solo collegate all’economia ma non alla finanza: la crescita demografica, i flussi migratori, l’invecchiamento della popolazione, la disponibilità di risorse naturali e minerarie…
Se oggi facciamo una verifica scopriamo che questi fattori mostrano valori opposti se paragoniamo il mondo occidentale con quello orientale!


COME STAREMO DUNQUE TRA UN QUINQUENNIO?

Il 2018, quello “standard”, per noi Europei del Sud è dietro l’angolo: è più vicino di ciò che si può ritenere, più uguale al 2013 di quanto ci si possa immaginare, più povero di spirito del 2001 o del 2008 (i due anni in cui la crisi di sistema ha iniziato a manifestarsi).
Se l’empasse non viene rimossa alle radici, tutto quello che potrà accadere entro il 2018 sarà che al massimo le misure di austerity attuali avranno ottenuto qualche parziale successo con una timida ripresa dei consumi, poca nuova occupazione (magari part time e senza sicurezza sociale, nei fast food o nei lavori da remoto) e una (apparente) riduzione dei debiti pubblici, ma la verità potrebbe non essere manifesta: pagheremo tutti noi queste piccole illusioni con una riduzione del nostro livello di benessere, e senza che il sistema si riformi a sufficienza? Per poi sprofondare di nuovo più in basso sintantoché non intervenga qualche cambiamento più radicale o qualche fattore di rinnovato benessere?


LE CONSEGUENZE ECONOMICHE

Questo scenario -non roseo- può riservare nel breve periodo qualche sorpresa positiva per gli investitori ed i risparmiatori, tanto a livello di mercati borsistici quanto di ripresa temporanea dei consumi leggeri, sebbene esso potrà facilmente segnare uno stabile declino del luxury fashion, dell’automotive e delle costruzioni civili, nonchè degli articoli di “consumo cospicuo”, quantomeno nel nostro Continente.
Chi è attivo in quegli ambiti non potrà dunque che cercare ad Oriente i propri naturali mercati di sbocco.
I tassi di interesse pertanto è probabile che restino a lungo su livelli molto bassi, per quanto la cosa continuerà a stridere con una decisa scarsità di credito disponibile e di capitali per lo sviluppo, i quali saranno rari e cari.
La selezione naturale che ne deriverà porterà le imprese ad un maggior senso critico sui costi “non inerenti”, sugli sprechi energetici nel processo produttivo sulle politiche logistiche e distributive e sulle campagne pubblicitarie, mentre si assisterà ad un più deciso spostamento della nuova comunicazione sui nuovi strumenti digitali, caratterizzati da un più basso costo-contatto e dall’aspettativa di creare nuova ricchezza.
Lo scenario “standard” non potrà che prevedere un’ elevata tassazione che sarà accentuata dalla ripresa delle spese militari e dalla progressiva perdita di valore delle divise monetarie occidentali a favore di quelle asiatiche e dell’emisfero australe, sebbene la cosa sarà probabilmente pilotata con leggiadria, per evitare di risultare macroscopica.
Non vedo dunque un deciso apprezzamento di questa o quella valuta occidentale e nemmeno una forte svalutazione dello Yen, che somiglia nel suo comportamento sempre più al Dollaro (fatta eccezione per quelle dell’Asia continentale)  mentre posso ritenere che il costo delle materie prime non potrà che crescere, seppure molto gradualmente, e con esso quello delle commodities, dell’energia,  di metalli e materiali preziosi.


QUALE  “CIGNO NERO” ?

Per i fautori invece di un più profondo rinnovamento del mondo Occidentale occorre sottolineare che ciò che la Storia insegna è che esso non è mai gratuito, che il cigno è spesso molto “nero”, come lo è il baratro che l’umanità deve attraversare per poter procedere verso la prossima tappa del suo percorso.
Spesso le discontinuità sono segnate da eventi traumatici come carestie, guerre e distruzioni di valore, di abitudini, di tradizioni e di vite umane. Ma non sempre.
Non è neanche sicuro che il rinnovamento segni un vero passo in avanti, visto che l’umanità è bambina e assai di recente sembrava averne compiuti parecchi.
Potrebbe sempre accadere il contrario, perciò io non sono mai tra i fautori di una grande rivoluzione ovvero di un rinnovamento “a tutti i costi”, anche perché è spesso l’ignoto che viene a noi e non il contrario.
Si prenda il caso del nuovo Giappone, quello che dopo il devastante terremoto si è messo così tanto in discussione da riuscire a rinnovare sè stesso ben più di quanto possiamo oggi supporre: il nuovo Premier -Shinzo Abe- ha inaugurato una spericolata politica espansionistica (anche tenendo conto del fatto che il debito pubblico nazionale è più del doppio del nostro) che sembra dargli ragione, determinando peraltro un effetto-a-catena per nulla trascurabile visto che sta determinando una corsa alla svalutazione competitiva delle principali monete!
E se fosse lui il Cigno Nero? Se riuscisse nell’intento di restaurare l’entusiasmo e la solidarietà?


L’ECONOMIA DEL CIGNO NERO

Lo scenario della decisa discontinuità si può accompagnare alla perdita di valore di molti beni rifugio, alla corsa ai metalli preziosi e ai beni facilmente occultabili e non passibili di oblio e disgusto, ma -nella misura in cui determina un ritorno alla crescita- essa brucia le resistenze fisiologiche dei mercati instaurando una sorta di allucinazione collettiva!
Resta assai difficile prevedere cosa potrebbe succedere ai mercati finanziari occidentali in caso di ribaltone dell’attuale tendenza alla riduzione della crescita economica mondiale, ma non dobbiamo dimenticare che accanto al Giappone esiste la prossima superpotenza economica mondiale: la Cina. È quest’ultima che potrebbe anche decidere di sposare la causa della crescita!
Nessun Cigno Nero nato in Occidente riuscirà facilmente ad estendere i propri tentacoli sino in estremo oriente e che persino il mondo arabo ne possa rimanere esente. Mentre viceversa quello che potrebbe accadere è il contrario: che proprio dalla parte più dinamica del mondo moderno: l’Estremo Oriente, possa emergere un vero Cigno Nero.
In entrambi i casi è probabile che la discontinuità -se davvero interverrà- corrisponda comunque ad una crescita di quei mercati finanziari e ad un relativo boom immobiliare, a causa dell’ovvio travaso di ricchezza (peraltro in atto già oggi) e alla differenza di tendenza nei consumi che si determinerebbe tra i due emisferi (tagliati in senso verticale) del mondo.
L’economia del Cigno Nero assomiglierebbe cioè per un verso ad una economia di guerra, ma con molte similitudini (sebbene con diversissima intensità) alle tendenze economiche che si possono presumere per lo scenario “standard”, poiché in entrambi i casi potremo vedere emergere le economie asiatiche ben più in alto di quelle occidentali.
L’eventuale inflazione che potrebbe insorgere accanto alla discontinuità si accompagnerebbe peraltro ad una tumultuosa ripresa di consumi e investimenti.


MORALE

Che il nostro mondo cambi o non cambi granché le prospettive generali a medio termine sono probabilmente quelle di una ulteriore polarizzazione dell’umanità: tra paesi occidentali e paesi orientali tra gente anziana e ricca che progressivamente diviene più povera e gente giovane e povera che tende ad arricchirsi.
La distinzione sarà sempre più accentuata anche tra i detentori di capitali e questuanti degli stessi, che inevitabilmente non potranno che risultare sempre più numerosi.
Ma soprattutto è probabile che proprio dal “melting pot” dell’arcipelago del Pacifico che potrebbe arrivare uno scossone positivo per le economie del mondo occidentale
Esattamente ciò che è successo con la caduta di Roma sotto le orde dei nuovi barbari poco prima del Medioevo: l’ascesa e l’apoteosi dell’Impero Romano d’Oriente !


Stefano L.di Tommaso