Newsletter di Giugno 2013

DILEMMA A WALL STREET

 

 

 

I TEMI:

È compatibile l’aspettativa di ulteriore denaro (acquisti che faranno risalire i corsi azionari) a Wall Street -e alle Borse di tutto il mondo- con quella (assai realistica) di rendimenti reali negativi per i titoli a reddito fisso delle principali economie?

È questa la frase che ascolto più spesso tra gli analisti negli ultimi giorni. Ma che vuol dire?

È in corso una guerra valutaria che vedrà lo Yen giapponese scendere ancora significativamente e costringere le altre zone valutarie (resto dell’Asia, Americhe, Euro) a seguirlo nel cavalcare l’inflazione?

Le Borse continueranno a salire? La volatilità dei mercati è destinata a decollare?

E quali conseguenze possono generarsi per le piccole e medie imprese del mondo (molte delle quali italiane) in termini di profitti, credito, export e sviluppo?

Queste ed altre  sono le “domande impossibili” cui tentiamo anche stavolta di rispondere, in vista della fine di una fredda e bagnata primavera, che ha generato molte speranze ma che si avvia rapidamente a provocare anche qualche disillusione!

 

LE RISPOSTE:

1) sì le aspettative sono in realtà compatibili e le Borse resteranno dinamiche, sebbene la volatilità sia destinata ad aumentare
2) sì la guerra valutaria alla fine si farà perché le forti iniziative giapponesi scuotono il resto del mondo, generando instabilità sui mercati finanziari
3) andrà relativamente bene per le imprese italiane, che otterranno nonostante tutto qualche risorsa in più dal sistema finanziario, almeno quelle che riusciranno a risultare più meritevoli di attenzione
4) il clima politico resta positivamente orientato (il governo sta macinando iniziative a tutto spiano) eppure anche frastagliato e pericolosamente incline ai ribaltoni: cosa che alla lunga non favorirà questo governo nelle iniziative più coraggiose.

 

NEL DETTAGLIO: RENDIMENTI REALI E TASSI DI CAMBIO

Innanzitutto bisogna tener presente che i rendimenti reali dei titoli a reddito fisso sono quelli che risultano dopo aver calcolato correttamente l’inflazione. Se l’inflazione non c’è i tassi reali sono identici a quelli nominali, se l’inflazione è il doppio dei rendimenti (in Giappone il 2% contro l’1% dei rendimenti nominali) allora i rendimenti reali hanno davanti il segno “meno”.
Se infine l’inflazione esiste per alcune categorie di beni ed è di fatto negativa (deflazione) per altre categorie, allora nessuno è davvero in grado di calcolare i rendimenti reali dei titoli a reddito fisso. Nell’incertezza, essi vengono “aggiustati” con le variazioni del tasso di cambio della valuta in cui essi sono denominati. Cosa che peraltro avviene anche per i titoli azionari. Dunque molto dipenderà dalle aspettative sui tassi di cambio.

Perciò la risposta alla domanda da un triliardo di dollari: (cosa succederà alle principali economie del mondo nei prossimi mesi?) è che adesso non è più in grado di prevederlo davvero nessuno! Anche se poi -riflettendoci- la questione è di quelle che interessano tutti. Ma proprio tutti.

Quanto realismo bisogna attribuire ai catastrofisti che prevedono subbuglio  come conseguenza della grande massa monetaria immessa sui mercati prima dalla Federal Reserve e poi dalla Banca Centrale del Giappone (che sta avendo effetti sullo Yen)? Al pericolo di risalita dei tassi di interesse (e dunque del costo del denaro) sono interessati (e preoccupati) tutti: i capitani d’industria, gli speculatori, gli sviluppatori immobiliari, coloro che hanno progetti da sviluppare, gli assicuratori, i responsabili del debito pubblico di tutti i governi, eccetera…

Però chiariamo che non lo reputiamo una vera minaccia nel breve termine.

Alla possibilità che la guerra delle valute cui assistiamo dia luogo a forti cali nei corsi dei titoli a reddito fisso sono altresì interessati tutti i risparmiatori, i fondi pensione, le banche e gli investitori e in definitiva anche i listini azionari, perché anche le Borse danno un reddito ai risparmiatori -lo stacco dei dividendi- che diviene più attraente quando i tassi scendono e lo è meno quando risalgono.

A onor del vero bisogna anche osservare  che i titoli a reddito fisso stanno già scendendo e i tassi a lungo termine, corrispondentemente, risalendo.  Ma questo riteniamo che avvenga perché sul mercato c’è più “lettera” che “denaro” (è gergo finanziario: c’è più la gente che li vende di quella che li compra).
 
La cosa è in funzione sì delle aspettative, ma anche della liquidità disponibile. Le prime possono essere facilmente interpretate: quando i tassi approssimano allo zero c’è più spazio per una risalita che per ulteriori discese.
La seconda (la liquidità) dipende molto dalle politiche monetarie. Se circola più moneta, questa alla fine si rivolge “anche” (sebbene non più “soprattutto”) ai titoli a reddito fisso, facendone salire i corsi. Se al contrario essi scendono è (anche) perché c’è meno moneta disponibile in circolazione.

E qui casca l’asino (e fors’anche il toro di Wall Street): dove finisce tutta la liquidità immessa sui mercati con i famosi QE (i “quantitative easings” ovvero le attuali politiche monetarie “espansive”)?

 

LA VELOCITÀ DI CIRCOLAZIONE DELLA MONETA

Se ne potrebbe discutere a livello accademico ma non sarebbe questo il luogo. Accenno solo al fatto che la risposta probabilmente è in una variabile-chiave della famosa equazione di Fisher, autore di una teoria quantitativa che preconizzava che la quantità di moneta effettivamente disponibile dipende (anche) dalla velocità di circolazione della moneta.
E si sa che in tempi di recessione (o mancato adeguato sviluppo) la velocità di circolazione scende, amplificando la riduzione della quantità di moneta effettivamente disponibile e, con essa, la quantità di carta finanziaria che il mercato è disposto ad assorbire.

In una parola, non c’è abbastanza denaro che arriva al pubblico risparmio per comprare i titoli a reddito fisso, che scendono, facendo risalire di conseguenza i rendimenti attesi, e destabilizzando (poco) i corsi azionari.
Un bell’aiuto alla volatilità proviene anche dalle aspettative di inflazione che tutti invocano pensando alla grande liquidità che si riversa dalle banche centrali verso gli operatori finanziari, sebbene -secondo noi- su questo punto i più si sbagliano: quella moneta immessa in circolo tra banche centrali e investitori si ferma a metà strada e ancora non riesce a raggiungere l’economia reale!
Perciò il QE sino ad oggi non ha funzionato bene come stimolo all’economia e l’eventuale crescita dei prezzi di molte commodities non dipende dal QE. Dipende casomai dalla crescita dei prezzi in molti Paesi in via di sviluppo, produttori delle medesime.

 

IMPRESE, INVESTIMENTI, POSTI DI LAVORO E WELFARE

Ne fa le spese il volume degli investimenti, per i quali soprattutto in Italia non esiste credito disponibile a sufficienza. Di conseguenza si generano pochi nuovi posti di lavoro, a fronte di quelli che si estinguono con le imprese che collassano (in Italia con la disoccupazione siamo arrivati a fine Marzo 2013 al 12,8% e al 41,9% per gli “under”24”)!

Confindustria lancia un grido d’allarme corretto e importante, ma nessun politico si lancia a spiegare esattamente cosa dovrà succedere perché la tendenza all’esodo dei capitali e alla riduzione della liquidità delle principali banche possa essere contrastata, rimpatriando i primi e incrementando la seconda.

C’è da aggiungere che esistono oggi molti strumenti che tendenzialmente sono poco utilizzati per “scrivere il libro dei sogni” della PMI che decide di diventare grande: dai contributi offerti dall’UE e dalle varie Agenzie nazionali,  fino ai “project bond” e al collocamento all’estero di piccoli aumenti di capitale tramite gli intermediari specializzati.

Purtroppo non sono in molti gli imprenditori che decidono di cercare ed utilizzare tutte le formule possibili per contrastare il calo dei consumi interni e la carenza di risorse finanziarie disponibili per intraprendere percorsi virtuosi e iniziative volte al successo internazionale.

Peccato, perché questo sarebbe proprio il momento di farlo!

 

ARRIVERÀ “A VALLE” ABBASTANZA LIQUIDITÀ?

Quest’aspetto è quello che tocca le tasche di tutti noi: sarà disponibile del denaro per ulteriori sviluppi immobiliari, per le infrastrutture, per la ricerca e sviluppo? Per sostenere i debiti pubblici e le politiche di welfare? Ci sarà denaro che alimenta le imprese, i risparmi e gli investimenti?
Per ora la risposta appare del tutto scontata: no, non abbastanza!
Ma sappiamo che l’argomento è in testa alle priorità di tutte le principali banche centrali, crucchi e fondamentalisti permettendo. Siamo fiduciosi: non rimarrà indietro.

Tutti parlano di ulteriori iniziative delle Banche centrali allo studio in tal senso  (in particolare di Draghi, che ancora una volta potrebbe vantarsi di salvare Italia ed Europa Unita) ma Bernanke, il capo della Federal Reserve, ha fatto sapere che le sue politiche monetarie espansive non dureranno all’infinito (e nemmeno lui, ndr). Perciò la giostra delle Borse comunque va avanti, ma con maggiori alti e bassi, mentre ci si aspetta che gli stimoli diretti all’economia reale (investimenti, ricerca, abitazioni, infrastrutture…) che sono in arrivo possano in ogni caso far presumere per i risparmi investiti in titoli azionari un flusso di futuri dividendi più alto di quello che daranno i rendimenti obbligazionari.

 

CONCLUSIONE

Quello che è successo sino ad aggi (l’immissione di base monetaria nel sistema che però non defluisce a valle) può invece spiegare il “dilemma”di cui al titolo  : i corsi dei listini azionari potranno continuare a crescere pur in presenza di tassi reali negativi?
Noi proviamo “hic et nunc” ad azzardare un “sì” sebbene gli alti e bassi dei mercati creino un polverone in mezzo al quale non è facile dedurre una tendenza: i guadagni sui titoli azionari dipendono dal livello dei corsi al momento degli acquisti che viene sottratto a quello di vendita dei medesimi. Se tra uno scrollone di Borsa e l’altro si compra “alto” non c’è tendenza che tenga!

Il  “sì” però dipende soprattutto dal fatto che l’attuale sconquasso procurato dal graduale trapasso dall’economia industriale del secondo millennio a quella smaterializzata del terzo, oltre a provocare cataclismi sul mercato del lavoro e nelle finanze pubbliche, tende a favorire il mercato dei capitali e a ridimensionare il mercato del credito. Il primo con la volatilità ha sempre convissuto, il secondo rischia di lasciarci le penne.
L’investimento azionario -in definitiva- ha un DNA più compatibile con la volatilità e la smaterializzazione delle attività del terzo millennio e può consentire rendimenti reali (o attesi tali) ben superiori a quelli del reddito fisso!

Dunque quella speranza che le Borse possano continuare a crescere anche all’inizio della guerra delle valute, è realistica! Questo però lo si potrà dimostrare soltanto nel lungo termine e, come diceva John Maynard Keynes (scusate, tocchiamo legno)… chi vivrà vedrà!

Stefano L. di Tommaso