Marzo 2015

CHI GUADAGNA E CHI NO CON LA RIPRESA

 

 

SOMMARIO:

1) IN SINTESI: Chi guadagna e chi no con la ripresa

2) SCENARIO MACRO: Benvenuti nell’era dell’inflazione negativa

3) FUNDAMENTALS E DINTORNI: La ripresa fragile

4) APPROFONDIMENTI: Chi deve guidare l’Unione Europea?

5) INFORMALIA: (Senza Parole)

 

1) IN SINTESI
Chi guadagna e chi perde con la ripresa


I temi del momento:
• Finalmente l’ombra di qualche Euro da BCE, ma solo alle banche, per comperare titoli di stato che non rendono più niente
• Le Borse continuano il loro galoppo ma è giustificato il loro ottimismo?
• La ripresa economica alla fine arriva, ma al netto del maggior deficit e delle maggiori tasse (insomma, accontentiamoci del fumo, che l’arrosto se lo pappa qualcun altro…)
• La Grecia continua a stare sugli scudi, mentre la “paura” di una rottura dell’Euro potrebbe far comodo alla Germania e dunque restare il vero obiettivo della vicenda
• La deflazione oramai è realtà: cosa ne consegue?
• La minaccia dell’oppressione tedesca. Chi deve guidare l’Unione Europea?

L’Euro andrà forse ancora più giù, lo spread anche, i tassi magari per un po’ resteranno sotto zero e la ripresa alla fine arriverà, si ma per noi italiani ciò avverrà al netto del deficit e delle maggiori tasse (in pratica).
In assenza di significative, sostanziali novità nel panorama nazionale, guardiamo allora cosa cambia e dove si indirizza il resto del mondo: innanzitutto in Europa, dove la Grecia nel suo braccio di ferro con la Germania sta rialzando la posta della partita a scacchi con Bruxelles. La MittelEuropa e tutta la sua coalizione di stati del nord, soprattutto la Francia, che aveva sperato di essere l’unico Stato dell’Unione a tenere in scacco la Merkel, trema all’idea di un confronto ancor più aspro, che per questo motivo probabilmente alla fine non arriverà.
Varoufakis infatti, con le sue credibili minacce di spaccare l’Euro, sta lasciando in secondo piano un Hollande che oramai fatica a nascondere il suo gigantesco (ed inutile) deficit pubblico dietro la foglia di fico dell’essere l’unico vero alleato di Berlino.
Insomma l’ Eurogruppo pretende rigore dagli staterelli periferici ma fa finta di non vedere quello che accade in Francia.

L’Italia a questo punto si spacca ancora di più:
1. le città del Nord provano ad agganciare lo zefiro di ripresa, mentre quelle del Sud lamentano i minori trasferimenti ma non cambiano impostazione. Il problema sarà presto evidente
2. La Finanza corre, l’Industria riprende a macinare, il Commercio langue (salvo poche eccellenti eccezioni): anche in questo il Paese si divide
3. La Politica con il consolidamento di Renzi si compiace e si ricompatta contro un Berlusconi che non c’è più (per adesso), mentre la Gente della strada è sempre più “stretta” tra timori di fondo, scarsità di denaro e minore erogazione dei servizi pubblici, quali sanità e pensioni.

Insomma, lo scenario si biforca e si radicalizza: chi stava bene stavolta starà forse ancor meglio, perché con la riforma arriva una primavera dell’economia che qualche beneficio lo potrà apportare, all’industria come anche al prezzo degli immobili a reddito (che in proporzione ai rendimenti negativi sarà ancor più alto).
Ci saranno vantaggi per quelle imprese che potranno accedere al mercato dei capitali, che probabilmente si irrobustirà.
Ci saranno profitti per chi compra materia prima o energia, perché potrà trattenere un miglior margine sulle vendite (a partire dalle compagnie aeree).
Le utilities e le banche guadagneranno di più, mentre le compagnie assicurative potranno contare su redditi sempre minori per pagare le rendite vitalizie e rischiano l’insolvenza.
I gestori di patrimoni racconteranno ai loro assistiti sempre più palle, in attesa dell’indulgenza generale che sarà amministrata dal prossimo scrollone delle Borse che, immancabilmente, prima o poi arriva.

Perciò alle parole “cauto ottimismo” che sento girare sempre con maggior insistenza si oppone la cruda realtà dei numeri da ottovolante degl’indici di Borsa (soprattutto quella americana): mai stati così alti, e così a rischio. Io per questo motivo le sostituirei con “ottima cautela”, sui mercati, che non si traduce in “passate in fretta al reddito fisso” solo perché quest’ultimo ha praticamente tirato le cuoia, lasciando al suo posto interessanti comparti azionari per “cassettisti” che potranno tornare in grande spolvero dal momento che la generazione di solidi flussi di cassa (e di dividendi) resta l’unica sponda tranquilla per la sempre più numerosa popolazione anziana del pianeta, che i suoi risparmi dovrà pur piazzare da qualche parte.

Per lo stesso motivo dovrebbero continuare a per formare bene le banche italiane, sempre meno esposte oramai alle grandi insolvenze del passato, ma con una volatilità molto più alta, dovuta al fatto che sono piene zeppe di titoli di stato, la cui sorte è tutta da chiarire.

Negli stessi giorni di angoscia e speranza per l’evoluzione del nostro Paese appaiono sulla stampa notizie relative a due opposte icone della moda italiane: Borsalino, azienda famigliare che si appresta a portare i libri in a Tribunale e Moncler, azienda manageriale che invece infila l’ennesimo rialzo borsistico dopo la notizia che le sue vendite globali sono attese in crescita di un ulteriore 20% quest’anno. Due modi opposti di approcciare al business più antico del mondo: il tessile-abbigliamento.
Questa è forse la sintesi estrema di quel che è oggi e potrebbe essere domani per la maggior parte delle imprese italiane!

Quali sono allora i “fattori di successo”per le imprese che vogliono cavalcare la primavera italiana? In ordine logico:
• Idee / Prodotti / Competenze
• Distribuzione / Organizzazione / Controllo di Gestione
• Capitali e Finanza per lo sviluppo globale.

Nient’altro (di rilevante) se non le idee chiare su come agire.
E nessuna distrazione dagli obiettivi!

 

(In dettaglio)

2a) LO SCENARIO MACRO
Benvenuti nell’era dell’inflazione negativa

 

 

Per anni ci siamo sentiti dire che l’inflazione ci rendeva più poveri con il nostro denaro, che svantaggiava i vecchi e disabili, le pensioni e le fondazioni filantropiche, che occultava la verità e favoriva solo i commercianti. Per anni la lotta all’inflazione dei prezzi è stata una bandiera per le banche centrali e il Vangelo di tutte le demagogie.

Se dietro quegli slogan c’era del losco ma anche della sacrosanta verità, allora oggi dovremmo (erroneamente) presumere che il mondo capovolto dei tassi negativi possa dare più che una sola mano ai deboli, agli anziani ai produttori, ai lavoratori e ai risparmiatori!

Ebbene sì! ne dovremmo teoricamente gioire ma la cosa rischia di favorire solo i benestanti e poi oggi, per mille e un motivo, l’attenzione della gente è rivolta altrove: alla disoccupazione, ai tagli del welfare che significano mancanza di sicurezze per i giovani, per le cure mediche, per i servizi sociali e per la sicurezza pubblica.
Purtroppo infatti l’era dell’inflazione negativa, che abbassa il costo dei fattori di produzione e quello dei beni di prima necessità, arriva nel momento meno opportuno per essere festeggiata, nel momento dei grandi sconvolgimenti epocali, ivi incluse le guerre, il terrorismo, i timori sul clima globale e sulle grandi pandemie.

Le minacce sono reali, non è solo propaganda. Ma in questa nota mi piacerebbe anche ricordare che siamo entrati -senza accorgercene del tutto- (anche perché la nostra principale fonte di informazione sono i “media” che ci propinano ogni giorno solo slogan a comando) nell’era dei prezzi bassi e della (auspicabile) ripresa economica.

Non è tanto diverso da quel periodo di limbo di settant’anni fa (nel 1945) che è stato l’immediato dopoguerra: la gente faceva (a ragione) fatica a credere che tutto era finito, che poteva arriva un periodo migliore, anche perché era ancora intenta a elaborare i lutti subiti e altresì preoccupata di riuscire a mettere sotto i denti il pane quotidiano!
Eppure un lungo periodo di sciagure era finalmente alle spalle e i più intraprendenti tra i nostri concittadini sanno cosa ha significato il darsi da fare i quei giorni: vere e proprie fortune sono state create dal nulla.
Molti oggi ripensano a quel periodo come ad un momento magico in cui tutto era possibile, mentre fanno più fatica ad accettare che potremmo (con un po’ di fortuna) trovarci di nuovo in una situazione del genere.

Per essere più precisi: la storia non si ripete mai esattamente. Un milione di variabili devono poter confermare lo scenario che mi azzardo ad auspicare. Inoltre senza il noto “Piano Marshall” per l’Italia e il condono dei debiti di guerra per la Germania chissà quando saremmo usciti dalle macerie della guerra!
Però già oggi comprare uno stuzzicadenti, un elettrodomestico, un attrezzo o un pezzo di pane costa meno che negli “anni buoni”. E se l’andamento del mercato del lavoro togliesse alle famiglie l’angoscia quotidiana del futuro delle nuove generazioni e la macchina statale riprendesse a marciare potremmo allora davvero dire che è arrivata una stagione di grandi opportunità, soltanto per chi saprà coglierle però!

 

3) FUNDAMENTALS & DINTORNI

La ripresa fragile

Negli ultimi mesi si sono accumulate molte ottime notizie sul fronte della ripresa economica dell’Occidente, a cominciare da dove essa ha già stabilmente preso piede: gli USA.

Lì la disoccupazione è scesa ai minimi storici (5,7%), il P.I.L. è cresciuto del 2,2% nell’ultimo trimestre 2014 e l’energia costa il 19% in meno su base annuale al consumatore medio (mentre a casa nostra il ribasso di benzina, gasolio e gas è molto inferiore, anche a causa della svalutazione dell’Euro).

Le notizie economiche sono ottime soprattutto se si guarda alle prospettive di crescita del Prodotto Interno Lordo, lo sono assai meno se si prendono in considerazione altre variabili.
Si sa però che non si può pretendere troppo e allora contentiamoci di sperare (per ora non si può di più) che anche in Europa e persino in Italia il pendolo torni a oscillare dalla parte opposta degli ultimi cinque anni, consentendoci di riprendere fiato.

A casa nostra la vera differenza la fa la disoccupazione, salita invece ai massimi storici a fine 2014 e, sebbene sia finalmente tornata in probabile tendenziale discesa, sarà difficile che possa migliorare così tanto da posizionarsi a quei livelli strutturali assoluti che ci si potrebbe attendere in un Paese civile (5% circa).
Molti motivi ostano in Italia a tale obiettivo, prime fra tutte sono le rigidità strutturali dei fattori economici di produzione. Non soltanto la rigidità dei prodotti e dei servizi, la forte emarginazione giovanile, la rigidità del mercato del lavoro, la scarsa alfabetizzazione digitale, la limitata conoscenza delle lingue straniere, ma soprattutto la rigidità strutturale della spesa pubblica, dell’imposizione fiscale e la ridotta affidabilità della previdenza sociale.

Insomma nonostante la congiuntura economica volga al bello ancora oggi le tasse, i timori per il futuro e lo scarso ricambio generazionale limitano moltissimo le possibilità che l’Italia veda una ripresa forte e duratura.

Tornando al resto del mondo però la primavera economica non porta con sè solo rose e fiori, bensì anche un terribile cancro endemico da non sottovalutare: la deflazione, insieme con il suo mondo rovesciato dei tassi d’interesse negativi.
Da quando l’intervento temerario dei banchieri centrali di tutte le maggiori economie ha sventato il pericolo di una grande depressione economica globale, nessuno è più in grado affermare con consapevolezza su quali territori inesplorati si sta muovendo l’economia. Fioriscono teorie e previsioni, ma mancano certezze e precedenti a documentare lo stato delle cose.
È come se avessimo passato le colonne d’Ercole e ci trovassimo irrigiditi al cospetto di un bel mondo incantato, incapaci di coglierne i veri pericoli e le reali prospettive.

La deflazione è un fattore che non soltanto rischia di rovinare presto la festa ma è probabilmente un sintomo del grande male oscuro che affligge la nostra opulenta (nonostante tutto) società moderna: l’assenza di prospettive e ideali, la mancanza di elementi tangibili che possano restituire fiducia nel futuro e nel progresso. Non per niente essa si accompagna a crescenti timori sulla stabilità politica globale e sulla sostenibilità dello sviluppo economico così come oggi è concepito, a causa dei possibili cataclismi che esso può generare a livello ambientale.

Per questi motivi il mondo accoglie a mezza bocca la ripresa economica in corso. Per questi motivi i giovani si indirizzano spesso verso percorsi professionali e accademici alternativi, per questi motivi la crescita economica è più forte laddove la natalità è maggiore (in Oriente), è più palpabile dove la società civile è più fluida (l’America), ed è più incerta dove le rigidità prevalgono e l’immigrazione dai paesi poveri è fuori controllo (l’Europa).

Per questi motivi la ripresa è fragile.

 

4) APPROFONDIMENTI
Chi deve guidare l’Unione Europea?

 

 

Quella domanda -di sempre- si è posta con maggiore intensità da quando è scoppiata la querelle Europa/Grecia.

Di fronte alla pretesa greca di non ripagare più il debito pubblico, chi si è scagliato di più contro le richieste di Syriza (il partito che ha vinto le ultime elezioni)?
I tedeschi! Guarda caso. Di gran lunga la prima economia dell’Unione (con il 29% del P.I.L.) ma soprattutto di gran lunga il primo creditore della Grecia (e perciò assolutamente di parte nel giudicare se la ricetta somministratale dalla Troika in cambio degli “aiuti” era quella giusta).

Per chi non fosse intimo del gergo economico: Troika non è soltanto un termine vagamente evocativo di virtù “coniugali”, bensì anche la l’indicazione congiunta di: a) Fondo Monetario Internazionale, b) Banca Centrale Europea, c) Commissione Europea (istituzioni spesso congiuntamente impegnate in impronunziabili reciproche perversioni…).

Chi ha sostenuto il confronto più aspro è dunque allo stesso tempo il principale detentore di interesse alle sorti del debito pubblico greco e il principale ispiratore delle politiche comunitarie. Perdipiù la “mannaia” tedesca e la voce -ahimè- più autorevole del consesso europeo è spesso impersonata da quel simpaticone di Shaeuble, la cui sola pronuncia del nome (“scioible”) scatena talvolta immediati ed osceni istinti primordiali e il cui sguardo fisso e allucinato evoca nei più anziani dei terribili ricordi di persecuzioni marziali. Ricordi che sembravano sopiti per sempre!

Eh sì, la Germania sta mostrando a tutti quel volto terribile che pensavamo di aver dimenticato: quell’ossessione al perseguimento di principi superiori che la fa sentire autorizzata a dare voti e dettare legge a tutti gli altri, quella sensazione che dietro ogni regola di cui essa invoca il rispetto vi sia sempre un sordido ed inconfessabile interesse pratico!
E per questo motivo la Germania oggi si trova nella posizione bipolare di essere il più importante membro della Comunità Europea e allo stesso tempo il più scomodo, il meno riconosciuto dagli altri per autorevolezza e affidabilità.
Un bel macigno per il futuro dell’Unione!

Certo però nessuna Unione resta tale quando manca una leadership o la medesima non viene accettata e riconosciuta. Certo non ha giovato sino ad oggi quel governicchio a rotazione di sei mesi tra i membri della Comunità, quel manuale Cencelli utilizzato per attribuire ruoli e cariche ai vari trombati della politica che ne affollano le sale ministeriali.
Certo non si può pensare che un’organizzazione di venti stati sovrani possa battere propria moneta o perseguire la progressiva unificazione politica e fiscale quando tra i governanti non c’è alcun interesse a rinunciare alla propria sovranità e tra i popoli non esiste alcuna fratellanza!
Eppure oggi è così: non c’è comunanza di intenti e di conseguenza negli altri Paesi europei noi cittadini dell’Unione troviamo solo dei rivali in affari e nella definizione delle regole del gioco!!!
Solo giochi di potere e la scomoda sensazione di una trama tessuta da altri per imbrigliarci e privarci della sovranità democratica.
Questo è ciò che hanno inteso esprimere i Greci con il loro voto.

E allora non sarebbe meglio -per una volta- fare con l’Europa l’opposto di quel che disse Cavour in punto di morte? “abbiamo fatto l’Italia, adesso dobbiamo fare gli Italiani”. Centosessanta anni dopo non ci è ancora riuscito.
Magari con l’Europa cominciamo dai cittadini. Se funzionerà saranno loro (quelli del domani, ovviamente) che eleggeranno i politici che li rappresentano. Se non funzionerà saremo forse poveri e indifesi, ma almeno liberi e autonomi nelle nostre scelte!

 

5) TRA SERIO E FACETO:

 

 

 

Con simpatia e fiducia

Stefano L. di Tommaso