Quell’improbabile rivoluzione copernicana

SOMMARIO:

  1. IN SINTESI:
    • La Grecia Preoccupa, Ma Non Troppo;
    • L’inflazione si rivede, la ripresa no;
    • L’apparente agitazione di Borse, tassi e valute
  2. MERCATI E POLITICA: Quell’Improbabile Rivoluzione Copernicana
  3. GRECIA E DINTORNI: Time Out ?
  4. SCENARI GLOBALI: Se l’Economia Americana Torna a Crescere
  5. APPROFONDIMENTI: Matteo Renzi alla Prova dei Fatti

1. IN SINTESI:

LA GRECIA PREOCCUPA, MA NON TROPPO

Dopo tutto il teatrino di scontri e incontri tra i vari leader europei e degli organismi internazionali a proposito del debito pubblico greco, oramai sicuramente fuori controllo, e del panico generalizzato che una bancarotta di Stato poteva comportare, quasi per un miracolo negli ultimi giorni gli operatori finanziari di tutto il mondo si sono tranquillizzati, dal momento che sembra essere emersa una prevalente volontà politica, proprio da parte della Germania, a trovare a tutti i costi una soluzione di compromesso. Ancora una volta i mercati hanno festeggiato senza conoscere l’esito della telenovela, ma quel che conta davvero è che nessuno più si aspetta il putiferio. Perciò negli ultimi giorni l’Euro ha ripreso quota (principalmente sulla debolezza del Dollaro) e le Borse non sono crollate, mentre i tassi di interesse europei restano rigidamente congelati.

L’INFLAZIONE SI RIVEDE, LA RIPRESA STENTA

La vera spina nel fianco dei banchieri centrali di tutto il mondo è che “tanto tuonò che piovve”: fuor di metafora sembra che l’America stia facendo da locomotiva soprattutto al rialzo dei tassi, che i mercati, in ossequio alla “forward guidance” di Janet Yellen & C. incominciano a tramutare in realtà. Peccato che nel frattempo le notizie sembrino peggiorate è che dunque alla Federal Reserve nessuno abbia più fretta di riportarli all’insù per tamponare quel potenziale surriscaldamento dell’economia che però (per ora) non c’è più. La “guidance” insomma se la sono ripresa gli operatori finanziari, che stanno iniziando a vendere titoli a reddito fisso a lungo termine e così facendo ne stanno facendo innalzare i rendimenti. Lo smacco clamoroso non è probabile che degeneri in una smentita plateale della banca centrale americana, anche perché c’è chi si aspetta notizie positive dal secondo trimestre dell’anno, cosa che riporterebbe tutti sul tracciato originale di attesa per un rialzo dei tassi di interesse. Che però non sarà tanto marcato (anche perché ciò riporterebbe i debiti pubblici di tutto il mondo sul territorio dell’insostenibilità) e nemmeno arriverà tanto presto. Ragione per cui l’attesa di un crollo di Wall Street è rimandata, sostituita da tante belle montagne russe, che ci si aspetta diventino progressivamente sempre più impegnative!
C’è anche un altro grande motivo per attendersi comunque alla fine dell’anno una risalita dei tassi: la (quasi) piena occupazione americana e l’euforia derivante dalla grande liquidità finanziaria che va in giro per il mondo reale sta riportando l’inflazione verso il segno positivo. Nessuno si aspetta che ciò duri molto a lungo ma, come diceva Keynes, nel lungo periodo chi vivrà vedrà. Oggi perciò sarebbe quantomeno imbarazzante per i banchieri centrali tenere i tassi a zero mentre l’inflazione si riporta verso i valori che i medesimi auspicavano solo pochi mesi fa (2%).

L’APPARENTE AGITAZIONE DI BORSE, TASSI E VALUTE

Tutti gli elementi sopra descritti sembrano schegge impazzite di mercati, operatori e aspettative oramai fuori controllo, dopo le innumerevoli sorprese che il 2015 sembra volerci regalare. Invece l’apparenza stavolta potrebbe ingannare ed esserci molta uniformità nel quadro d’insieme che piano piano si sta componendo nel corso dell’anno.
Ma come le tessere di un mosaico possono essere osservate solo da una certa distanza per poterne cogliere la figura rappresentata, come le singole note di un’opera di Wagner rischiano di apparire incomprensibili se non si tiene conto della lunghezza del movimento musicale cui appartengono, così questa volta potremmo sentirci smarriti solo per l’assurda pretesa di interpretare un ampio movimento dei mercati osservandone solo alcuni dettagli e ristretti lassi temporali.
Il quadro che va componendosi, guerre e cataclismi permettendo, sembra invece quello di una profonda stasi dei mercati, opulenta ma inesorabile. Una dorata stagnazione secolare insomma che, al di là di limitati scossoni derivanti da una dinamica dei macro-eventi economici che potremmo paragonare alla tettonica a placche (per il fatto che ogni regione del mondo si muove con velocità separate e con aggiustamenti talvolta traumatici), non può prescindere mai dagli accadimenti che riguardano ciascuna regione dell’ economia globale, la quale si avvia verso una relativa stabilizzazione proprio per il fatto che i singoli mercati e i singoli territori risultano essere sempre più interconnessi tra loro.

2. I MERCATI E POLITICA

QUELL’IMPROBABILE RIVOLUZIONE COPERNICANA

La situazione economica nazionale, europea ed internazionale appare in questo momento storico quantomeno ambigua e perciò difficile da decifrare, con tendenze positive e negative che si sovrappongono e, in parte, si confondono.

Vediamo perché:

1. Siamo ancora invischiati con i postumi di una grande recessione che ha mutato molti assetti geo-politici, economici e finanziari. Essa è partita nel 2008 (in Europa nel 2009) ed è durata ben più di molte altre. Anzi, in Italia forse ne stiamo uscendo solo ora.
2. Il fatto che il mondo tenti di tornare a respirare comporta pertanto uno slancio positivo che ha fatto registrare già da ben più di un anno una (seppur timida ed incerta) ripresa economica nelle economie più dinamiche (USA, UK, Germania e Giappone) e che oggi dovrebbe determinare un rimbalzo anche nei Paesi periferici dell’Unione Europea;
3. La grande recessione ha cambiato alcuni paradigmi globali, marcando la progressiva differenziazione della crescita tra Oriente e Occidente (generando un flusso costante di capitali e di cervelli a favore del primo), nonché un distacco sempre più importante tra economia “reale” ed economia “finanziaria” (le Borse hanno registrato alcuni anni di impetuosa crescita nonostante la ripresa faticasse a spiccare il volo), anche a causa della grande liquidità immessa in circolo dalle Banche Centrali di tutto il mondo.
4. La progressiva crescita del peso della finanza in relazione all’economia reale ha favorito la concentrazione della ricchezza, la crescita della dimensione delle imprese, la loro globalizzazione e, più limitatamente, l’interscambio economico internazionale. Questo fattore, insieme ad una serie di svalutazioni competitive delle principali divise di cambio nel mondo (svalutazioni conseguenti alle diverse tempistiche delle manovre di espansione della base monetaria) ha contribuito a creare ciò che qualcuno ha chiamato “la guerra delle valute” con una conseguente accresciuta volatilità dei mercati finanziari e, recentemente, del mercato dell’energia, con violenti scossoni soprattutto in quest’ultimo.
5. L’Unione Europea ha infine giocato la sua parte nel novero delle notizie non esaltanti per gli andamenti globali, evidenziando sempre più una doppia velocità economica all’interno dei suoi confini e una forte resistenza dei Paesi più virtuosi dal punto di vista fiscale a farsi carico dei numerosi problemi che ne affliggono la periferia. I timori per una futura disgregazione dell’Unione sono divenuti pertanto un fattore di impatto nello scenario economico globale, riducendo la forza e l’influenza politica che l’Europa potrebbe avere sugli equilibri internazionali.

Le politiche fiscali e monetarie perseguite sino ad oggi per cercare di pilotare le maggiori economie mondiali fuori dalla crisi hanno tuttavia contribuito ad una lunga serie di effetti non desiderati, quali ad esempio:

a) la crescita a dismisura dei debiti pubblici di tutto il mondo;
b) il crollo verso e oltre lo zero dei tassi di interesse a seguito delle grandi manovre di espansione della base monetaria che hanno allargato anche l’indebitamento finanziario complessivo globale;
c) la conseguente ondata deflazionistica che ne è derivata più o meno ovunque, che tutti si chiedono se durerà a lungo e se potrà ostacolare decisamente il ritorno alla crescita economica che si era registrata negli ultimi decenni;
d) il progressivo rimpatrio dei capitali dai Paesi Emergenti a quelli di provenienza, con la riduzione degli investimenti nei primi;
e) la conseguenza dell’accentuazione delle tensioni geo-politiche globali, fino al ritorno di un clima da quasi “guerra fredda” sotto l’egida del primo Presidente degli Stati Uniti ad aver ricevuto un premio Nobel per la pace!

Questi fatti corrispondono a veri e propri sconvolgimenti epocali che probabilmente esplicheranno i loro effetti ancora per molti anni e che possono determinare delle correnti telluriche che agiscono in profondità, non sempre facili da individuare e predire.

Nonostante le incertezze evidenziate possiamo ugualmente provare a registrare alcune interessanti evoluzioni:

• Una tendenza alla risalita dei tassi di inflazione e quindi anche dei tassi di interesse, tutta da chiarire quanto a portata, velocità e tempistica nelle diverse regioni del mondo;
• L’accresciuta volatilità e fors’anche instabilità di fondo dei mercati valutari e finanziari di tutto il mondo, cosa che lascia preoccupazioni relative a nuovi possibili shock dei mercati borsistici internazionali e che non lascia molto spazio all’ottimismo in Borsa;
• Una relativa vischiosità della ripresa economica e manifatturiera globale con tutto ciò che ne discende: un regime più limitato di investimenti tecnologici e produttivi e una limitata crescita dei consumi a causa della mancata espansione del reddito disponibile per le fasce più basse della popolazione, fattore a sua volta collegato con la disoccupazione, che ne trae nuovi spunti e nuove forme (ivi compreso il decremento del numero totale di occupati nel mondo);
• Anche in funzione di quanto sopra esiste in campo petrolifero ed energetico in generale un eccesso di offerta rispetto alla domanda, dove la seconda cresce meno velocemente della prima. La cosa fa sperare pertanto che non sarà facile nè probabile rivedere un ritorno stabile ai prezzi energetici degli ultimi anni;
• Un deciso scostamento tra le tendenze economiche di breve periodo (che potrebbero essere mediamente positive) e quelle di medio-lungo termine, sulle quali incombono ulteriori perplessità generali e un peso eccezionale dell’indebitamento complessivo (pubblico più privato).

In tutto ciò il nostro Paese si colloca come una delle ultime ruote del carro europeo, ma questo fatto potrebbe tramutarsi in un vantaggio: il ritardo accumulato dall’Italia nel sentiero della ripresa economica potrebbe farci vivere per qualche mese un momento migliore di chi la ripresa l’ha già avuta. Anche il necessario allineamento dei principali settori industriali nazionali alle tendenze generali del resto del mondo, con il possibile miglioramento della produttività che esso comporterà, potrebbe aiutare a creare nuovi posti di lavoro.
Anche dal punto di vista dell’afflusso di capitali verso i nostri lidi potrebbe finalmente arrivare qualche bella sorpresa, cosa che contribuirebbe non poco a farci rivedere segnali positivi nei consumi di beni durevoli e negli investimenti industriali. È importante tuttavia sottolineare che quanto sopra rischia di essere vero soltanto nel breve termine.

Nel medio termine infatti non possiamo non tenere conto anche delle preoccupazioni generali che derivano dalla continua crescita del debito pubblico, soprattutto per i parallelismi che in molti potrebbero fare con la patologia della vicina Grecia e con la possibilità che ciò determini un’ulteriore debolezza del nostro mercato dei capitali.
Paradossalmente, la dimensione assoluta del nostro debito non genera soverchie preoccupazioni se paragonata all’enorme massa di risparmio finanziario accumulato dagl’Italiani. Ma quel che lascia poco tranquilli è la tendenza della politica “de’ noantri” a non far nulla per evitarne la patologia.

Questo fattore, insieme allo spiazzamento dell’economia privata che l’eccesso di tassazione determina oramai da molti anni e alla progressiva discesa del comparto manifatturiero sul totale del Prodotto Interno Lordo, costituisce un freno deciso al ritorno dell’Italia a prospettive davvero migliori anche nel medio termine, almeno sintantoché la politica del nostro Paese non riuscirà ad operare delle serie riforme, degli importanti tagli di spesa improduttiva e nuovi investimenti infrastrutturali. Come dire: sintantoché la politica italiana non intraprenda una tanto improbabile quanto necessaria rivoluzione copernicana!

3. GRECIA e DINTORNI

TIME OUT ?

GRECIA, GIUGNO 2015

Questa volta per i mercati finanziari lo spauracchio c’è davvero! Se fino ad oggi ogni spavalderia era lecita a proposito del tira-e-molla di Varoufakis l’americano, il quale avrebbe padroneggiato meglio dei suoi interlocutori della Troika la “teoria dei giochi non cooperativi” di Nash, oggi la situazione è seriamente cambiata e il tempo a disposizione del governo di Tsipras sembra essersi ristretto.

PERCHÉ?

Ciò è dovuto all’aver saltato quella scadenza del 5 Giugno per la prima rata del rimborso da €1,5 miliardi dovuto da Atene al Fondo Monetario Internazionale e, soprattutto, all’ancor più pericolosa (e inconcludente) dichiarazione di Christine Lagarde, suo Presidente, di volersi ritirare dai dialoghi con Tsipras, pochi giorni orsono.
Quest’ultima annunciandolo ha di fatto lasciato l’intera patata bollente nelle mani della Banca Centrale Europea, che non potrà fare nulla senza il supporto della Comunità Europea, se non ritirare il proprio già eccezionale supporto alle banche greche che rappresentano il punto debole dell’intera vicenda.

LE CONSEGUENZE POTENZIALI:

Già, perché dopo la data del 5 Giugno e senza che qualche miracolo geo-politico avvenga nel frattempo, lo Stato Greco avrebbe potuto dichiarare una moratoria unilaterale. Quel che sta succedendo è che i creditori europei sono rimasti ad aspettare ma per fortuna il dialogo è proseguito proprio con il più intransigente tra gli interlocutori, quella Germania della Merkel e di Shäuble che sembrava il più tenace oppositore alle istanze di Syriza. Senza di ciò la BCE non avrebbe potuto che prendere atto del definitivo deterioramento della situazione debitoria greca e, senza proseguire il continuo rifinanziamento alle banche greche, queste ultime avrebbero subito un immediata corsa agli sportelli, esattamente come successe a Wall Street in quell’Ottobre del 1929, con tutto quel che ne può conseguire a livello di panico dei mercati finanziari e di definitiva frattura dell’unione monetaria.
La storia recente ci ha tuttavia così assuefatti al tira-e-molla di cui sopra che molti commentatori ed operatori finanziari internazionali hanno continuato in cuor loro a sperare nel miracolo…e hanno avuto ragione!

IL NERVOSISMO DEI MERCATI

Sono ancora in molti a temere che un tremendo risiko internazionale possa prendere spunto dalla dichiarazione di insolvenza di Atene per finire con il contagiare negativamente sui mercati anche il merito di credito di tutti gli altri grandi debitori dell’Unione Europea, con un’esplosione non controllabile di panico e con il ritorno ad una grande crisi di credibilità della moneta unica e della stessa manovra di Quantitative Easing della BCE.
Il nervosismo dei mercati è stato dovuto principalmente a questo, nonostante numerose buone notizie che sono provenute nello stesso periodo dai dati macro-economici europei. Ma forse la trepida e timorosa attesa dei mercati non è dispiaciuta alle autorità monetarie di tutto il mondo, preoccupate dell’eccesso di ottimismo ma contemporaneamente anche impossibilitate ad alzare subito i tassi di interesse.

TUTTAVIA…

La situazione è grave, ma non è seria (per continuare le citazioni di uno dei più grandi interpreti dello spirito mediterraneo: Ennio Flaiano).

Nessuno ha creduto davvero infatti che il 5 Giugno arrivasse il putiferio. Tutti sapevano che come minimo c’è tempo fino a fine mese per la Grecia, così come c’è forse ancora più tempo perché il resto del mondo possa prendere atto della situazione di sostanziale insolvenza (peraltro nota da anni e in questo non molto diversa da quella italica).
Il problema insomma sembra veramente tutto politico: come fare per uscire da uno stallo che si è determinato a seguito dei “musi duri” fatti dai Greci, ricambiati da altrettanta durezza di Francesi e Tedeschi? Gli unici che sono a ieri hanno dichiarato apertamente la loro volontà di uscire davvero sono stati gli Americani, dal momento che la situazione potrebbe trasformarsi in una loro bella sconfitta geo-politica, mutando l’Egeo in un meraviglioso avamposto del nuovo asse Russo-Cinese, proprio in mezzo ad un Mediterraneo che gli U.S.A. hanno fatto di tutto per “normalizzare”. Da qualche giorno si sono accodati i Tedeschi.

LA SOLUZIONE

Sarò un po’ cinico, ma secondo me la conclusione non sarà neanch’essa tanto diversa da quella di fatto adottata per l’Italia e la Spagna. Sarà solo un po’ meno facile, un po’ più dolorosa, e un po’ meno immediata. Essa consisterà con grande probabilità, appunto, nella mediazione tra le esigenze di omologazione dell’economia greca al resto dell’U.E. e quelle di alimentazione del suo sistema bancario, vicino al collasso.
Sotto il profilo politico consisterà nel mettere a punto le modalità attraverso le quali questo Governo (che intendeva esprimere la “pancia” della Grecia e la sua storica rivalità con la Germania) possa progressivamente tornare a più miti consigli trovando una mediazione negli organismi internazionali. Un punto d’appoggio davanti al baratro che si prospetta per la nazione, rinunciando ovviamente in cambio a un altro po’ di sovranità, di libertà di manovra, di controllo dell’economia. “Money buys everything”! dicono gli Inglesi, che se ne intendono.

MORALE (SE MAI CE NE FOSSE UNA)

La previsione è che alla fine gli aiuti arriveranno, come pure arriverà però il crepuscolo politico di Syriza, magari ben camuffato e magari dopo una bella quarantena nella quale le riforme saranno fatte passare alla chetichella. Il contrario di quel che si riproponeva il movimento: cambiare l’Europa, ma tant’è…
I padroni del mondo infatti non scherzano mai, ma non vogliono rinunciare al loro ruolo egemone per questioni di principio. Non certo per una manciata di miliardi!
In fondo, la Grecia è piccola e comprarsela costa ancora abbastanza poco.

4) SCENARI GLOBALI:

SE L’ECONOMIA AMERICANA TORNA A CRESCERE

Nonostante il fatto che la crescita del Prodotto Interno Lordo negli U.S.A.abbia registrato uno stop nel primo trimestre 2015, la presidentessa della Federal Reserve resta ottimista sulla possibilità che la ripresa economica continui oltreoceano per almeno un biennio, a ritmi non inferiori al 2% annuo.

I motivi dello stop vanno perciò cercati, secondo la medesima Janet Yellen, solamente in fattori congiunturali come il gran freddo dello scorso inverno (che peraltro segue quello, ancor più freddo, dell’anno precedente) e la caduta verticale del prezzo dell’energia, che a sua volta ha provocato una riduzione degli investimenti nelle nuove tecnologie di estrazione di gas e petrolio (mentre sino ad oggi tale discesa ha regalato ben pochi spunti alla crescita dei consumi, se escludiamo il comparto manifatturiero dell’automobile).
Resta da escludersi perciò, secondo la FED, che la ripresa economica -iniziata timidamente e poco continuativamente già ben più di un anno fa- non riesca a proseguire la sua strada, nonostante dei fattori congiunturali l’abbiano ancora una volta ostacolata.
Ne conseguirebbe una buona notizia per il mondo intero e soprattutto per l’Europa, che attendeva il traino dell’economia americana per migliorare la propria, sebbene il resto del mondo economico, soprattutto a Oriente, continui la propria corsa al rialzo, contribuendo a far sì che gli starnuti della prima economia del mondo -quella americana- contino sempre meno sugli equilibri globali, anno dopo anno.

D’altronde l’andamento economico è sempre stato innanzitutto determinato dalla crescita demografica (che c’è in America e ancor più in Oriente, mentre è negativa in Europa) nonché dal traino degli investimenti produttivi e tecnologici, crollati soprattutto dalle nostre parti.
Due fattori che non soltanto abbondano in Asia, ma che addirittura registrano l’ulteriore tendenza ad essere dirottati verso Oriente dal mondo occidentale, che vede flussi migratori costanti di cervelli e capitali verso la Cina, la Corea, l’Indonesia e, in generale, tutta l’area del “Pacific Rim”, Giappone compreso.

Tuttavia, se le previsioni della FED sono corrette, i tassi di interesse americani verso fine anno non potranno che essere guidati al rialzo, non solo perché sono stati troppo bassi troppo a lungo, ma anche per evitare un surriscaldamento dell’economia americana.
Su questo argomento è da tempo guerra delle statistiche: c’è chi afferma che non è affatto vero che il reddito disponibile del cittadino medio sia migliorato, e chi invece afferma che negli U.S.A. è salito di quattro punti percentuali in un anno.
È tuttavia in corso in tutto il mondo una polarizzazione della ricchezza nelle mani di pochi fortunati, come forse non esistono precedenti nella storia. Ma è anche vero che buona parte delle buone notizie negli ultimi anni sono arrivate quasi esclusivamente dai mercati finanziari, mentre si fatica a intravvedere, nell’economia reale, una ripresa della produttività, vista dai più come l’elemento essenziale affinché i salari medi possano tornare anch’essi a crescere.

Però i mercati finanziari potrebbero soffrire per una risalita dei tassi d’interesse pilotata dalla FED, cosa che non potrà che tornare a rafforzare il Dollaro contro l’Euro, mentre un’ulteriore svalutazione di quest’ultimo potrebbe rappresentare una buona notizia per le esportazioni europee, sempre che non significhi un rincaro della bolletta energetica, notoriamente espressa nella divisa verde. Solitamente infatti a una discesa dei corsi del petrolio si associa ad una rivalutazione del Dollaro e viceversa. Ma potrebbe non essere il caso stavolta, con i livelli di prezzo al barile così bassi come quelli visti negli ultimi mesi.
E se così fosse l’intera Europa ne soffrirebbe, invece di gioirne.

L’attuale congiuntura, fatta di tassi di interesse negativi o quasi azzerati è stata particolarmente utile infatti per dare tempo ai governi dei principali paesi occidentali di fare le riforme necessarie a far ritrovare vitalità alle proprie economie e a individuare il consenso politico necessario a tamponare i propri debiti pubblici dilaganti per esigenze di welfare. Il nostro Paese sarebbe il primo a non reggere bene gli effetti di una escalation dei tassi di interesse sul costo del servizio del debito pubblico.
Ne consegue che resta probabile che la divisa europea si svaluti ancora, ma anche che questo possa portare ulteriori tensioni nei rapporti interni all’Unione, che resta indubbiamente segnata dallo iato crescente tra due distinte velocità: quella del suo Nord e quella del suo Sud.
Sotto tale angolazione della visuale economica per noi europei “mediterranei” potrebbe quasi quasi essere auspicabile, ancora per un po’, una mezza stagnazione globale, o una bassa velocità della ripresa, mentre cerchiamo di trovare nuovi punti di equilibrio (politici ed economici).

Ma, come sappiamo bene, non siamo noi a decidere!

5. APPROFONDIMENTI :

IL GOVERNO DI MATTEO RENZI ALLA PROVA DEI FATTI

Un impietoso ritratto di un leader politico moderato ma sorpassato in curva dai populisti, riformista ma preso in contropiede dai suoi stessi alleati, teoricamente rottamatore delle elites del passato ma sino ad oggi a capo di un Governo che si è mostrato incapace di sfornare riforme che permettano all’economia quel cambio di rotta che oramai è urgente.

È questo l’affresco che emerge dai colpi di pennello di un autorevolissimo commentatore delle vicende italiane: l’ex direttore dell’Economist Bill Emmott, per le righe del Financial Times del primo di Giugno.

“Le statistiche indicano la ripresa, ma gli Italiani non se ne sono accorti” sentenzia Emmott, inesorabilmente, quando va a chiedersi per quale motivo le elezioni regionali appena tenute siano state una doccia fredda per uno dei politici italiani più brillanti e meglio accreditati nell’establishment occidentale.

Con un tasso di disoccupazione ancora bloccato al 13% (sebbene a fine Aprile si siano registrati 160mila posti di lavoro in più sui 12 mesi precedenti) e un differenziale di (de)crescita tra nord e sud in pericolosa espansione, sembrerebbe che la caduta del prezzo del petrolio e la svalutazione dell’Euro non abbiano portato sino ad oggi grande giovamento all’economia italiana, mentre le più importanti leggi varate per il tramite di questo Governo sono state il Jobs Act e la Legge Elettorale.

Tra i motivi principali della mancata ripresa: l’eccesso di burocrazia e di tassazione, la scarsità di credito disponibile, l’impotenza e la lungaggine della Giustizia nazionale. Tutti argomenti sui quali sino ad oggi di veri cambiamenti legislativi e regolamentari non se ne sono visti.

Ora per Renzi il tempo stringe: tutti, a partire dai suoi elettori sino alla Commissione Europea, si chiedono se davvero riuscirà a barattare l’elasticità di Bruxelles a proposito del rigore di bilancio (allo scopo di incrementare gli investimenti pubblici) con un ulteriore, importante pacchetto di riforme, utile a far registrare anche tra i partners europei quel consenso alle manovre strutturali che gli permetterà di fare tutto il possibile perché davvero riprenda quota quel reddito disponibile dell’Italiano medio che risulta fondamentale per far ripartire i consumi.

Stefano L. di Tommaso