Dove va il mondo nel 2016?

SOMMARIO:

  1. IN SINTESI
  2. LA CINA AFFOSSA LE BORSE E LIVELLA LE ASPETTATIVE 
  3. ASSET CLASS NEL 2016: CONVERGENZA E  SELETTIVITÀ
  4. I POSSIBILI CIGNI NERI DEL 2016
  5. BAIL IN
  6. RIVOLUZIONE DIGITALE

1. IN SINTESI

Ogni fine d’anno gli studiosi cercano di scrutare l’orizzonte per individuare ogni possibile tendenza che indichi loro imminenti catastrofi o trascurate cuccagne, anche allo scopo di farsi un’idea di dove va il mondo e rifletterla nelle strategie di mercato (fino a formare il cosiddetto “consensus” che deriva dalla condivisione delle loro idee prevalenti).

Quest’anno le preoccupazioni prevalenti riguardano i possibili sussulti dei livelli delle Borse Valori, la supposta debolezza dell’economia cinese e ancor più di quella brasiliana, la limitata sostenibilità del debito pubblico di molti Paesi tra i quali il nostro, l’eccessiva forza del Dollaro e quel che ne può conseguire in termini di inversione dei flussi di capitale che fino a tutto il 2014 avevano alimentato gli investimenti produttivi nei Paesi Emergenti e, di conseguenza, la globalizzazione economica.

L’andata di reflusso di quei capitali verso le valute più forti ha anzi avuto, a partire dalla metà del 2015, importanti fondamenti razionali nel timore di rimanere intrappolati in economie stagnanti caratterizzate da timori di default dei loro debiti pubblici e privati.

E pur tuttavia, come dimostra il rientro della crisi greca, quei timori che pure hanno contribuito alla crescente volatilità dei mercati finanziari, per buona parte si sono ad oggi rivelati infondati.
Anzi: se una certezza sembra accomunare quasi tutti gli operatori economici, essa riguarda l’attesa di una relativa tranquillità dei tassi di interesse e di conseguenza un minor pericolo di fiammate inflazionistiche come pure di deflazione galoppante.

Il sentimento comune è infatti quello di una relativa stasi dei tassi di interesse, nelle immediate vicinanze dello zero, persino nonostante le promesse della Federal Reserve, accompagnata da quella dei prezzi dell’energia come delle materie prime.

La forte offerta di queste ultime e la relativa debolezza delle valute dei Paesi che le esportano hanno infatti controbilanciato i timori di surriscaldamento dell’economia americana, e corroborato la ripresa dei consumi in buona parte dei Paesi più evoluti, senza tuttavia giungere ad alcun eccesso, bensì accompagnata da una riduzione della disoccupazione che non ha però rilanciato il livello dei salari.

La debolezza monetaria dei Paesi esportatori di materie prime e prodotti agricoli non ha, per converso, messo in ginocchio le loro economie, sebbene ne abbia determinato la percezione di maggior vulnerabilità.
Persino i sempre più importanti flussi migratori che spingono i lavoratori dei Paesi meno ricchi a cercare fortuna altrove, talvolta a qualsiasi costo, potrebbero rivelarsi un buon affare per tutti, dal momento che controbilanciano le differenze demografiche.

Il mondo sembra avviato insomma verso una relativa stabilità economica, sebbene i timori crescenti per le tensioni geopolitiche potrebbero in poche ore scompigliare tali aspettative e provocare ingenti difficoltà.
L’unico particolare è che su quel fronte è molto più difficile fare previsioni…

2. LA CINA AFFOSSA LE BORSE E LIVELLA LE ASPETTATIVE

Per il mercato cinese, i Paesi Emergenti in generale e anche per le Borse di tutto il mondo l’anno bisesto non poteva iniziare peggio.
Non solo gli scivoloni delle borse cinesi hanno seminato il panico un po’ dappertutto, ma la mal preparata reazione delle autorità cinesi ha fatto il resto: il risultato è che i capitali tornano a fuggire dal celeste impero del partito comunista a causa del timore di rimanervi intrappolati dentro e il renminbi si svaluta più che di conseguenza, allungando la sua ombra sul pericolo di nuove svalutazioni competitive di altri Paesi Emergenti e aumentando il pericolo di allargamento della deflazione al resto del pianeta.

Ma sopra ogni altro pericolo c’è quello della caduta delle aspettative di crescita economica mondiale, che era per quest’anno in buona parte basata sulla crescita dell’area asiatica (l’unica altra zona del mondo, oltre l’Europa e gli Stati Uniti d’America che riportava in alto le aspettative).

Le aspettative di crescita economica globale sono maledettamente importanti per supportare la fiducia dei principali operatori economici internazionali: sulla base di esse si muovono la ricerca scientifica e gli investimenti produttivi di tutto il mondo.
Uno scenario fortemente deflazionistico a causa dell’eccessiva offerta di beni e servizi nel mondo (non più solo di materie prime ed energia) può avere conseguenze a catena, guastando la festa persino all’incremento dei consumi dei paesi più ricchi.

Proprio per questo motivo non è affatto detto che lo scenario appena prospettato si concretizzi completamente, ma per qualche tempo alcune delle conseguenze della crisi cinese del 2016 si faranno sicuramente sentire. Vediamo quali:

• Il deleveraging cinese e la contrazione della liquidità internazionale che ne consegue lascia presagire che il commercio mondiale continuerà inevitabilmente a contrarsi;
• A causa di quanto sopra, nonostante si potranno lanciare nuovi stimoli monetari, la deflazione come minimo non si riassorbirà presto, contribuendo a tenere i tassi d’interesse ai livelli più bassi della storia;
• La volatilità delle Borse non poteva risultare più stimolata di così, lasciando intendere che, almeno per un po’ di tempo, l’indice VIX continuerà a guastare il sonno dei risparmiatori e a gonfiare le tasche degli speculatori;
• Le materie prime e il petrolio troveranno probabilmente spazio per nuovi minimi, rinviando sine-die il giorno del rimbalzo;
• L’oro e i metalli in generale resteranno anch’essi a terra;
• Persino i consumi di tutto il mondo si limiteranno il più possibile, perché le tensioni geopolitiche che si producono in questi frangenti spingeranno persino i più ricchi a mettere fieno in cascina, limitando perciò anche i prezzi di immobili e impianti;
• Le valutazioni aziendali potrebbero di conseguenza risentirne negativamente;
• La conflittualità politica e la divergenza degli andamenti tra le economie avanzate e quelle emergenti potrebbe rilanciare il clima da guerra fredda che stava già delineandosi.

In definitiva se già in antichità un battito d’ali di farfalla si diceva potesse provocare un terremoto all’altro capo del pianeta, a maggior ragione nel mondo moderno le sorti della Cina possono generare apprensioni anche nelle oasi più felici.

Viviamo il nostro presente non soltanto in un mondo fortemente interconnesso, ma talvolta persino compromesso!

3. ASSET CLASS NEL 2016: CONVERGENZA E  SELETTIVITÀ

Non è facile indovinare se il 2016 sarà l’anno in cui le turbolenze dei mercati azionari e le difficoltà dei Paesi Emergenti decreteranno la fine della lunga fase espansionistica di Stati Uniti e Regno Unito, vanificando la flebile ripresa economica dell’Eurozona. Sono in molti a profetizzare che la crescita economica mondiale sarà ancora più ridotta che nel 2015.

Ma soprattutto è l’asimmetria dei cicli economici nelle diverse zone del mondo che preoccupa, e che ha influito in misura determinante sull’apprezzamento di valute come il Dollaro e sul deprezzamento della maggior parte delle materie prime. La sovraperformance economica americana ha infatti incentivato i flussi di capitale verso attività finanziarie denominate in dollari. Cosa che, insieme alla deflazione globale strisciante, ha di fatto precluso alla Federal Reserve di concludere l’epoca dei tassi d’interesse prossimi allo zero. I più si attendono peraltro che resteranno bassi anche nel prossimo futuro.

Per il 2016 la maggioranza degli investitori sembra prevedere uno scenario in cui i cicli economici globali tornino a convergere, con le economie americana e britannica a fare da traino. Il relativo ottimismo sarebbe supportato dal buon andamento della domanda al consumo, dal consolidamento della ripresa Europea e da buone aspettative per le economie dell’area asiatica.

Nella consapevolezza tuttavia della possibilità che la volatilità dei mercati resti molto elevata, il consensus degli investitori privilegia la selettività accurata degli assets a rischio: come le azioni, il petrolio, i metalli industriali e financo alcune valute degli Emergenti.

Il 2016 potrebbe essere anche l’anno del ritorno ai distinguo tra le imprese che performano e quelle che no, tra le diverse tecnologie (quelle legate alla gestione dell’energia si ritiene saranno meno performanti di quelle che si rivolgono ai consumi finali), o infine tra i diversi Paesi Emergenti. Questi ultimi esprimono nel complesso il 40% della capacità industriale ma non ha più senso classificarli in un unico comparto: l’andamento di giganti in piena espansione come Cina e India infatti non è più comparabile con quello del Brasile, della Turchia o del Sud Africa.

In tempi di deflazione e razionalizzazione dei costi in attesa di una recessione apparentemente rinviata sine-die proprio in virtù di un possibile ritorno alla convergenza dei cicli economici globali, le imprese in grado di generare cassa e sostenere i grandi brand mondiali del largo consumo potranno risultare tuttavia suscettibili di valutazioni molto più generose di quelle che abbisognano di nuovi capitali e di quelle attive principalmente nel B2B.

E questo fatto, nonostante la tendenza generale alla contrazione dei profitti, potrebbe portare più di un sollievo alle principali borse mondiali.

4. I POSSIBILI CIGNI NERI DEL 2016

Quasi tutti gli anni si ripetono da parte dei principali commentatori gli auspici per un nuovo anno migliore, quasi sempre smentiti puntualmente dagli eventi successivi, che ne fanno normalmente un anno come gli altri.
Questo vale ancor più per gli operatori economici, i quali non possono che riflettere nelle loro aspettative quell’ottimismo che è loro necessario per investire, intraprendere, fare efficienza e aprire nuove frontiere. Ma che poi devono inevitabilmente fare i conti con la dura realtà.

Il grande Giacomo Leopardi nelle sue operette morali coglie molto bene questo aspetto inevitabile dell’animo umano e lo riporta nel “dialogo tra un venditore di almanacchi e un passeggere” (http://www.leopardi.it/operette_morali23.php), che mi permetto di riproporre sempre in occasione del nuovo anno.

Come in precedenza all’inizio degli altri anni perciò vorrei provare ad elencare una serie di “Cigni Neri” (dal titolo di un famoso saggio di Nassim Nicholas Taleb, il quale con la metafora del Cigno Nero definisce un evento con un forte impatto che costituisce una sorpresa per l’osservatore medio, a causa del fatto che il comune modo di pensare che lo rende cieco alla probabilità che esso accada).
Periodicamente questi Cigni Neri fanno la loro comparsa, più o meno inaspettati, per introdurre importanti discontinuità (non necessariamente negative) e pur tuttavia guastando la festa degli operatori economici, scompigliandone le previsioni o smentendo talune certezze degli esperti (il cosiddetto “consensus” generale).

L’ultimo numero dell’Economist ne suggerisce 5 (senza pretendere che siano solo questi), con le relative motivazioni al seguito che provo a riportare con parole mie:

• Il Dollaro potrebbe invertire la sua tendenza al rialzo. Tanto per il fatto che buona parte del percorso il biglietto verde lo ha già fatto, quanto perché esistono buoni motivi per i quali la Federal Reserve potrebbe non proseguire nella stretta monetaria per molti buoni motivi, tra i quali le elezioni americane;
• Nel corso dell’anno – crisi cinese permettendo- le principali Borse Valori di conseguenza potrebbero non scendere affatto, anzi salire ancora. La deflazione galoppante e le facilitazioni che arriveranno dalla Banca Centrale Europea come dalla Banca del Giappone potrebbero lasciare a zero i tassi e orientare i risparmiatori ancora una volta verso l’investimento azionario visto come unica possibilità di percepire rendimenti sotto forma di dividendi;
• Le difficoltà economiche riscontrate negli ultimi anni dalla maggioranza delle classi meno abbienti potrebbero provocare un disorientamento nei confronti della politica e la voglia di votare nuovi partiti, i quali si prefiggono la destabilizzazione dello status attuale dei sistemi politici. La cosa potrebbe avere molti risvolti positivi ma, in quanto destinata a generare incertezza, graverebbe sicuramente sulle prospettive dei mercati finanziari e degli operatori economici in generale;
• La questione politica avrebbe inoltre un immediato impatto sulla tenuta dell’Unione Europea, di nuovo: senza voler giudicare affatto sulla qualità della situazione attuale non possiamo che prendere nota dell’incertezza che può discendere dall’eventuale destabilizzazione delle istituzioni comunitarie e l’eventuale ondata di sfiducia sugli ingenti debiti pubblici dei Paesi meridionali come il nostro;
• Infine una speciale menzione (stavolta positiva) per i Paesi Emergenti, Cina in testa, ma anche India, Brasile, Russia, eccetera: non è così scontata la prosecuzione del loro declino economico, della crisi delle loro borse, della debolezza delle loro divise valutarie. Un’eventuale rimbalzo potrebbe cogliere i più di sorpresa, determinando un’inversione dei deflussi di capitale da quei Paesi verso quelli più ricchi, oltre a rimettere in moto il risiko geo-politico. E quest’ultima cosa potrebbe non costituire necessariamente una buona notizia per i mercati.

Non è ovviamente detto che siano questi i Cigni Neri del 2016, né che faranno la loro comparsa, ancor meno è dato peraltro di sapere quando potrebbero farla.
Una cosa è però praticamente sicura: non tutte le aspettative condivise all’inizio di ciascun anno si materializzano poi nel corso del medesimo, anzi!
Qualche Cigno Nero spunta sempre…

5. BAIL IN

Con l’inizio del 2016 viene introdotta la normativa sul salvataggio delle banche detta BAIL-IN, sulla quale si è tanto scritto e discusso.

Che si pensi sia giusta o ingiusta, dotata di logica o coerenza, opportuna o inopportuna nel momento attuale, certo ogni opinione è buona e non ci sembra opportuno proseguire il dibattito in questa sede.

Nell’interloquire però con i titolari di una società di medie dimensioni, di mia conoscenza, molto ben gestita e che pertanto detiene stabilmente molta liquidità (più di €100 milioni), ho messo a fuoco un aspetto inquietante della vicenda che mi ha illuminato: l’effetto “fuga dei capitali” che tale normativa può determinare.

Quell’impresa mi ha fatto sapere che ha avviato un dialogo con più soggetti per risolvere il “problema” del rischio di credito che le si è creato con il bail-in: essa probabilmente introdurrà un bel sistema di Cash Pooling con una grande banca straniera e uno con la più grande delle italiane, per trasferirvi quotidianamente la propria liquidità, allo scopo di non rischiare più che un eventuale insolvenza delle banche più piccole possa determinare una perdita di quattrini.

Morale #1: se questo comportamento riguarderà tutti coloro che posseggono molta liquidità, l’Italia potrebbe aver trovato un nuovo geniale meccanismo per far fuggire i capitali dal ns.Paese, dal momento che buona parte del sistema bancario italiano non è più considerato “sicuro”. La cosa non può che impoverire il Bel Paese, che si troverà con banche meno liquide e con minor capacità di far credito, facendo sì che quei capitali italiani vengano poi investiti su piazze diverse da quella italiana.

Morale #2: per lo stesso motivo tutti coloro che posseggono risorse liquide largamente eccedenti i 100k€ cercheranno di spostarli come minimo dalle minori alle maggiori banche del Paese, perché considerate meno a rischio di fallimento. Con il risultato che il settore bancario subirà un ulteriore impulso alla concentrazione, che è sinonimo di poca concorrenza, minor disponibilità di credito e di tariffe più alte.

Possiamo discutere sulla validità della normativa Bail-In e sulle alternative che sarebbero state possibili. Ma certo è che, con un Bel Paese che ha accusato più di tanti altri la crisi di liquidità delle imprese e con un sistema bancario che era già ridotto al lumicino prima del Bail-In, l’introduzione repentina di questa normativa senza come minimo adottare gli opportuni cuscinetti dì gradualità e senza aver introdotto altre misure che possano garantire la solidità del “sistema” bancario, rischia di nuovo di impoverire il Paese di quei capitali che, soprattutto dall’arrivo al governo di Monti in poi, hanno scelto di non fidarsi più delle istituzioni italiane.

La tristezza è che quanto sopra è cronaca ed ha poco a che fare con le opinioni personali.

6. RIVOLUZIONE DIGITALE

Avete mai pensato di iniziare a fare tutto “online”?

Sono anni che ne parliamo, talvolta per curiosità, talaltra a sproposito, o tanto per mostrare di essere tecnologicamente evoluti ma, esotismo (ed erotismo) digitale a parte, restiamo poi convinti del fatto che in fondo è solo un gioco. Che continueremo con le nostre abitudini e il commercio elettronico tutto sommato costituisce ancora una frazione piccolissima delle compravendite di beni e servizi.

Ancor oggi infatti, dopo anni di bombardamento mediatico, di conferenze e servizi televisivi sul “digital divide” che affligge i Paesi meno sviluppati, dopo frequenti e ovvie constatazioni della convenienza e praticità della rete internet, tuttavia nel nostro inconscio ci rasserena sapere che la maggioranza di libri e riviste è ancora venduta nei negozi e nelle edicole, che l’istruzione passa ancora dalle aule delle università e che la maggior parte degli adulti preferisce telefonare o incontrarsi di persona piuttosto che “chattare” o vedersi su Skype.

Il dubbio che la rivoluzione digitale non arriverà mai a cambiare davvero le nostre vite ha di conseguenza (e a ragione) continuato a sfiorare molti di noi, sebbene un segnale importante del cambiamento avremmo invece potuto coglierlo: i cosiddetti “nativi digitali” (cioè i giovani al di sotto di una certa età) hanno oramai sviluppato comportamenti molto diversi dai nostri e, per fare qualche esempio, per chiamarsi usano “What’s up”, per darsi appuntamento usano “Facebook” e la musica la ascoltano solo on-line.

Senonché ultimamente ho dovuto prendere atto del fatto che persino per i dinosauri come il sottoscritto (che hanno già varcato da un po’ la soglia della cinquantina), la mutazione genetica digitale è ineluttabilmente in corso, solo molto ma molto più lenta che per i più giovani.
È come aver scoperto di essere sonnambulo da tempo, o che mi crescono all’insaputa unghie e peli quando brilla la luna piena: fa un certo effetto!

Negli ultimi tempi quando guardo qualcosa che mi piace la cerco su internet, quando voglio prendere un appunto uso il melafonino, quando voglio leggere un giornale o ascoltare un brano musicale lo cerco online (sobbarcandomi la relativa pubblicità). Ma soprattutto quando voglio sapere di qualche amico lo cerco sui social network e quando voglio contattare qualcuno per lavoro vado prima su Linkedin. Il tutto senza mai averlo davvero deciso, desiderato, pianificato, ostentato. Mi è venuto e basta, con naturalezza o forse con inconsapevolezza.

Mia moglie continua a sostenere che non comprerebbe mai un paio di scarpe senza averle prima provate indosso e nessuno può toglierle il piacere di curiosare nei negozi. E chi può darle torto? Ma allora perché le cerca sull’Ipad? In Italia è ormai diffusa la tendenza ad acquisire sempre più informazioni prima di effettuare un acquisto: il 79% dei possessori di smartphone lo utilizza il telefono in almeno una fase del processo di acquisto. Tuttavia, il 74% dei consumatori dopo essersi informato online tende a preferire l’acquisto in negozio piuttosto che attraverso il canale on-line.

La verità è che la rivoluzione digitale arriva come le polveri sottili: le respiriamo tutti senza averne coscienza e non è affatto detto che si tratti di un’esperienza positiva. Su internet non si assapora nulla, al massimo si dà un’occhiata fugace.

Ma poi si viene avvolti e inevitabilmente sedotti dalla rete. Non possiamo più farne a meno. E quando ci manca il wi-fi ci sembra di rimanere mutilati!

Forse per i “diversamente giovani” come quelli che hanno la mia età o qualche lustro in più è maledettamente spiacevole prendere atto della licantropia informatica, dell’acquisita necessità di avere sempre a portata di mano qualche microchip, magari solo per gridare “butta la pasta!”.

La nostra infanzia “analogica” ci è sembrata anzi bellissima e nessuno di noi si sentiva menomato a non portare in tasca tutta la capacità di calcolo dei microprocessori che ci accompagnano.
Ma oggi che ci stiamo abituando ad avere un comando digitale persino per le tende da sole, dobbiamo avere il coraggio di ammetterlo: ne faremmo mai a meno?

Stefano L. di Tommaso