Newsletter di Febbraio 2013
IL GIANO BIFRONTE DELLA RIPRESA
Assai controverso lo scenario economico che si può osservare nel primo scorcio del nuovo anno: le Borse e i mercati finanziari sussultano, ma crescono, il Gettito fiscale statale preoccupa, ma aumenta, lo Spread sui titoli pubblici italiani si agita, ma scende, le Banche traballano, ma erogano qualche nuovo prestito, le Imprese licenziano e chiudono, ma prevedono che già nel 2013 rivedranno l’utile e aumenteranno le esportazioni, l’inflazione scende (per certi beni anche sotto zero) ma i prezzi delle materie prime aumentano.
Mentre accade tutto ciò non possiamo non tener conto del fatto che i consumi italiani rallentano, la disoccupazione cavalca e milioni di nuove famiglie si affacciano alla soglia della povertà!
L’economia appare insomma come un Giano Bifronte che non lascia un facile compito a chi vuol chiedersi se (o meglio: come e quando) la ripresa arriverà a rasserenare gli animi.
Cos’ha fatto il nuovo Governo del nostro Paese?
In poco più di un anno ha accentuato le politiche di austerity e ha compiuto alcune scelte tra le più impopolari:
1) non ridurre la spesa pubblica
2) non avanzare riforme radicali
3) non incentivare investimenti e risparmio
4) aumentare le tasse su reddito e patrimoni
5) prestare 4 miliardi di Euro a una Banca che ha quasi dichiarato bancarotta
6) concedere rincari a quasi tutte le Public Utilities, autostrade e ferrovie comprese
7) non fare nulla per contrastare la crescente disoccupazione
8) non introdurre riforme nel mercato del lavoro quantomeno per incrementare la produttività (elemento essenziale per restaurare, assieme alla competitività del Paese, anche la sua attrattività per il mercato dei capitali).
Ce n’è abbastanza per ritrovarsi di fronte a sommosse di piazza o focolai di rivoluzione!
I danni permanenti generati da un eccesso di tassazione.
La combinazione di incremento delle tasse, restrizioni al sistema dei pagamenti, disoccupazione crescente e, soprattutto, del numero di cittadini che tornano -per la prima volta dopo anni- a riaffacciarsi sul mercato del lavoro (non per scelta, ma per necessità; non per aver intravisto nuove opportunità di occupazione, ma solo per ingrossare le fila di coloro che sono in cerca di un posto e non lo trovano) ha generato danni che permarranno a lungo e azzerato la credibilità dello Stato italiano, sospingendo una nuova esportazione di capitali da parte di chi poteva permetterselo!
Ha strangolato i consumi delle famiglie, la domanda degli immobili, quella dei beni di consumo durevole e sinanco quella dei generi alimentari, la cui riduzione nei consumi è il sintomo più evidente che la crisi nel nostro Paese è tutt’altro che alla svolta.
Molte imprese minori infatti, quelle che non vedono una prevalenza di export e di fonti finanziarie di provenienza estera, potrebbero presto vedersi tagliare ulteriormente il rating a causa della debolezza della domanda interna o della scarsa capitalizzazione.
La luce in fondo al tunnel di montiana memoria insomma sembra essere tanto quella del sole per i principali operatori economici e finanziari, quanto quella del faro di un nuovo treno che sta per travolgere le piccole imprese e le famiglie!
Il divario delle aspettative.
Si accentua così -con questo divario di prospettive- il senso di precarietà del nostro Paese, con un contrasto evidente tra il comportamento riflessivo dei consumatori depauperati e quello espansivo di imprese e intermediari finanziari i quali iniziano a cogliere segnali di ripresa, soprattutto quelle esportatrici che riescono anche a farsi finanziare all’estero.
I principali operatori economici nazionali insomma, se hanno ancora benzina nel motore, potranno trarre beneficio dal calo progressivo delle buste paga, conseguendone una ritrovata capacità di esportazione e una ripresa delle prospettive di sviluppo.
Perchè questo accade?
In Italia l’obiettivo di stabilizzazione del debito pubblico è stato sostenuto (anche se non raggiunto) attraverso l’incremento di tasse, gabelle e restrizioni, lasciando ai più la concreta aspettativa di una continuazione della contrazione del potere d’acquisto delle famiglie (disallineato persino da quello degli altri Paesi dell’UE) anche per i prossimi anni, come non si era mai visto dai tempi dell’ultimo conflitto bellico!
Alla decisa contrazione dei consumi (si parla di un -4% nel 2012 e di un -2,5% nel 2013 ma la base di calcolo di questo dato è assai controversa) e del Prodotto Interno Lordo (attesa significativamente tra l’1% e il 2% anche per il 2013) potrebbero però contrapporsi aspettative di inversione di tendenza per i principali operatori economici, soprattutto a partire dalla seconda metà dell’anno, con il rischio che ciò possa a livello europeo rilanciare verso l’alto i tassi di interesse e, con essi, di nuovo i timori di sostenibilità del debito pubblico di Paesi esposti come il nostro (e in tal caso l’intervento di salvataggio dell’UE sarebbe forse meno repentino di quel che si potrebbe pensare ascoltando le parole di Mario Draghi).
Cosa dovranno fare i prossimi Governi.
L’attenzione dei prossimi Governi sarà necessariamente puntata al varo di misure e riforme che permettano un rafforzamento del tessuto economico nazionale, anche perché rappresentano l’unica possibilità di combattere concretamente la trappola recessiva della disoccupazione di massa.
Tra queste riforme saranno probabilmente: la semplificazione dei vincoli del mercato del lavoro, la riduzione delle regolamentazioni a salvaguardia di commercio, servizi e professioni (tutte in nome di una maggiore produttività) e financo il possibile allentamento dei vincoli alla nascita di nuovi intermediari finanziari.
Tutte queste misure risulteranno necessarie a far ritrovare al nostro Paese un minimo di attrattività per gli investitori di capitale e il loro effetto cumulativo dovrebbe contribuire a rilanciare non poco la competitività dei nostri principali operatori economici, mentre ciò non potrà che avvenire al prezzo di una significativa riduzione dei salari reali e quindi dei consumi interni.
Ecco perché le Borse salgono.
Tali considerazioni anticipano che alcuni sprazzi di ripresa economica ci saranno presto comunque e contribuiranno, insieme con la prevalenza del peso delle economie nord-europee nelle valutazioni che riguardano la forza dell’Euro (almeno fino a quando verrà misurata contro il Dollaro, divisa ancora più debole) a delineare un quadro generale di cauto ottimismo.
Le stesse fanno anche pensare che per quanto sopra e anche per una decisa mancanza di valide alternative, l’afflusso di capitali verso le Borse Valori (anche quella Italiana) potrebbe addirittura incrementarsi!
Ma l’Economia crescerà molto lentamente.
Non possiamo fare a meno di notare i segnali di crescenti tensioni e divisioni politiche, tanto nel vicino Medio Oriente, quanto nell’ambito dell’Unione Europea che lasciano poche probabilità di vedere passi avanti nell’integrazione fiscale e politica della stessa UE, i quali avrebbero potuto aiutare non poco a riavvicinare gli indicatori economici di base dei Paesi del sud Europa a quelli degli Stati del nord.
Anche le prospettive di relativa stabilità dei prezzi di Petrolio, Gas e altre fonti energetiche (principalmente a causa della previsione di minor dipendenza degli Stati Uniti dagli approvvigionamenti nei Paesi Arabi) unite alla constatazione di un indebolimento significativo della crescita economica nei Paesi del gruppo BRICS (Brasile Russia India, Cina e Sud Africa) potrebbero contribuire ad un riafflusso di capitali verso gli USA e UE, ma questi ultimi potranno beneficiarne stabilmente solo se saranno riusciti a ritrovare sufficiente competitività e stabilità politica.
Per concludere, il prezzo che pagheremo per riaffacciarci alla ripresa sarà decisamente elevato, soprattutto per la prosperità di consumatori e famiglie: lunghi anni di quasi stagnazione dei consumi, di riduzione del reddito netto dopo tasse e tariffe, persino di contrazione delle opportunità di carriera e mobilità sociale (a causa della limitatezza dell’offerta di lavoro), potranno affliggere le risorse disponibili per la gente comune.
Le prospettive: calma piatta!
Chi osa fare due conti sul tempo che l’Italia potrebbe impiegare per ritornare ai ritmi produttivi pre-2008 prova a guardare la velocità di ripresa mostrata fino ad oggi e va a indicare lo scioglimento dei principali nodi economici nell’orizzonte non impossibile dell’anno 2020, quando la combinazione del contenimento di spesa e debito pubblico, di una finalmente ritrovata produttività del lavoro, del possibile contributo delle innovazioni tecnologiche e della crescente integrazione internazionale (anche dell’industria italiana) potrà far tornare a sperare in un allentamento delle preoccupazioni economiche e in una ricrescita delle risorse del ceto medio.
Fino a quel momento i segnali contrastanti di ripresa e declino sopra citati potrebbero far navigare non solo la nostra economia ma addirittura quella di tutto il mondo industrializzato nella laguna di una prolungata calma piatta, di una generale e lenta compensazione tra salute e malanni di una civilizzazione occidentale obbligata a cambiare di molto i suoi connotati: in passato troppo basata sui consumi, sugli sprechi, sui contrasti e sugli eccessi; in futuro probabilmente più armonica, meno inquinata, meno agitata, ma sicuramente orientata ad una complessità crescente.