Lo stallo e la svolta.
Lo stallo
In Italia si respira un clima di strana euforia che deriva dalla contemporaneità di due fatti importanti: la riconferma del Governo Letta e l’uscita di scena di Silvio Berlusconi: l’euforia rispecchia peró soprattutto delle attese di mano libera per le riforme, ovvero la speranza che, dopo aver superato l’impasse, ministri e parlamentari una mano sulla coscienza se la dovranno finalmente mettere, per architettare qualcosa affinché l’Italia esca dal pantano economico-finanziario in cui si è cacciata.
Il punto è che le misure per la crescita, i tagli alla spesa, gl’investimenti infrastrutturali, le semplificazioni burocratiche e gli incentivi a chi assume, sono manovre che comportano scelte pesanti, mentre sino ad oggi l’esecutivo era riuscito a scansarle.
Il punto è che con le sole coscienze dei giudici, con i soli annunci dei ministri, con le sole prese di posizione dei parlamentari, il nostro Bel Paese di strada rischia di farne poca.
La questione è accentuata dal fatto che siamo immersi fino al collo in una Unione Europea fortemente dipendente da ciò che accade in Germania, dove si sta in silenzio faticosamente cercando di definire la composizione di una nuova cordata di governo che vede costretta la Merkel a selezionare un alleato tra gli altri partiti politici e a concedergli un compromesso.
Ciò rischia di condizionare le possibili e anzi auspicabili iniziative della Banca Centrale Europea cui è rivolta l’attenzione dei mercati. Sino ad oggi infatti Draghi ha supplito all’assenza di deliberazioni politiche distogliendo chiunque dallo speculare sulla rottura dell’Euro.
Ma prima o poi dovrà fare i conti con la politica tedesca e con le agenzie di Rating che potrebbero tornare a svalutare il debito pubblico italiano.
Gli investitori stanno infatti prendendo le misure della scarsa competitività complessiva di un’Europa a due marce: al settentrione se la cava ma non brilla e al meridione continua a sprofondare.
Anche in America il Governo USA si trova davanti ad un dilemma che si protrae oramai da anni: come far collimare le istanze delle classi deboli (per occupazione, sanità, casa e previdenza sociale) che hanno eletto Obama, con l’esigenza di ritrovare un equilibrio nei bilanci federali e di arginare il debito pubblico accumulato. Lo “shutdown” di una parte della Pubblica Amministrazione è scattato per aver troppo a lungo superato i limiti, ma l’equazione politica sottostante non si è risolta con esso.
Perciò anche oltreoceano la stabilità di governo e le buone intenzioni sono utili ma non sufficienti a superare lo stallo nel quale oggi l’intero Occidente (o dovremmo dire: la Democrazia come l’abbiamo conosciuta fino ad oggi?) si è cacciato: alla fine tanto a casa nostra quanto nel continente europeo come pure in America si impongono più che mai risoluzioni forti per ritrovare la strada del benessere, evitare una nuova recessione globale, sostenere l’Unione monetaria Europea ed arginare la crescita generalizzata dei debiti pubblici che -ormai lo si può anche misurare- drenano risorse e riducono il benessere della gente!
Come è facile intuire nel nostro Paese la probabile evoluzione dello stallo andrà alternativamente nella direzione dell’abbandono dell’Euro o in quello di una maggiore integrazione dell’Eurozona.
Con un Governo quasi tecnico come quello di Letta, con l’intera politica italiana che sembra prendere la strada del Grande Centro, con la figura presidenziale poco incline alla fantasia come quella di Napolitano e infine con la vittoria in Germania, in Austria e, probabilmente, in Olanda, dei partiti della continuità, è auspicabile che verso una maggiore integrazione europea perlomeno si lavorerà con più vigore.
Se poi guardiamo agli USA e allo “stallo” politico e finanziario che anch’essi stanno vivendo, è facile immaginare la probabilità di una imminente “svolta”, per due motivi:
1) senza soluzioni coraggiose da parte di Obama (ma anche dei suoi oppositori al Congresso) il traino della locomotiva americana che a sua volta genera le ottimistiche aspettative dei mercati per la fine del 2013 potrebbe mancare e quelle attese potrebbero ritrovarsi assai mal riposte;
3) se il cambio del dollaro rimarrà così basso e quello dell’Euro resterà così in alto e contemporaneamente i consumi interni all’UE continueranno ad essere depressi, la situazione non sarà più accettabile per nessuno, nemmeno per i paesi asiatici e quelli emergenti, e il mondo potrebbe anche avvitarsi in una nuova recessione (ben venga dunque una pioggia di nuove banconote fresche di stampa: l’Euro si aggiusterebbe e la miglior liquidità incentiverebbe gli investimenti!) .
In realtà i mercati oggi sono “su” perché la liquidità precedentemente immessa dalle Banche Centrali alimenta l’euforia dei mercati finanziari molto più di quanto possano suggerire le previsioni di profitti aziendali e maggior valore dei cespiti.
Ma ovviamente se non si vuole che il mondo ricada (così presto) in una grande depressione, si deve poter superare con coraggio l’attuale situazione di “stallo” sostanziale affinché finalmente vengano prese iniziative per tamponare i deficit pubblici, rendere sostenibili le politiche di welfare, far crescere gl’investimenti e rilanciare l’occupazione.
La Svolta
Il nostro Governo, come pure quelli degli altri Stati “deboli” stanno facendo pressione perché gli organismi centrali europei supportino un allentamento dell’austerità a favore di una ripresa dei consumi, ma sin’ora non hanno alzato la voce perché la risposta dei Paesi nordici (e non solo dei Tedeschi) è stata molto chiara : non possiamo pensare di pagare noi per i vostri problemi.
D’altra parte se l’Unione Monetaria si rompe subito quei Paesi pagheranno ugualmente un conto molto salato e in più potrebbero inciampare anch’essi in uno stop alle attese di crescita economica.
La Germania in particolare attende un’ulteriore miglioramento delle proprie variabili macro, ma sa che ciò avverrà solo se nel mondo si continuerà ad acquistare i suoi prodotti manifatturieri (di servizi ne vende pochini e di materie prime ancor meno): in Europa come in USA e nei Paesi Emergenti la domanda è molto compressa. Il solo continente asiatico (che cresce ma non galoppa) rischia di non assicurarle sufficienti esportazioni.
Dunque se si trovasse il coraggio politico di affrontare una (almeno temporanea) maggiore integrazione europea si potrebbe sperare in una politica monetaria più espansiva della BCE (che per l’intanto sarebbe già pronta a un nuovo LTRO finalizzato a non costringere le banche a vendere titoli di Stato per rimborsare il precedente LTRO), si potrebbe auspicare tassi d’interesse (complessivi di spread) ancora più bassi a beneficio del costo dei debiti pubblici e del finanziamento degli investimenti infrastrutturali del continente europeo, magari da parte di organismi sovranazionali.
La Francia è il Paese che finora si è opposto di più al processo di integrazione dell’UE perché esso sarebbe inevitabilmente di stampo germanico, ma oggi è in silenziosa impasse perché i mercati continuano a chiedersi sino a quando essa potrà restare nel limbo prima di un altro downgrading, mentre i consumi interni non brillano e le sue grandi imprese esportano con difficoltà agli attuali livelli di cambio dell’Euro.
Gli USA di Obama non potranno che varare una serie di misure “di compromesso” per stimolare una forte ripresa economica e dei profitti aziendali. La strada è obbligata perchè senza di ciò il debito pubblico diverrà un problema peggiore del nostro.
D’altra parte gli spazi per farlo esistono tanto sul terreno delle innovazioni tecnologiche in arrivo, molte delle quali saranno targate USA, quanto sul piano delle alchimie politico/contabili che -mi avventuro ad immaginare- permetteranno al Paese che domina il mondo di avviare una stagione di incentivi senza doverne contabilizzarne i relativi costi impliciti.
I Paesi emergenti che -con la risalita dei tassi di interesse internazionali- si sono ritrovati a secco di nuovi capitali, ora è probabile che si armeranno di spirito di necessità e sano realismo, limitando la crescita dei salari interni e quella dei budget di Stato, per praticare prezzi inferiori sulle esportazioni di prodotti, materie prime, commodities e carburanti, e sperare in cambio di aumentarne il volume complessivo, al fine di riequilibrare la loro bilancia dei pagamenti.
Se succederà, questo non potrà che favorire una discesa dei prezzi delle materie prime e dei semilavorati, alimentando le chances di una più vigorosa ripresa economica mondiale per il 2014-2015.
La speranza di una “svolta” deriva perciò dal fatto che tutti questi fattori potrebbero giungere contemporaneamente a maturazione e determinare un percorso virtuoso in cui potremmo assistere alla progressiva monetizzazione dei debiti pubblici in un contesto però non inflattivo (calo del costo di molti fattori di produzione e relativa abbondanza di idrocarburi e altre fonti energetiche), al rafforzamento del commercio internazionale, alla probabile crescita del valore del Dollaro e delle aspettative di profitti da parte delle grandi società multinazionali e infine all’incremento del numero dei posti di lavoro complessivi legato alla ripresa generalizzata degli investimenti.
Se ciò accadesse la cosa aiuterebbe non poco a vincere i grandi dubbi degl’investitori istituzionali sulle sorti dei debiti pubblici, sulla tenuta dei sistemi pensionistici dell’intero Occidente e sulla non-spaccatura dell’Eurozona.
Questo scenario necessita oggi del coraggio di chi ci governa, di coesione tra i popoli e di migliore integrazione dell’Occidente con le economie del sole nascente.
Scenario che vedrebbe un processo di riordino che non potrà che passare da tassi ancora più bassi, un Euro più debole, una moralizzazione più accentuata della spesa pubblica e una valanga di nuovi incentivi rivolti alla ricerca e agl’investimenti.
Tutto ciò non è affatto facile ma è fortemente auspicabile pensando alla terribile alternativa!
E Dio solo sa quanto noi Italiani avremmo bisogno di una “svolta” del genere!
Stefano L. di Tommaso