Newsletter Maggio 2014

LA RIVOLUZIONE DI RENZI


 

SOMMARIO:

1) IN SINTESI: “La rivoluzione di Ma(tte)o Tse Tung”

2) LO SCENARIO MACRO:
a) Goldilocks e gli orsetti
b) Il Capitale nel XXI secolo
c) La finanza allegra si è trasferita in Cina
d) Il Quantitative Easing e le elezioni europee
e) Il trionfo dei beni-rifugio

3) FUNDAMENTALS E DINTORNI:
a) la bufala della discesa dello Spread
b) i risparmiatori italiani vanno all’estero e i grandi investitori internazionali tornano in Italia: chi ha ragione?               

4) INFORMALIA:
   Una citazione del Dalai Lama


1) IN SINTESI:
    
                  
a  70 giorni dall’insediamento di Renzi & C. al Governo del Paese bisogna riconoscere che dal più giovane dei leaders italiani dopo Mussolini di elargizioni e promesse economiche ne sono state fatte tante, ma con limitate coperture alle voci di spesa e ancora poche misure di stimolo alla ripresa!

Non si tratta di fare il menagramo, bensì di leggere tra i vari documenti programmatici per scoprire che esistono ipotesi di ulteriore incremento dell’IVA e della tassazione sul risparmio (vogliamo far tornare a fuggire i capitali?), tra l’altro basate su ottimistiche previsioni di crescita nell’anno in corso e sopratutto in quello che verrà. Esattamente come afferma il “passeggere” nell’operetta morale di Leopardi a proposito dell’almanacco per l’anno venturo, tutti sono convinti che sarà “migliore assai” ma nessuno sa il perché.

È il pendolo dell’economia -dicono i più- che finalmente dovrebbe oscillare in senso opposto al recente (e travagliato) quinquennio di arretramento. Ma è come contare sulla statistica del tempo atmosferico: prima o poi arriva il bello e allora è inutile affannarsi troppo.

Io tuttavia resto istintivamente ottimista, dal momento che, con una nuova ventata di buone relazioni internazionali gli investitori globali stanno tornando a valutare le opportunità italiane e questa è una buona notizia. Da tempo affermo -spesso solitario- che il peggior male del Paese sia stata la fuga dei capitali, da Monti in poi. E oggi si assiste contemporaneamente a due fenomeni apparentemente contraddittori: la fuga dai titoli italiani dei piccoli risparmiatori e il ritorno di interesse per l’Italia da parte dei grandi capitali!  Non c’è che dire, è un bel risultato per gli ex-comunisti al governo, ma sarebbe già qualcosa riscuotere il interesse se non fosse che in realtà la mira è sulle grandi e copiose privatizzazioni che sono in arrivo.

Secondo “L’enigma della crescita” (Mondadori, 2014) di Luca Ricolfi, sociologo torinese, l’Italia ha due classi di opportunità su cui operare: le tasse e le istituzioni da riformare. Renzi ha avviato interventi in entrambe. E la sua fretta sembra anche giustificata. Adesso i tempi delle decisioni e l’effettiva velocità di risalita stabiliranno la riconquista dell’occupazione, dei consumi e di una migliore qualità di vita.

La fiammella della ripresa sta insomma fiocamente respirando nuovo ossigeno, seppur seppellita sotto una coltre di interessi particolari, tasse, disastri, debiti e inefficienze collettive. Il panorama è però aggravato da una perenne situazione di campagna elettorale, in nome della quale i partiti invadono i mezzi di informazione usandoli come propri organi interni e non lasciano che le altre notizie sull’economia reale si diffondano. Al di là della disinformazione di Stato perciò l’economia quest’anno non crescerà, la disoccupazione al massimo non peggiorerà e il debito pubblico invece esploderà. Tutto questo è però fisiologico all’inizio di un possibile “nuovo corso”. Il punto è verificare se Ma(tte)o Tse Tung riuscirà davvero a cambiare l’Italia!


2) LO SCENARIO MACRO:

“GOLDILOCKS E GLI ORSETTI”
 
        
          
Nel mese di Febbraio l’Economist aveva pubblicato un articolo in cui si prospettava uno scenario ideale da “Goldilock e gli Orsetti”  http://www.economist.com/news/finance-and-economics/21595934-investors-have-been-forced-reassess-their-rosy-view-goldilocks-and-bears     Goldilocks è un cartone animato per bambini in cui la scena è mantenuta in un’eterna via di mezzo dalle scelte della protagonista, né troppo buona né troppo cattiva. L’articolo in realtà si proponeva proprio di smentire quel sentimento comune di essere arrivati nella “terra di mezzo”, in cui per incanto i prati sono sempre verdi e il cielo è sempre blu, facendo invece notare che era forse vero il contrario: i mercati finanziari sono entrati in una serie di turbolenze e la previsione, un paio di mesi dopo, si è rivelata esatta. La volatilità dei mercati finanziari e l’instabilità politica internazionale lasciano in ansia investitori e banchieri e questo si riflette in ridotti investimenti su infrastrutture e tecnologie del futuro.

Purtroppo i problemi generali dell’economia globale non sono mai stati davvero affrontati: né quelli italiani dove manteniamo una spesa pubblica più alta di quasi il 10% rispetto alle entrate (non sia fuorviante la proporzione del 3% con il PIL: se a casa vostra spendeste costantemente il 10% in più di ciò che incassate andreste presto in rovina) né quelli globali, che vedono  insanabili contrapposizioni tra gli interessi di Occidente, Medio Oriente ed Asia, e un eccesso di debiti pubblici finanziati da politiche di monetizzazione dei medesimi che rischiano solo di accrescersi nei prossimi mesi.

I mercati borsistici scacciano la paura concentrandosi sul fatto che le Banche Centrali ancora continuano a immettere nuovo denaro nel circuito finanziario e le grandi imprese nel mondo hanno fatto in questi ultimi anni molti più profitti che non mai. La BCE ha mantenuto una politica monetaria restrittiva sino ad oggi e questo ha provocato l’attuale deflazione ma sta forse preparandosi ad allargare i cordoni in grande stile, avendo finalmente preso atto degli svantaggi derivanti dall’eccesso di rivalutazione dell’Euro sulle altre monete.  
         
Nel frattempo la globalizzazione prosegue il suo corso e le operazioni di fusioni e acquisizioni delle grandi società multinazionali di conseguenza si intensificano, facendo progressivamente spazio a concentrazioni di mercato in quasi tutti i settori industriali, soprattutto quelli che si giovano dei consumi di massa, tra le quali il farmaceutico. La grande finanza silenziosamente ringrazia e passa alla cassa.
                         
“IL CAPITALE NEL XXI SECOLO”  
                     
La debole crescita mondiale che a malapena tiene il passo con l’incremento demografico, stenta a trainare il benessere collettivo e soprattutto stenta a trainare le economie dei paesi periferici, avendo già mostrato il suo volto più deteriore con la recente fuga generalizzata dei capitali dai Paesi Emergenti, fatto che rischia di polarizzare sempre più le fonti del benessere tra poveri e ricchi del pianeta. Un recentissimo libro si propone di analizzare distribuzione della ricchezza le mondo e le sue cause ha avuto un successo letterario globale:

 


 
Guarda il libro su Google libri

Il libro è un capolavoro di approfondimento in una direzione da sempre ritenuta “scomoda” dagli economisti perché al confine con la politica e getta un’ombra sinistra sui grandi interessi globali che si nascondono dietro le attuali manovre.

Uno scenario globale perciò tutt’altro che tranquillo, che si riflette in un’Italia inquieta, incerta se credere alle promesse di Renzi, abbracciare la protesta fine a sé stessa o tornare a destra. Una situazione che, nel dubbio, sta sospingendo le quotazioni dei beni-rifugio per chi vuole cristallizzare ricchezze finanziarie oggi flottanti in acque incerte. Ecco dunque che tutti comprano oro, diamanti e opere d’arte (soprattutto in Italia dove è meglio non avere beni al sole), mentre il comparto immobiliare continua le proprie difficoltà anche perché è considerato indicatore di ricchezza tassabile. E, sintantoché non arriva qualche mano santa, chi ha un’impresa (soprattutto se piccola o piccolissima) non vede l’ora di sbolognarla, anche a causa delle difficoltà burocratiche e degli eccessi fiscali.

Renzi dovrà combattere soprattutto la caduta di entusiasmo nel nostro Paese, al di là delle ideologie e delle contrapposizioni. Dovrà riuscire a far cambiare idea ai giovani che vogliono emigrare o andare a studiare all’estero. Dovrà riuscire a tranquillizzare gli imprenditori, soprattutto se giovani o piccoli, sul fatto che il nostro Paese non ha interesse a farli demordere.  Da questo punto di vista anche un successo elettorale potrà aiutarlo, ma il problema vero è che in Italia, per passare dal dire al fare, bisogna attraversare un mare di ostacoli, anzi: un Oceano Atlantico!

“LA FINANZA ALLEGRA SI È TRASFERITA IN CINA”
                                                                 
Passati sette anni dal fallimento di Bear Stearns e sei dalla crisi innescata dai mutui sub-prime, oggi sussurri e grida provengono soprattutto da Shanghai e Pechino, capitali di un gigantesco “sistema bancario ombra”, oramai quasi senza controlli. Dato che in Cina i depositi bancari offrono tassi irrisori le fiduciarie cinesi promettono invece rendimenti nascosti ad occhi discreti ed assai allettanti, esse impiegano i denari raccolti in modalità scavezzacollo e prive di reti di protezione, spesso arrivando a finanziare palazzinari in bolletta e aziende pubbliche decotte.

 

A fine 2013 si stimava a 1800 miliardi di dollari il totale degli attivi delle fiduciarie e in 5 anni il debito totale in Cina si è gonfiato fino a raggiungere il 220% del Pil a fine 2013, dal 130% nel 2008, un aumento che in valore assoluto risulta pari all’intero settore bancario degli Usa. Metà di questo aumento attribuito alla finanza ombra.  Persino il Fmi (di solito tenero con la Cina) ha avvertito che le catene di Sant’Antonio vanno spezzate. Però appena la crescita del Pil si sgonfia (il 7% per cento è la cifra ufficiale, quella reale sotto il 5%) ai ministri cinesi appare minaccioso lo spettro delle rivolte.

Perciò non resta che lasciare andare avanti la finanza allegra e l’attivismo cinese nei grandi progetti internazionali: è senz’altro meglio che mettere in discussione il regime. E poi il famoso battito d’ali di una libellula si sentirebbe subito agli estremi dell’Oceano: per quanto la Cina mantenga riserve valutarie per 4 triliardi di dollari, il grosso di queste riserve è detenuto in titoli del debito pubblico Usa e nemmeno l’America può permettersi un’ondata moralizzatrice.

” IL QUANTITATIVE EASING E LE ELEZIONI EUROPEE”   
    
A quasi sei anni dall’avvio del primo programma di interventi della FED sul mercato monetario americano, possiamo constatare che la disoccupazione in quel Paese è calata al 6%: il QE allora ha davvero funzionato per aiutare la monetizzazione del debito pubblico americano e risollevare l’economia?

Alcuni risultati sono indubbiamente arrivati: a) il QE ha aiutato a rimuovere titoli e crediti inesigibili dai bilanci delle banche, permettendo loro di tornare a erogare credito, b) ha permesso di ridurre i tassi di interesse che il debito pubblico deve pagare, e conseguentemente il costo del denaro anche per gli investimenti produttivi e residenziali, c) ha aiutato i corsi borsistici a risollevarsi, rilanciando l’entusiasmo per altre aziende ad andare in Borsa. Invece non ha avuto successo: d) nell’ampliare la disponibilità di credito per le PMI, e) nel fornire troppi soldi alle banche e troppo pochi all’economia reale. Di questo ultimo aspetto, la BCE dovrebbe tenere conto, qualora l’Unione alla fine si decida a varare una manovra simile, veicolando preferenzialmente il denaro verso le PMI e gli investimenti infrastrutturali.
 
Tuttavia tre grandi questioni sul tappeto spingono oggi l’autorità monetaria verso un intervento “espansivo” :

1) L’effetto recessivo derivante della distruzione di massa monetaria dovuta alla riduzione della disponibilità di credito. Esso va contrastata con nuova moneta, soprattutto in Paesi (come il nostro) dove il problema è emerso maggiormente perché accompagnato dalla scarsa produttività del lavoro e da una crescente fuga dei capitali. Problema accentuato dal fatto che l’austerity dei recenti due anni ha anche ridotto i consumi e gli investimenti, e con essi la velocità di circolazione della moneta, generando una ulteriore spinta alla deflazione dei prezzi e alla stagnazione da questa ulteriormente indotta;

2) Il fatto che le altre grandi economie occidentali abbiano reagito alla crisi con politiche monetarie espansive -ma non la Banca Centrale Europea- ha prodotto un innaturale innalzamento del corso dell’Euro che forse non é dispiaciuto ai tedeschi ma che rischia di uccidere le esportazioni del manifatturiero europeo e con esse le fondamenta dell’Unione Europea. Perciò niente di meglio che aumentare l’offerta di denaro in un momento in cui si deve combattere la deflazione, addirittura auspicando un indebolimento del corso valutario.

3) La convergenza europea non è più un credo politico. Per mantenere viva la moneta unica essa deve necessariamente progredire. E sarà forse l’unico modo per arrivare un giorno a mettere mano seriamente al problema dell’eccesso di debito dello Stato italiano (oggi sopito ma tutt’altro che superato).

Le prossime elezioni europee saranno necessariamente caratterizzate da una rimonta dei partiti separatisti e anti-unione, i cui consensi sono alimentati dall’eccesso di burocrazia che sembra annidarsi a Bruxelles e dal magro bilancio di risultati economici che la convergenza europea sembra aver apportato al nostro come ad altri paesi periferici. Alla BCE ci sono forti pressioni per prendere perciò l’iniziativa ed esplorare nuove strade che aiutino a ritrovare maggiori consensi.
 

 

Perciò se a stampar denaro non si risolve la crisi non è nemmeno detto il contrario: che mantenendo limitata la moneta in circolazione ci si guadagni qualcosa. Quel che è in gioco non è tanto l’Euro, bensì l’Europa stessa. E allora ben venga in aiuto qualche manovra comunitaria che aiuti la coordinazione e favorisca i Paesi periferici come il nostro nello stesso momento in cui essi devono ridurre la spesa pubblica. Altrimenti in Europa staranno sempre più “stretti”!

La spesa pubblica italiana e gli sprechi di una Casta dissoluta sono il problema che più di tutti ci ha trascinati nel fango dell’eccessiva tassazione e fatto esplodere i timori sul nostro debito pubblico, perciò va tagliata al più presto. Ma tutti sanno che poiché la manovra genera sul momento pesanti effetti recessivi, niente di meglio che agire contemporaneamente a livello europeo sulla leva monetaria, soprattutto se indirizzata a corroborare gli investimenti invece che i consumi.

” IL TRIONFO DEI BENI-RIFUGIO ”        

 

 
La volatilità dei mercati finanziari, l’eccesso dei debiti pubblici che getta ombre sulla stabilità monetaria globale e un eccesso di ricchezza “di carta” sospinge oggi ovunque le quotazioni dei cosiddetti beni-rifugio. Il crescente divario tra i decili più ricchi e più poveri della popolazione mondiale spinge i primi a trovare modalità alternative di investimento della propria ricchezza, ben sapendo che periodicamente prendono piede ondate moraliste ed egalitariste che potrebbero richiedere una decisa tassazione straordinaria.

Si prenda il caso del prelievo una-tantum sui depositi bancari, già praticato a Cipro e più volte ventilato nei palazzi della politica italiana. Oppure quello della progressiva caduta del segreto bancario elvetico. Sono tipici esempi di fattori che spingono chi detiene della ricchezza non immobilizzata a cercare strade alternative, possibilmente lontane da occhi indiscreti.

Non è dunque un fenomeno solo italiano, magari derivante dalla necessità di mantenere occulti al fisco taluni patrimoni. Anzi, l’origine della fuga verso i valori reali parte in Oriente, soprattutto ovunque c’è necessità di riservatezza e agevole passaggio delle frontiere. Oro, diamanti e altri preziosi e sinanco le grandi opere d’arte non solo risultano perciò più liquidi che non in passato ma soprattutto proiettano aspettative di quotazioni in ulteriore ascesa. Essi raccolgono tra l’altro l’interesse anche dei grandi investitori, i meglio attrezzati per soppesare il decrescente valore intrinseco delle principali divise valutarie del mondo.

Il comparto immobiliare invece si riprende molto più timidamente poiché, sebbene sia in sé produttore di reddito, esso è considerato un po’ ovunque facile bersaglio delle politiche fiscali ed un evidente indicatore di ricchezza. Dunque è piuttosto la discrezione che nella confusione generale viene favorita.


3) “FUNDAMENTALS” E DINTORNI:

” LA BUFALA DELLA  DISCESA DELLO SPREAD  ”  

sono passati quasi due anni dal giro di boa per gli spread dei cosiddetti P.I.I.G.S. (Portogallo Irlanda Italia Grecia e Spagna) e ora siamo giunti a un BTP a 10 anni che, con un rendimento di poco superiore al 3%, aggiunge meno di 160 punti base al rendimento del Bund corrispondente. Era il luglio 2012 quando la crisi europea ha iniziato ad affievolirsi. Oggi, meno di due anni dopo, sembra materializzarsi il secondo giro di boa: quello per i Rating delle economie europee periferiche. Meglio tardi che mai.

Ma la politica si è appropriata di questo fenomeno attribuendosi meriti di credibilità e credibilità che nulla aggiungono alla situazione reale. Ciò che non viene riferito da nessuno è che a causa della deflazione si è invero gonfiata una bolla speculativa sui titoli europei a reddito fisso: tutti vogliono comperarli (nonostante si sappia chiaramente che non verranno mai rimborsati) a causa degli altissimi rendimenti in termini reali che essi oggi possono offrire! I tassi nominali scendo perciò sicuramente a causa delle mancate attese di rottura dell’Euro, ma anche perché il tasso di inflazione è in realtà negativo. Dunque ad un rendimento nominale di tre punti percentuali se ne aggiungono probabilmente uno o due di effettiva deflazione. Situazione non riscontrabile altrove nel mondo se viene considerato che quegli stratosferici rendimenti in termini reali su titoli di Stato sono denominati nella valuta oggi più forte al mondo: l’Euro.
 

Le cause del fatto sono varie:

1) le banche europee devono necessariamente sottoscriverli poiché è per questo che vengono finanziate da BCE. Inoltre il differenziale tra BTP e tasso di rifinanziamento è essenziale per fare un po’ di profitti e ricostituire un equity saccheggiato da perdite su crediti ancora non del tutto evidenziate;

2) i rendimenti dei depositi bancari sono ampiamente negativi (al netto dei vari costi) e i titoli di stato sono divenuti un elegante modalità per i gestori del risparmio per parcheggiare la liquidità e mettere la testa sotto la sabbia, invocando i benchmark per giustificare la magra performance;

3) gli interessi reali che i nostri titoli di Stato offrono a chi li sottoscrive sono in realtà molto elevati (più alti del loro tasso nominale) perché l’inflazione reale è negativa, cioè siamo in piena deflazione che è stata tenuta semplicemente “nascosta” e lontana dalle statistiche ufficiali. A partire dalla Bundesbank nessuno vuole ammettere che la zona Euro è piombata in deflazione e, peggio ancora, nessuno vuol ammetterne la pericolosità. Per questo motivo lo spread scende: in realtà i tassi d’interesse reale sono più alti che un anno fa!

4) in Germania c’è meno deflazione di quanta ne esista nei paesi periferici, perché da loro la ripresa seppur limitata è arrivata e i consumi hanno ripreso a correre, ma l’assurdo di tenere sotto una moneta unica economie così diverse crea l’assurdo di un eccesso di deflazione nelle aree più depresse dell’Unione, ma nessuno la conteggia! Allora è meglio cavalcare rendimenti più elevati sulla stessa valuta tirando a campare sintantoché l’Euro non darà di nuovo segni di cedimento. E nel frattempo guadagnarci su, tanto più che ci si può coprire dal rischio di avere investito in Euro (contro Dollari) con buone aspettative di guadagnare anche in tal senso, poiché sono in molti pronti a scommettere su una rivalutazione del Dollaro.

C’è solo un “piccolo” problema: i debiti pubblici risultano sostenibili in funzione della capacità di ciascun paese di pagarne gli interessi anche attraverso la propria crescita economica: un paese indebitato e che non cresce nel lungo termine desta forti preoccupazioni per i detentori dei suoi titoli di debito. È evidente che la stagnazione e una decisa deflazione che rischiano solo di aumentare finisce per intaccare la capacità del Tesoro di pagare gli interessi.

Da anni gli economisti prospettano per l’anno a venire una crescita economica che in Italia ancora non si materializza perché ne mancano i presupposti. Anche per il 2014 le previsioni sono leggermente al di sopra dello zero (e rischiano una smentita), con un +1,5-2% per il 2015. La stessa cosa la si prevedeva nel 2013. Dunque aumenta il rischio default (a meno di una mutualizzazione dei debiti pubblici europei) e quando sul mercato se ne prenderà coscienza sarà una vera doccia fredda.

Mentre si gode di bassi interessi sul debito pubblico, l’ideale sarebbe che sin da oggi la BCE agisca in modo molto deciso immettendo in circolo tanto denaro fresco a supporto degli investimenti (quantomeno infrastrutturali, gli unici che non creano inflazione) per contrastare la deflazione, invece di agire come fa adesso: timidamente e con piccole graduali iniziative.  Ma la BCE non si decide, probabilmente perché troppo influenzata dalla Germania che non ha ancora preso atto del fatto che un Euro forte alla lunga danneggia anche lei.

Si è però visto in Giappone quanto poco siano serviti gli sforzi graduali della Banca Centrale nel corso di quasi un ventennio: ci è voluto Shinzo Abe con il suo trattamento-shock per risvegliare l’economia e riavviare la crescita, ovviamente al prezzo di una pesante inflazione e la forte svalutazione dello Yen. Perciò se ci avviamo verso un ulteriore prolungato periodo di deflazione (e stagnazione) rischiamo anche noi di pagare carissimo il vantaggio dello spread basso e di un costo calante degli interessi sul debito pubblico!

Ma, si sa…Gli economisti vedono sempre e soltanto il bicchiere mezzo vuoto!


” I RISPARMIATORI ITALIANI VANNO ALL’ESTERO E I GRANDI INVESTITORI INTERNAZIONALI TORNANO IN ITALIA: CHI HA RAGIONE? ”  

 

 

 Assistiamo senza parole alla fuga dei piccoli risparmiatori dai titoli italiani e al ritorno di interesse per l’Italia da parte dei grandi capitali. In realtà i grandi investitori guardano con interesse alle grandi privatizzazioni e stavolta se ne annunciano davvero tante (si parla di far incassare al Tesoro almeno €15 miliardi): i bocconi da sempre più prelibati per la grande finanza, soprattutto quando i paesi come l’Italia sono costretti a farle a qualsiasi prezzo.

Altro terreno di interesse sono i grandi sviluppi immobiliari e infrastrutturali, ma solo se essi possono generare rendimenti ben al di sopra della media, dunque si tratta di vere e proprie “speculazioni” ad alto rischio, il cui guadagno può derivare da elevati rendimenti prospettici e solo qualora il Bel Paese dovesse mostrare di riprendere davvero il percorso di crescita economica.

I consumi ancora si contraggono, ma il risparmio gestito cresce in modo impetuoso. Nel solo mese di marzo sono stati raccolti in Italia 18,8 miliardi di euro. Il dato migliore dal 1999. Il trionfo della parsimonia? Più probabilmente del crescere della paura. Dei quasi 19 miliardi di euro 14,5 miliardi vanno ai fondi comuni e fra questi i fondi obbligazionari raccolgono 7,9 miliardi (quasi 9 da gennaio).

Dunque metà del risparmio comune confluisce verso strumenti finanziari che acquistano molti titoli dei debiti sovrani i cui interessi pesano soprattutto su quei contribuenti che non godono dei medesimi interessi, cioè quelli che non risparmiano. Poiché chi non risparmia di questi tempi è quasi solo colui che non può permetterselo, se ne deduce l’iniquità sociale del lasciar crescere il debito pubblico nazionale: il suo onere pesa di fatto principalmente sui meno abbienti.
 

4) INFORMALIA :

“TANTO PER RIFLETTERE UN PO’ ”

“quello che mi ha sorpreso di più negli uomini dell’Occidente è che perdono i loro anni migliori e la loro salute per fare soldi, poi perdono i loro soldi per recuperare la salute. Pensano così tanto al futuro che dimenticano di vivere il presente in maniera che non riescono a vivere né il presente né il futuro. Vivono insomma come se non dovessero morire mai e muoiono come se non avessero mai vissuto”!

(Dalai Lama)
 

Stefano L. di Tommaso