Lo "shutdown" e l'incubo di Obama
Chi avrebbe pensato che si sarebbe parlato di possibile “default” per la nazione che sino ad oggi ha governato il mondo, che è patria delle agenzie di Rating, dove risiedono le Nazioni Unite e il Fondo Monetario Internazionale?
Segno dei tempi che cambiano, si potrebbe dire, ma che vuol dire? Che c’è la crisi anche in America?
Forse si, ma ben nascosta da statistiche generose e da sistemi di calcolo della disoccupazione e del Prodotto Interno Lordo che andrebbero rettificate.
Teoricamente in ripresa economica, in realtà gli USA restano segnati socialmente da un numero di disoccupati tutt’ora troppo elevato per le loro abitudini e si ritrovano di conseguenza un deficit fiscale e un debito pubblico oramai esplosi oltre tutte le soglie precedentemente ipotizzate come “estreme”.
L’America, dopo aver “sforato” i limiti che le proprie leggi davano al Governo Federale di indebitarsi, è giunta perciò oggi ad un bivio: ridurre drasticamente la spesa pubblica e i programmi sociali di redistribuzione delle risorse oppure trovare altrove quelle risorse, per alimentare la spesa di un Governo federale sempre più vorace, incapace dunque di limitare le proprie esigenze alle entrate fiscali in corso.
Obama può essere biasimato quanto si vuole per aver voluto personalmente e varato in fretta e furia un costosissimo programma di assistenza sociale e sanitaria che finalmente proiettava gli USA all’altezza del proprio status di nazione leader della democrazia occidentale ma che ha altresì contribuito a buttare giù dalla rupe due secoli di equilibrio finanziario dell’unione federale.
A condizione che ci ricordiamo quanto era sentito il problema dell’assenza di una assistenza sanitaria “di base”, in un Paese che non aveva mai fatto veri passi avanti nel welfare: prima di Obama la sanità pubblica era una piaga: la gente moriva se non poteva permettersi di pagare le proprie cure!
E purtroppo tornerà presto a morire ancora, se la prossima mossa obbligata sarà quella smantellare tutto.
Ma il problema non è stato decidere di spendere troppo per l’assistenza sanitaria alla povera gente, bensì il non compiere delle scelte: se il bilancio federale non se lo può permettere, allora bisogna tagliare le spese per qualcos’altro! Gli armamenti, l’Università, i dipendenti pubblici, la Polizia, le varie agenzie federali, la CIA…
Se non si taglia nulla alla fine il problema torna a bomba e finisce che sono di nuovo i “poveri” a farne le spese!
Io credo che sia anche questo eccesso di compromesso che mina oggi alla base le democrazie occidentali: mentre il mondo si rivolge ad oriente e i capitali volano via dai paesi “ex-ricchi” per cercare nuove frontiere, questi ultimi vorrebbero continuare con un gioco politico che da sempre cerca di dare un colpo al cerchio e uno alla botte.
Ma il gioco funziona solo quando l’economia “tira”, la gente consuma moltissimo e paga tante tasse!!!
E affinché l’economia “tiri” bisogna che nascano più imprese e crescano più velocemente di quanto succede oggi. Cosa che può accadere soltanto a nazioni che dispongono di molti molti cervelli e capitali utili a riuscire a fornire ai propri cittadini-consumatori dei programmi sanitari sempre più sofisticati a costi sempre più competitivi.
Ma i capitali si muovono costantemente e da un po’ di tempo vanno in direzione dell’estremo Oriente e dei molti Paesi Emergenti che offrono maggiore entusiasmo, tante risorse naturali e più prospettive di sviluppo economico.
Dunque esiste un’emorragia di capitali e cervelli verso le nuove frontiere del mondo moderno, mentre le nazioni ex-ricche cercano di continuare come prima a fornire ai propri cittadini un’ombrello di protezione “sociale” e “militare” ma per farlo, in assenza di sufficiente ricchezza disponibile, essi ampliano i deficit di stato e allora poi arrivano a concepire i programmi di “Quantitative Easing” con i quali ordinano alle proprie banche centrali di stampare più moneta per farvi fronte.
Tutto ciò finché dura. E finché non si scatenerà un’inflazione più elevata che azzererà gli effetti illusori di una crescita economica solo nominale.
Obama è forse l’uomo giusto, ma lo è sicuramente al momento sbagliato: egli immaginava di varare riforme storiche per condurre il Nord America verso un modello di società civile più equa e solidale e si ritrova a gestire i primi sintomi della caduta dell’Impero d’Occidente!
I suoi oppositori, i conservatori, hanno radicalizzato il conflitto impedendo al Congresso di legiferare in favore di un maggior deficit pubblico, ma così facendo si sono a loro volta spaccati tra falchi e colombe, arrivando a fare il gioco di Obama proprio quando Obama avrebbe dovuto compiere delle scelte vere: più sanità ma meno spese militari; più trasferimenti sociali ma meno risorse per altri importanti capitoli di spesa, come i programmi internazionali, la ricerca scientifica, gli uffici pubblici, la polizia o la giustizia!
Cosa cercherà di fare domani Obama, stretto tra poche risorse pubbliche e molta necessità di non essere ricordato come uno dei peggiori presidenti della storia?
Probabilmente alla fine svolterà a destra, cioè in direzione dell’elettorato medio, del baricentro politico del Congresso, e della riscossa del sogno americano, cercando di tornare ad alimentare una crescita industriale e dei consumi senza la quale l’intero sistema americano può reggere economicamente, e seppellendo con ciò i suoi stessi slogan ecologisti e le speranze pacifiste, democratiche e di redistribuzione del reddito disponibile che egli aveva dato non solo agli Americani, bensì anche ai cittadini di tutto il resto del mondo, con la sua ascesa.
Stefano L. di Tommaso