Newsletter di Gennaio 2013

COME ANDRA’ IL NUOVO ANNO?

 

 

 

Nel formulare le nostre analisi, insieme agli Auguri per un Nuovo Anno migliore degli ultimi quattro, Vi proponiamo innanzitutto un cortometraggio di Ermanno Olmi:

www.youtube.com/watch?v=OYwnZVJ5ygI

(la morale che Giacomo Leopardi ci propone in questo bellissimo “Dialogo d’un venditore di almanacchi…”, osservata oltre due secoli dopo, è sempre attuale: é la speranza ciò che ci tiene in vita!)

IL MONDO:

– i Paesi BRICS probabilmente continueranno a crescere, nell’inseguimento di standard di vita occidentali, e con essi tutti gli Stati loro satelliti, sebbene il fatto che a raggiungere i livelli di consumo “occidentali” sarà solo una parte della popolazione acuirà le tensioni sociali ;
– le Americhe dovrebbero dal canto loro mostrare un trend quasi piatto (con probabile crescita della disoccupazione), in particolare:
            a) gli USA non entreranno tecnicamente in recessione a causa della sola crescita demografica, mentre segneranno il passo probabilmente su tutti gli altri fronti, dollaro compreso, soprattutto per il debito pubblico fuori controllo;
       b) i Paesi dell’America Latina che hanno risentito nel 2012 del rallentamento dei consumi negli Stati uniti, potrebbero (paradossalmente) beneficiare della continuazione della turbolenza nei Paesi Sviluppati nel corso del 2013, in particolare il Brasile che dovrebbe tornare su livelli di crescita superiori al 4% ma anche Cile, Messico e Perù;
– il nord Europa potrà beneficiare della crescita dei paesi emergenti e ancora della bassa competitività dell’industria americana (destinata a riprendersi) ma ha il medesimo problema americano: il debito pubblico totale europeo costituirà una tassa da pagare, in termini di possibile consolidamento del medesimo ovvero -in caso di rottura dell’Euro- di danni al sistema bancario e di conseguenza al tessuto economico-produttivo;
– il sud Europa toccherà probabilmente il fondo della propria crisi, con conseguenze profonde in termini di caos politico e finanziario: non ci è dato di sapere quanto sarà profondo, nè per quanto tempo;
– l’est Europa potrà beneficiare ancora dell’export di risorse naturali come anche del ridotto costo del lavoro, ma ciò sembra migliorare lentamente lo standard di vita del cittadino medio;
– i paesi mediorientali continueranno probabilmente nel processo di cambiamento degli equilibri politici che sta portando ulteriori focolai di guerra e violenza. Dunque, sebbene essi potranno beneficiare della “bolletta energetica” dell’Occidente, probabilmente questa non si trasformerà in maggiori investimenti per lo sviluppo, bensì in spese militari ed esportazione di capitali.

I MERCATI FINANZIARI:

Mentre sul fronte valutario ad oggi non è dato intravedere scossoni (Euro compreso) che ne possano alterare seriamente l’equilibrio di medio periodo, il paradosso dei corsi di azioni e materie prime che salgono, dovrebbe continuare, sebbene con accresciuta volatilità.

L’abbandono progressivo dei titoli di Stato e di quelli bancari e assicurativi da parte degli investitori ha profonde basi razionali (la qualità implicita della promessa di rimborso è in costante calo) e questo fatto ha alimentato un maggiore interesse verso le Borse Valori e le Borse Merci.
Un’elevata volatilità di queste ultime normalmente allontana gli investitori e riduce la percezione dei valori quotati, ma non questa volta: essa viene piuttosto considerata come il prezzo da pagare (nel breve termine) per stare “dalla parte del formaggio”, nella speranza che i suoi effetti siano praticamente nulli nel medio-lungo termine.

Occorre però fare una importante distinzione tra gli assets “finanziari” e quelli “fisici” (industria manifatturiera compresa): i primi non potranno non risentire del peso dei debiti pubblici che genera un deterioramento della capacità di rimborso di imprese e famiglie, i secondi si troveranno invece in posizione “rialzista” riguardo alle possibili dinamiche inflazionistiche che prima o poi seguiranno alla monetizzazione dei debiti.
Cosa che non sta ancora succedendo e tuttavia i mercati scontano un trend di questo tipo con la probabile ulteriore ascesa dei corsi dei metalli, delle commodities e dei titoli dell’industria manifatturiera.
Lo scenario per le Borse è dunque mediamente positivo, sebbene  i rischi collegati di generale instabilità politica e di crisi delle istituzioni finanziarie non è chiaro fino a quale punto innalzeranno la volatilità dei corsi e dunque costituiranno un freno alla loro crescita.

Questo è anche il motivo per il quale è meno raccomandabile nel medio termine l’investimento in titoli bancari, assicurativi, di Stato e in obbligazioni a elevato rendimento.

L’ITALIA:

Le pressanti esigenze di copertura fiscale del bilancio pubblico hanno accentuato la recessione dei consumi.
Purtroppo non si è proceduto di pari passo verso tagli strutturali  della spesa pubblica, anzi essa è addirittura aumentata se confrontata al PIL e quando (inevitabilmente) si giungerà a quei tagli, essi provocheranno di nuovo importanti effetti recessivi.

Soprattutto a causa del forte deflusso di capitali che ne è conseguito e della crisi di liquidità che si è generata nel sistema finanziario, il nostro Paese non sembra essersi mai ripreso dalla crisi del 2008 e la prima conseguenza di ciò è che la disoccupazione complessiva (disoccupati+inoccupati+cassintegrati+esodati+precari) sta raggiungendo livelli preoccupanti.
Se si sommano quei numeri a quelli dei pensionati effettivi diviene più facile comprendere lo stallo economico “strutturale” del nostro Paese: la popolazione attiva si è ridotta oltre ogni limite di sostenibilità perché ridotta è la sua competitività industriale.

D’altra parte la disoccupazione è un fattore immediatamente dipendente dal numero meno noto di tutta l’economia italiana: l’ammontare degli investimenti produttivi, che evidentemente è in caduta verticale.
Senza parlare della mancata riduzione della spesa pubblica: ogni euro di tasse sottratto alla spesa corrente potrebbe andare non solo in investimenti diretti, ma anche a incentivare quelli privati, senza i quali nessuna economia oggi nel mondo può pensare di creare posti di lavoro.
La disoccupazione -in particolare quella dei giovani- sarà IL TEMA del 2013 !

COSA PUÒ FARE L’ITALIA:

La risposta è solo una: trovare il modo favorire gli investimenti produttivi, formativi, infrastrutturali…
Tutto quello che può generare immediatamente occupazione sul nostro territorio e con essa un minimo di consenso sociale!
Se anche ci fosse una ripresa (che con il PIL si misura sui consumi), essa non genererebbe subito nuovi posti di lavoro.  Ci vorrebbero almeno un paio d’anni.
Ragionevolmente la ripresa dei consumi da noi non arriverà prima del 2014 (se non nel 2015) e  rischia di non vedersi affatto se il Bel Paese non sarà in grado di stimolare nel frattempo gli opportuni investimenti infrastrutturali.

COME ATTRARRE GLI INVESTITORI ? 

Con il “marketing territoriale”: infrastrutture efficienti, agevolazione di trasporti e logistica, sgravio di oneri e adempimenti, sostegno alla ricerca, incubazione di nuove imprese, sviluppo di internet a banda larga, liberalizzazione del commercio, erogazione di nuovo credito.
Al Governo Italiano non è sembrata una priorità ma l’alternativa a ciò rischia di essere presto una priorità di “ordine pubblico” quando la gente comincerà ad andare in piazza perché non arriva a fine mese e non può pagare il mutuo!

COME VANNO LE IMPRESE ?

 La parte di industria italiana che è riuscita a internazionalizzarsi per tempo sta cogliendo i frutti di tale scelta strategica, sebbene le vendite nazionali ristagnino ben oltre le attese.

Questo è però anche un importante fattore di debolezza, perché per un Paese esportatore il combinato disposto dei maggiori investimenti esteri e del mancato rientro degli utili (anche per politiche fiscali assai poco incentivanti) costituisce una fonte elevatissima di deflusso dei capitali!
E senza capitali in Italia il sistema bancario non può erogare credito, preso nella morsa dei mancati rimborsi e degli acquisti (obbligati) di titoli pubblici.
Al nostro Paese sono sempre mancate politiche fiscali e industriali che invece di favorire la voracità dello Stato tenessero conto delle esigenze di competitività e, di conseguenza, occupazionali.

LA FINANZA AZIENDALE:

Le imprese italiane si suddividono oggi in due grandi categorie: quelle che hanno sufficiente finanza (e che perciò non sono a rischio) e quelle che non ce l’hanno.

Citiamo alcune cause della scarsa liquidità di molte imprese:

1) la bassa produttività e di conseguenza l’incapacità di generare sufficiente cassa;
2) ridotto reinvestimento degli utili (con riflesso diretto sulle dimensioni aziendali);
3) la carenza di investimenti in ricerca, sviluppo prodotti e tecnologie;
4) il ristrettissimo mercato interno dei capitali ivi compreso l’inesistente “venture capital” cioè il capitale per le innovazioni;
5) le pratiche oligopolistiche del sistema bancario che -insieme alla ridotta attrattività del Paese- soffocano la concorrenza sul fronte del credito.

Per molte imprese la cura da cavallo da somministrare per tornare a generare cassa non può che passare dalla loro ricapitalizzazione, dall’accorpamento delle aziende più piccole, dalla chiusura di quelle improduttive, dalla messa a punto di piani strategici e dalla rifocalizzazione sui “core business” per recuperare produttività.
È una cura scomoda ma anche obbligata.
Peró non c’è altro da fare: quando le aziende non guadagnano nessuno ci investe.
E, se le imprese non investono, non assumono e, alla fine, chiudono.

Indipendentemente dallo “spread” dunque, il favorire la nascita, lo sviluppo e la capitalizzazione delle imprese è inconfutabilmente ciò che a noi serve.

CONCLUSIONI:

Il nostro mondo, in attesa della comparsa di nuove tecnologie, nuovi strumenti finanziari, nuovi fattori di sviluppo economico, va incontro ad un pesante assestamento di ciò che ha realizzato e del relativo debito accumulato.
Quanto durerà l’assestamento? Anni o decenni?
Dipenderà molto dalla velocità di arrivo delle novità sostanziali e dalla capacità di dialogo tra coloro che le possono generare.
Vedo a questo proposito un crescente confronto tra Oriente e Occidente, sullo sfondo di una crescente instabilità dei Paesi più poveri o troppo indebitati.

Stefano L. di Tommaso