Newsletter di Ottobre 2013

 
 Il dilemma del risparmiatore
e lo scenario economico globale

 

       

                    

             
IN SINTESI

 

Dove dovrebbe riporre oggi i propri risparmi il cittadino medio che, pagati i debiti di studio o superata la fase di introduzione nel mercato del lavoro si appresti a costituire, insieme a una famiglia, anche qualche riserva per crescere i figli e per la propria pensione?

La risposta banale potrebbe essere: in parte nell’acquisto (magari insieme a un mutuo) della propria casa, in parte nella contribuzione più o meno volontaria ad un fondo pensione in attività finanziarie a reddito fisso (che si suppone pressoché prive di rischio) e infine in parte in titoli azionari o fondi che investono nei medesimi.

Il buon senso comune tuttavia oggi potrebbe risultare in un grosso errore, dato il momento molto particolare, visto che i tassi sono rimasti bassi molto, troppo a lungo, gl’immobili sembrano ancora più da vendere che da comprare e i titoli azionari hanno corso all’insù per quattro anni e non è detto che lo faranno ancora. Infine i fondi-pensione: sono stati gestiti sino ad oggi per fornire un rendimento medio del 7/8% e negli ultimi anni hanno reso a malapena il 2% I gestori stanno perciò inseguendo la performance prendendo più rischi e meno certezze, con qualche timore in più sulle sorti dei propri contributori.

La verità è che dopo una delle maggiori crisi che la storia ricordi del sistema finanziario occidentale è arrivata una delle più forti recessioni, e le due hanno lasciato sul campo una stragrande quantità di detriti: partite incagliate delle banche, borse sopravvalutate dopo essere state per anni a cercare di anticipare una ripresa che non è quasi arrivata, troppi immobili che nessuno vuole più comprare e, soprattutto, un’immane quantità di titoli di Stato, tossici e di difficile rinnovo periodico. È stata la difficoltà del loro rinnovo a scadenza il primo motore delle iniezioni di liquidità praticate da tutte le maggiori banche centrali del pianeta, scatenando a loro volta delle vere e proprie “guerre valutarie” che sono ben lungi dall’essere terminate.

In questo scenario i pericoli per l’investimento del risparmiatore medio (di forti minusvalenze o quantomeno di non ottenere rendimenti tali da poter contare su un’agiata vecchiaia) corrispondono a forti disequilibri a livello di sistema e alla crisi dei “public welfare”. Questi disequilibri sono in parte dovuti allo spostamento verso oriente del baricentro economico mondiale ma non lasciano tranquilli nonostante siano all’opera molti fattori di crescita e di futuro benessere quali le nuove tecnologie, l’ulteriore crescita del commercio mondiale e il minor costo di molte commodities e materie prime.

Nel nostro Paese il problema è moltiplicato dalla batosta subíta dall’industria e dalla conseguente disoccupazione crescente, dopo aver toccato con mano il capolinea dell’intervento pubblico basato sulla tassazione a go-go: negli ultimi due anni ad ogni ulteriore inasprimento fiscale è corrisposta una discesa del gettito fiscale invece che una sua crescita (e nessun vero taglio nella spesa). L’inasprimento della lotta politica e la crisi di governo va interpretata soprattutto così: la giostra è terminata e nessuno se ne vuole prendere la responsabilità.

Alla luce di tutto ciò l’Unione Europea (le cui recenti elezioni nei paesi germanici stanno bocciando le sinistre quanto le destre estreme e confermando il desiderio popolare di mantenere unito il carrozzone) potrebbe risultare molto utile a sostenere le nostre sorti (e il nostro traballante Rating) dopo aver preso atto che senza misure di stimolo della domanda interna nell’UE si rischia di azzoppare le speranze anche dei paesi più virtuosi. Certo il Bel Paese è proprio nell’angolo e deve sprigionare nuove energie per tornare ad alzare la testa!

NEL DETTAGLIO

Una timida ripresa (da noi addirittura difficilmente percettibile), la decisa volatilità dei mercati, un folto gruppo di banche centrali che espandono la base monetaria “avventurandosi” per strade sconosciute, l’incerto futuro delle finanze dei paesi emergenti e dei prezzi di materie prime e carburanti fossili che essi esportano, una mole sovrumana di debiti di stato di tutti i principali paesi industrializzati, sarebbero ingredienti più che sufficienti ad alimentare forti perplessità nel risparmiatore medio che desideri andare in pensione assicurandosi una qualche rendita finanziaria.

Ma c’è dell’altro:

– la politica internazionale sembra costantemente in bilico tra possibili conflitti militari regionali e conseguenti tensioni tra i grandi blocchi continentali, mentre il mercato finanziario (che é stato a lungo drogato dalla liquidità iniettata artificialmente)  ha scontato nelle sue valutazioni profitti e rendimenti tipici di una ripresa economica che invece non si manifesta con decisione;

– la crescita globale che finalmente sembra essere in arrivo non sarà perciò sufficiente a permettere la riduzione dei principali debiti pubblici del pianeta, non aiuterà i paesi emergenti a controbilanciare le pressioni demografiche e non ricucirà dunque il divario crescente tra oriente e occidente del mondo;

– gli equilibri mondiali divaricati tra economie orientali mediamente in crescita e economie occidentali perlopiù stagnanti, deve anche fare i conti con l’ampia area di instabilità medio-orientale che è contemporaneamente un grande giacimento di gas e petrolio, ma anche una decisa fucìna di tensioni.

Dunque un puzzle assai complesso, dove per il risparmiatore medio risulta particolarmente arduo mettere insieme le tessere del mosaico non diciamo per prosperare, ma almeno per non perdersi. La categoria del “risparmiatore medio” è peraltro molto vasta: dai privati cittadini agl’imprenditori che hanno avuto successo, dai gestori di fondi comuni di investimento, a quelli di pensioni integrative e buona parte della previdenza sanitaria e sociale del pianeta, dagli amministratori di fondazioni a quelli di istituzioni culturali. Una enorme categoria che con l’oculata gestione della propria liquidità e con i propri investimenti di medio-lungo termine lubrifica il sistema finanziario, mentre con i rendimenti dei propri investimenti aiuta a sorreggere la ricerca delle università e gli altri pilastri della fragile democrazia occidentale.

Nell’immaginare i principali attori del mercato finanziario non bisogna pensare soltanto a quei pochi immensi speculatori che manovrano per dare una scrollata al grande albero delle borse e delle valute per vedere quali frutti cadono giù: bisogna soprattutto pensare ai frutti che maturano per merito della stragrande maggioranza di silenziosi e prudenti amministratori del capitale investito senza i quali essi smetterebbero di alimentare pensioni, sanità e istituzioni social-culturali. Sono costoro che oggi si trovano di fronte a crescenti perplessità circa i rendimenti che in futuro potranno fornire ai loro “danti causa”: riusciranno a mettere a segno rendimenti positivi al netto dell’inflazione che verrà?

IL DILEMMA DEL RISPARMIATORE

Ecco, l’agitato mare dei mercati finanziari è di fronte a grandi incertezze all’uscita (non del tutto acclarata e stabilizzata) da una delle recessioni economiche più lunghe che il dopoguerra ricordi, con gl’immobili che sembrano ancora caratterizzati da un eccesso di offerta (anche se lontano, all’orizzonte, potrebbe anche profilarsi della nuova domanda), le borse occidentali già troppo care per promettere investimenti interessanti, i titoli del reddito fisso che promettono probabili e importanti minusvalenze alla prima oscillazione al rialzo dei tassi d’interesse, la non tranquilla solvibilità di tutti i principali governi emittenti della stragrande maggioranza di titoli di stato, per non parlare del rischio di un eccesso di offerta sui mercati delle commodities, dei metalli, degli idrocarburi e delle altre materie prime, tale da sopravanzarne la domanda, in un mondo occidentale che si alimenta sempre più di contenuti tecnologici, culturali e immateriali e sempre meno di prodotti finiti e materie di consumo.

Ho citato il dilemma dell’investitore medio perché i problemi di quest’ultimo in tutto il mondo si riflettono irrimediabilmente sulla salute dell’economia globale, sulle condizioni del sistema bancario e finanziario e sulle aspettative dei mercati borsistici.

Un sistema che rischia di rimanere ingolfato ed incerto di fronte a crescenti tensioni politiche e a declinanti prospettive dei rendimenti propone un’inquietante scenario di apparente calma piatta, contemporanea a tanto nervosismo diffuso, il quale non può che alimentare una decisa volatilità di tutti i mercati principali, delle merci quanto delle valute.

Non si costruisce benessere su queste basi, bensì al massimo una transizione verso nuovi scenari.

I FATTORI DI OTTIMISMO

Fino all’altro ieri avevamo promosso severe e a volte pessimistiche valutazioni sulle sorti di breve periodo del nostro Paese mantenendo però un ottimismo generale di fondo sulle prospettive a medio termine dell’economia, sulla base di diverse considerazioni oggettive (che ancor oggi permangono):

– una costante e crescente capacità del mondo industrializzato di continuare a fornire innovazioni tecnologiche a basso prezzo e ad elevata aspettativa di creazione di nuovo valore, in tutte le direzioni conosciute;

– un crescente commercio internazionale che non esclude disequilibri e financo guerre valutarie ma che tende inevitabilmente a bilanciare i rapporti economici preservando il mondo da ribaltoni e catastrofi;

– un prosieguo della globalizzazione, del dialogo internazionale e della diffusione delle conoscenze scientifiche;

– le decise prospettive di incremento in tutti i Paesi degli investimenti infrastrutturali, i quali non solamente generano fatturato per chi li produce ma apportano anche ricchezza aggiuntiva per coloro che li effettuano per numerosi anni a venire (ammesso e non concesso che questi ultimi troveranno -almeno a debito- i capitali necessari per effettuarli);

– una demografia in costante espansione che aiuta non poco la crescita dei consumi ma anche quella della ricchezza finanziaria generale.

CIÒ CHE POTREBBE ROVINARE LA FESTA

In presenza di prospettive di pace e stabilità i processi virtuosi sopra citati non possono che proiettare la crescita economica globale in territorio positivo, sempre però che le incertezze e gl’insufficienti redditi dei mercati finanziari (cannibalizzati dalla sete di denaro delle Pubbliche Amministrazioni) non arrivino nel frattempo a scuotere alle radici la misura della ricchezza globale accumulata (l’unica oggettivamente in grado di alimentare quei processi) generando invece panico e inversioni di tendenza.

Esiste dunque anche un aspetto positivo della grande ricchezza finanziaria, senza l’investimento della quale molte istituzioni di pubblico interesse non sarebbero più alimentate, la ricerca scientifica stessa rallenterebbe moltissimo e l’unica spesa tecnologica possibile resterebbe quella di derivazione militare.

Oggi tuttavia, all’alba di un possibile risveglio mondiale dell’economia dopo quasi sei anni di crisi finanziaria e recessioni susseguenti, il denaro amministrato da gestori grandi e piccoli di patrimoni e previdenze risulta investito con sempre minore tranquillità e minori prospettive di fruttare nuova ricchezza al netto della svalutazione monetaria prossima ventura, in un “loop” di aspettative di instabilità che alimenta le quotazioni di beni-rifugio come l’oro e l’argento (per ora non le quotazioni immobiliari, in ripresa solo negli USA) e inceppa quei processi virtuosi di investimento che alimentano la creazione di nuovi posti di lavoro qualificati, di nuova capacità produttiva di derrate alimentari e presidii farmaceutici di base.

LE PROSPETTIVE

In attesa di misurare la temperatura di un autunno forse pesante per gli equilibri mondiali e per il bacino del Mediterraneo, con l’ansia dei mercati per le decisioni dei banchieri centrali, in attesa di misurare il numero di cavalli vapore della nuova locomotiva americana, in attesa infine di comprendere se la prosperità tedesca potrà aiutare il resto dell’Europa a crescere o finirà per succhiarle soltanto altro sangue, il “dilemma del risparmiatore” si tramuta in “dilemma economico mondiale” poiché mette a repentaglio molti di quei meccanismi consolidati, quelle reti di protezione e quei sistemi di supporto finanziario delle istituzioni principali che le nazioni più progredite hanno costruito nell’ultimo secolo.

Nel nostro Paese le prospettive sono ancor più misere poichè prima dovremo risalire la china dell’attuale de-industrializzazione e della conseguente disoccupazione, dopo aver toccato con mano i limiti del cuscinetto sociale fornito dall’intervento pubblico, basato su una crescita della tassazione armai arrivata al capolinea: negli ultimi due anni ad ogni ulteriore inasprimento fiscale è corrisposta una discesa del gettito fiscale invece che una sua crescita (e nessun vero taglio nella spesa). L’inasprimento della lotta politica e la crisi di governo va interpretata soprattutto così: la giostra è terminata e nessuno se ne vuole prendere la responsabilità (cosa che lascia presagire un forte ritorno alle “piazze”).

Non voglio aggiungere nessun accenno agli ulteriori problemi che affliggono la nostra piccola Repubblica, il nostro velo sottile di democrazia, il nostro pericolante sistema di welfare e le nostre scalcagnate istituzioni scientifiche. Si rischia di essere pedanti o ripetitivi, ma paradossalmente le incertezze globali possono forse stemperare le figuracce che l’Italia fa fare ai nostri “ambasciatori nel mondo”. L’immagine  è quella di un Paese che rimane piegato sul proprio fianco come la Concordia, rimandando ogni soluzione agli stranieri e ad una classe politica prossima ventura che rassomiglia forse troppo a quella che ci ha appena serviti di barba e shampoo!

Stefano L.di Tommaso